4 Novembre 2015
il manifesto

Utero in affitto, la parola alle donne

Segreteria nazionale ArciLesbica


La gesta­zione per altri (Gpa) è un tema che in Ita­lia non ha un’esistenza legale, ma abita i luo­ghi comuni della reto­rica. La Gpa, detta anche mater­nità sur­ro­gata o, in modo più popo­lare, utero in affitto, è una moda­lità di pro­crea­zione medi­cal­mente assi­stita per cui una donna porta a com­pi­mento una gra­vi­danza con l’esplicita inten­zione di non tenere il figlio al fine di darlo a coppie/persone che ne hanno fatto richiesta.

Nel dibat­tito con­tem­po­ra­neo si parla del fatto che gli uomini, gay, abbiano mono­po­liz­zato il tema della mater­nità sur­ro­gata. In realtà è una certa poli­tica, per lo più rea­zio­na­ria e con­ser­va­trice, che ricorre a que­sta defi­ni­zione, rele­gan­dola al solo mondo lgbt quando, invece la Gpa è una pra­tica a cui ricor­rono soprat­tutto le cop­pie ete­ro­ses­suali impos­si­bi­li­tate ad avere dei/delle figli.

Nel 2012 Arci­Le­sbica, al ter­mine del suo 6° con­gresso, ha defi­nito la pro­pria posi­zione sul tema, asse­rendo che la Gpa, se rea­liz­zata per soli­da­rietà, è altrui­stica, se si dà per un com­penso è com­mer­ciale. La Gpa può sus­si­stere nel momento in cui risulta essere un atto volon­ta­rio, per sot­to­li­neare que­sta volon­ta­rietà è neces­sa­ria la gra­tuità, anche eco­no­mica, del gesto.

La libertà del gesto sta nella sua gra­tuità, e la libertà delle donne sta nella con­sa­pe­vo­lezza che que­sto sia un tema molto com­plesso e com­po­sto da diverse sfac­cet­ta­ture, cui spetta un’analisi che non si riduca a: «Sì Gpa!» o «No Gpa»!». Non ridu­ciamo dun­que la gesta­zione per altri ad un a scelta che viene adita sul corpo delle donne. Il corpo è un mec­ca­ni­smo di fluidi, umori, ragioni, mate­ria: il corpo pensa. Il corpo di una donna che intra­prende il per­corso della gesta­zione per altri non porta mate­ria­li­sti­ca­mente solo un embrione den­tro di sé, non riduce la sua esi­stenza al desi­de­rio altrui; il corpo di una donna misura sé stesso nella rela­zione con i nove mesi di gesta­zione. E que­sto tempo non può essere deciso a priori da un con­tratto vin­co­lante e vincolato.

In nome di quel deter­mi­ni­smo che legit­tima la libertà fem­mi­nile, è neces­sa­rio con­sen­tire che una donna al ter­mine di una gra­vi­danza in sur­ro­gacy, scelga di assu­mere il ruolo di geni­tore gene­tico e quindi di affi­dare chi nascerà ad altri o di poter rece­dere dalla volontà ini­ziale e tenere quel figlio o quella figlia per sé.

In Ita­lia il ridu­zio­ni­smo stru­men­tale cui oggi assi­stiamo è un non senso, voluto per diso­rien­tare e mani­po­lare la coscienza civile. La Gpa è il richiamo costante di chi vuole negare il rico­no­sci­mento alle cop­pie dello stesso sesso di un/una fglio/a. È l’uso impro­prio di una deter­mi­nata aggres­sione cul­tu­rale e poli­tica, quella che decide di inse­gnarci il buo­ni­smo della ragione, in fun­zione di un pen­siero ete­ro­nor­mato. Dob­biamo saperlo dire: ridurre la que­stione a mera ogget­ti­vità, crea una gerar­chia gene­tica tra i sog­getti coin­volti e nega la dif­fe­renza tra il ruolo fem­mi­nile e maschile nella pro­crea­zione. Rico­no­scere il pri­mato fem­mi­nile rispetto al gene­rare è un dato che appar­tiene all’ordine delle cose ed è l’unica dif­fe­renza che non può non essere riconosciuta.

L’innovazione oggi, per far uscire il dibat­tito sulla Gpa dai luo­ghi comuni della reto­rica in cui rista­gna, deve essere quella in cui donne e uomini rico­no­scono l’unicità dell’azione pro­crea­tiva, le rica­dute esi­sten­ziali e fon­da­tive sui sog­getti e sui corpi coin­volti senza pre­ten­dere di con­fi­nare l’argomento alle leggi del mercato.


(il manifesto, 4/11/2015)

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