30 Settembre 2014
Il Quotidiano Del Sud

Via Dogana e l’Europa di Simone Weil

di Franca Fortunato

 

La pubblicazione, per la prima volta integrale, degli ultimi scritti di Simone Weil (Parigi 1909-Ashford 1943) composti a Londra tra il 1942 e il 1943 e raccolti in Una costituente per l’Europa (Castelvecchi, 2013), è segno di attenzione verso un pensiero che oggi si rivela di sorprendente attualità. A quegli scritti si ispira il numero di settembre di Via Dogana, la rivista di pratica politica della Libreria delle donne di Milano, dal titolo “L’Europa di Simone Weil”. Più che scrivere – racconta nel suo editoriale Vita Cosentino – Weil avrebbe voluto combattere, ma nel maggio del 1942 è costretta ad abbandonare la Francia e partire per gli Stati Uniti per mettere in salvo i genitori dalla persecuzione razziale. Il suo progetto è di farvi ritorno e partecipare attivamente alla resistenza, ma tutte le sue richieste in tal senso vengono respinte. France libre, l’organizzazione in esilio capeggiata da De Gaulle, la colloca invece in un ufficio londinese con il compito di esaminare pile di documenti provenienti dalla Francia occupata, in vista della riorganizzazione del paese a guerra finita. Chiusa nel suo ufficio – fino a tarda notte scrive pagine intensissime su tutte le questioni importanti del momento: la sovranità nazionale, i partiti politici, la giustizia, la logica dei diritti, la riforma costituzionale… Soprattutto matura l’idea che vivere in un’epoca in cui si è perduto tutto può essere l’occasione perché l’Europa faccia una sorta di autocoscienza e comprenda che la guerra non era stata la causa ma la conseguenza di una malattia più antica: la perdita di contatto con le radici della propria civiltà. E da qui ripartire. Pensa e scrive febbrilmente fino alla morte, che la coglie per tubercolosi la sera del 22 agosto del ’43. Accanto al suo letto d’ospedale, su un foglietto è stato trovato un frammento: «La sola cosa che possiamo costruire è una civiltà. Nuova, rispetto al caos spaventoso finito in incubo. Viva. Se possiamo». Simone Weil propone un’Europa unita, fondata sul ritrovamento delle proprie radici culturali, che sappia guardare al futuro in una prospettiva politica e culturale e non solo giuridica ed economica.

È l’Europa politica che non c’è e di cui si discute in tutti i paesi. Oggi, c’è un’Europa ingabbiata nei parametri di Maastricht, che ha «dimostrato un’incapacità politica stupefacente diventando preda del giocatore più forte, il capitalismo finanziario. E del paese economicamente più forte, la Germania, paese che non riesce ad avere un’egemonia culturale e politica. Infatti, ragiona pressappoco in questo modo: a me va bene così e così deve andare bene a tutti. …l’Europa è una realtà in fieri – scrive Lia Cigarini –. C’è una moneta unica ma non c’è una Costituzione europea. Quindi le cittadine/i europei non hanno ancora sottoscritto alcun patto sociale. C’è uno scenario aperto per la costruzione di un’Europa che vada oltre la sovranità degli Stati nazionali senza cadere nell’errore di spostarla su un superstato, che abbia nella negoziazione il suo principale strumento politico e non possa fare a meno – come scrive la Weil – del soprannaturale, del simbolico: “Al di sopra delle istituzioni, destinate a tutelare il diritto, le persone, le libertà democratiche, bisogna inventarne altre, destinate a discernere ed eliminare tutto ciò che nella vita contemporanea schiaccia anime sotto il peso dell’ingiustizia, della menzogna e della bassezza. Bisogna inventarle, perché sono sconosciute”». Oggi, in Europa, rispetto alle forme simboliche del diritto, esiste altro. «Negli ultimi cinquant’anni – scrive Clara Jourdan – è accaduto del nuovo: il movimento delle donne ha scoperto ed inventato la politica delle relazioni che creano autorità, all’interno e oltre i confini degli Stati, attraverso il senso libero della differenza (che segna tutti gli esseri umani) e l’accettazione delle differenze.» Simone Weil indignata, non meno di quanto siano molti oggi per il degrado della politica istituzionale, al punto da proporre l’abolizione dei partiti per favorire l’attenzione di ogni parlamentare alla giustizia e non la fedeltà alla disciplina di partito, è drastica: i partiti non sono strumenti di libertà e di democrazia, gli esseri umani sì. Perciò il popolo deve nominare esseri umani non perché lo rappresentino ma perché si occupino delle sue aspirazioni più profonde e vere come l’anelito alla giustizia. La sua esortazione a «Non credere di avere dei diritti», fatta propria dal femminismo della differenza, per l’Europa – come scrive Maria Concetta Sala – significa non puntare su una politica di rivendicazioni ma tenere aperto, oltre al diritto, il riferimento alla giustizia in cui trova «il suo limite invisibile l’imperio della forza». «Se si dice a qualcuno in grado di capire “ciò che stai facendo non è giusto”, è possibile risvegliare lo spirito di attenzione e di amore. Ma non si ottiene lo stesso scopo con parole come “Io ho il diritto di…”, “Tu non hai il diritto di…”, che racchiudono in sé una guerra latente e suscitano uno spirito bellicoso. Quando se ne fa un uso quasi esclusivo diventa impossibile fissare lo sguardo sul vero problema.» Se i suoi contemporanei, tranne poche eccezioni, hanno ascoltato poco o niente le parole di Simone Weil, oggi, e non da ora, esse trovano nelle donne della differenza orecchie più attente. In questa Europa ci sono altre/i disposti a fare altrettanto?

 

(Il Quotidiano Del Sud, 30.09.2014)

Print Friendly, PDF & Email