8 Maggio 2015

Vandana Shiva alla Libreria delle donne: domande sulle contraddizioni del momento presente

 

di Sara Gandini

 

Vandana Shiva sarà alla Libreria delle donne di Milano il 16 Maggio e siamo molto fiere di averla con noi perché lei rappresenta il simbolo di una protesta che fa un passo in più. Il suo partecipare all’Expo come ambasciatrice vuole essere un’occasione per aprire le porte alle ragioni della Terra, come scrive nel suo blog. Il documento “Terra Viva” presentato in questi giorni da Shiva nasce dall’esigenza di “superare il paradigma dell’economia lineare estrattiva in favore di quella circolare rigenerativa”. Ha l’ambizione di guidare non solo la gestione dell’ambiente e dell’agricoltura, ma tutte le scelte economiche e sociali, lavorando in armonia con la terra, non dichiarandole guerra. Non è un caso che il manifesto “Terra Viva” richiami il “Primum vivere” su cui è nato l’incontro nazionale femminista di Paestum 2012. In tempi di crisi economica pressante “Primum vivere” istituisce una priorità e la dà al vivere. Ci invita a riflettere in ogni campo sulle cose di base dell’umano, a capire cos’è l’essenziale per sé e per gli altri. Perché questa crisi economica porta rabbia e depressione.
Il fiume di uomini e donne di ogni generazione e di ogni paese in manifestazione il primo maggio (mai visto così tanti immigrati, di ogni paese, partecipare in massa a una manifestazione italiana!) era espressione di quella rabbia e di quella depressione ed è sceso in piazza per denunciare le politiche sul lavoro e sulla casa giudicate irresponsabili. Solo alcuni giorni prima della manifestazione, le forze dell’ordine hanno sgomberato spazi occupati che ospitano diverse famiglie del Giambellino, un quartiere milanese lasciato allo sbando da decenni. In manifestazione le parole erano dedicate anche alle migliaia di persone che muoiono nel nostro Mediterraneo, scappando da guerre alimentate da interessi economici di cui l’Occidente è responsabile. Si protestava anche per lo scippo di risorse a favore di progetti che fanno gli interessi solo di imprenditori e multinazionali, di cui EXPO è l’emblema.
É stata una manifestazione molto partecipata e con tante anime che esprimevano il desiderio di ritrovarsi per sentirsi meno soli nella lotta contro un modello di sviluppo neoliberista che impedisce alle persone di aggregarsi per lotte comuni e spaventa tanto i giovani quanto i piccoli imprenditori. Sentivo a Radio Popolare che stanno nascendo associazioni di mutuo aiuto per fare in modo che la rabbia dei piccoli imprenditori e dei cassaintegrati non prenda forme autolesioniste e li porti al suicido. Molti, soprattutti i più giovani, hanno invece una rabbia contro il mondo insensato che hanno ereditato dalle generazioni precedenti e li porta a spaccare tutti i simboli del potere.

Mi riferisco a chi, in mezzo al corteo del primo maggio, ha rotto vetrine di banche, agenzie interinali, luoghi simboli del potere legati alla precarietà che vivono. Li chiamano Black Bloc e quando li ho visti in azione ero anch’io spaventata. Temevo che le loro azioni mettessero in pericolo tutti quelli che non volevano e non erano preparati a subire un’eventuale reazione della polizia.

Però sono stata colpita dalla loro la capacità di lavorare sull’immaginario in modo non scontato: “morte al macho” diceva una delle scritte che hanno lasciato sulle vetrine. L’immagine con cui ci hanno lasciato, svanendo in una nuvola colorata, per disperdersi tra noi e riprendere le vesti dei nostri figli, fa pensare.

Riflettevo infatti che mia figlia, che ora ha tredici anni, tra poco potrebbe essere con loro, e mi sono chiesta cosa farei se la vedessi in azione. Certamente sarei come una di quelle mamme di Baltimora che corre a prendersi il figlioletto per le orecchie per riportarselo a casa. Detto questo non mi convince la divisione tra buoni e cattivi. I Black Bloc sono ragazzi che usano la tecnica della guerriglia urbana, contro i simboli del potere, per ribellarsi a un sistema politico ed economico potentissimo, insostenibile, senza freni e senza coscienza, che ci fa sentire impotenti.

Le pratiche dei Black Bloc sono la rappresentazione di una rabbia che mi interessa ascoltare perché può essere intesa sotto la prospettiva della miseria simbolica di chi non ha alternative possibili. Questo interroga principalmente noi femministe, che abbiamo saputo inventare una politica radicalmente differente rispetto alle macchine istituzionali, dai partiti all’antagonismo, proprio partendo da una condizione di miseria simbolica: lo sappiamo, le donne sono nate come soggetto imprevisto proprio dal luogo dell’esclusione, dove erano senza parole e senza possibilità di autodeterminarsi. Sappiamo cos’è quella condizione di impotenza, sappiamo cosa significa non trovare rispondenza nelle mediazioni sociali già stabilite, apparentemente inscalfibili.

Le femministe sanno che il processo di presa di coscienza e di parola domanda lavoro di mediazione. Per questo credo sia fondamentale mettersi in ascolto, eventualmente cercare mediazioni e certamente tentare di capire il ‘corpo selvaggio’ prodotto dell’ordine simbolico legato al neo-liberalismo e al liberismo. Vorrei capire come rendere efficace e politica quella rabbia, pensare ad altre possibilità praticabili per loro e per noi. In modo che la rabbia non si trasformi in depressione autolesionista né sfogo fine a se stesso, maschile. Morte al macho: forse significa morte a un sistema che è difficile scrollarsi da dosso, togliere dalla scena.

Mi rendo conto che sono dentro una contraddizione, che sta nelle cose, tuttavia sono contenta di avere una donna come Vanda Shiva con noi alla Libreria delle donne di Milano il 16 maggio. Ci piace perché non si ferma alla protesta ma riesce a mettere al mondo un pensiero e una pratica differente e convincente, sa proporre alternative che parlano a tutti, agli arrabbiati dei movimenti, che sono stanchi delle cerimonie e delle politiche che sostengono EXPO, e a chi è critico rispetto al neoliberismo ma non ne può più di limitarsi a dire NO. Vandana Shiva, senza farsi intimidire dai potenti delle multinazionali ma armandosi di un sorriso magnetico, andrà a raccontare all’EXPO che le multinazionali ci hanno portato malattie e malnutrizione. Non nutrono il pianeta, come proclama lo slogan di EXPO 2015, ma lo affamano. Con lei ragioneremo su cosa si può fare perché Expo non sia solo la passerella di chi può vantare la tecnologia più innovativa, ma porti un pensiero intelligente partendo dal sapere di chi da sempre si occupa di nutrire e crescere sani: le donne.

(libreriadelledonne.it 08/05/15)

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