23 Marzo 2017
Avvenire

Utero in affitto. Oggi l’Italia ha l’occasione per dire no alla maternità surrogata. Intervista a Silvia Niccolai

di Lucia Bellaspiga

 

Intervista a Silvia Niccolai sull’incontro internazionale che si tiene oggi a Roma con l’obiettivo di chiedere all’Onu la condanna di una pratica «lesiva dei diritti di donne e bambini»

 

Sia chiaro: il no all’utero in affitto «non è un divieto dato alle donne ma a chi vuole stabilire diritti sul loro corpo, o retoriche fallaci sulla maternità». È un no che «alle donne garantisce la signoria del generare senza essere sottoposte a prescrizioni, divieti, obblighi e permessi», i vincoli cui le costringono i contratti della “maternità surrogata” o “gestazione per altri” (Gpa). Così la costituzionalista Silvia Niccolai, alla vigilia dell’incontro internazionale «Maternità al bivio: dalla libera scelta alla surrogata, una sfida mondiale», promosso oggi a Montecitorio da «Se non ora quando-Libere» contro il commercio illegale (ma impunemente attuato) di neonati.

Seconda importante tappa dopo il consesso internazionale organizzato il 2 febbraio 2016 al Parlamento francese dal Collettivo femminista Corp, culminerà oggi nella richiesta alle Nazioni Unite di considerare l’utero in affitto «una pratica lesiva dei diritti umani delle donne e dei bambini». Ma già ieri non sono mancate le polemiche, dopo che la presidenza della Camera ha negato il patrocinio al convegno: «L’istituzione non mette il timbro su iniziative che appoggino una parte», spiega una nota della presidenza, eppure la “parte” oggi a Montecitorio difende una legge vigente nell’ordinamento italiano. «La stessa scelta – conclude la nota – naturalmente sarebbe stata fatta se il patrocinio fosse stato chiesto da chi è a favore della maternità surrogata», che però è un reato…

 

Professoressa Niccolai, da giurista vede percorribile la via del riconoscimento di reato universale, così che non si vada a fare all’estero ciò che qui è vietato?

Penso che il divieto sia sempre difficile da brandire in queste tematiche, nel diritto è importante prima mettere a fuoco i diversi aspetti e suscitare una riflessione. L’attuale divieto alla maternità surrogata serve però in quanto fa emergere il valore del millenario principio mater semper certa, che difende la primazia delle donne nel generare. Al contrario, la Gpa è sempre un modo per dire alle donne cosa devono fare, come devono partorire, come si devono comportare durante tutta la durata del contratto… Insomma, il no alla Gpa è un no a ogni forma di usurpazione e precettistica sulla maternità.

 

Lei è invitata a parlare come esperta…

A forza di pensarci sono arrivata a capire che questa “madre surrogata” è il modo per proporre alle donne un nuovo “ideale” femminile, di una donna separata dalla sua esperienza, che sa staccarsi dal bambino dopo il parto, che sa essere razionale, che è generosissima, che sa da subito che suo figlio non è suo e non è sua neppure la gravidanza… Si coltiva una sorta di pedagogia che insegna alle donne che l’esperienza vissuta nel loro corpo non è loro, così non si affezionano al bambino, non si toccano la pancia, eccetera: è una mortificante pedagogia di sudditanza e un ideale molto distante dalla vita umana.

 

È preferibile normare ulteriormente o lasciare che sia la sola legge 40 ad arginare la Gpa?

Non lo so e me lo chiedo davvero. Tanti sarebbero i nodi: il doveroso riconoscimento dei bambini già nati all’estero, le terribili clausole dei contratti imposti alle madri, il carattere commerciale, il diritto del bambino alla sua identità e a sapere chi è sua madre… Certamente l’idea di un regolamento “soft” è argomento fallace: la surrogazione la si va sempre a fare dove è più facile, quindi se legiferiamo ammettendo la Gpa ma introducendo piccole garanzie tipo “dopo il parto la madre lo può tenere con sé tre mesi” o “può partorire come vuole”, gli acquirenti del bambino andranno all’estero dove questi limiti non esistono, e ci andranno legittimati. È vero che il divieto è aggirabile, ma almeno è una scelta molto chiara. La peggior cosa che potremmo fare sarebbe una leggina a metà strada. Facciamo allora il paletto più forte, che è il divieto, poi le eccezioni le vedremo nei singoli casi.

 

Nessuna donna partorisce per altri gratis. Ma se anche fosse vero, resta il diritto di ogni essere umano a non essere venduto né regalato…

La Gpa “altruistica” è il vero paradosso, è il modo per dire alla donna cosa può fare, e per di più che lo può fare non per soldi. L’interesse è sempre l’accordo, la consegna del “prodotto” dopo il parto: in ogni sua forma la Gpa non fa altro che dare prescrizioni alle donne, e attraverso loro a tutta l’umanità. Prima ancora dello scambio del bambino, si fa scambio della relazione con lui, si contrattualizzano i rapporti umani. Ma la relazione materna sta lì a ricordarci che non siamo legati sempre a un “do ut des” ma a qualcosa di gratuito e impalpabile, che è ciò che ci rende umani. L’attuale tempo di scontri va visto con occhio positivo, perché dopo 40 anni dall’esordio della Gpa possiamo riscoprire ognuno il proprio punto di vista e ricostruire una coesione civica. Da giurista dico che con l’autoritarismo non si risolve nulla, io voglio interagire con la capacità riflessiva dell’umanità, anche dividerci, ognuno con la propria verità. Ciò che temo è solo il sofisma, il nascondersi dietro le parole, e il silenzio della politica che diserta il dibattito: fa come quelle coppie che non litigano… e così non parlano dei problemi.

(www.avvenire.it, 23 marzo 2017)

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