15 Giugno 2015

Come creare autorità femminile?

Ne discutiamo con Anna Di Salvo, tra le iniziatrici delle Città Vicine e Loredana Aldegheri, a capo della MAG di Verona, a partire da Autorità femminile nell’agire politico e nell’amministrare (numero speciale di “Autogestione Politica prima”, 2014) che dà conto delle pratiche e delle idee presentate al convegno Invito al passo avanti, d’autorità (Roma, 29-30 marzo 2014).

Circolo della rosa, 15 aprile 2015

Introduce l’incontro Laura Minguzzi.

Questo numero speciale di “Autogestione Politica” prima della Mag dal titolo Autorità femminile nell’agire politico e nell’amministrare dà conto del ricco scambio avvenuto nel Convegno dello scorso marzo 2014 Invito al passo avanti, d’autorità, voluto dalla Rete delle Città Vicine, da Anna Di Salvo, da Annarosa Buttarelli e da Loredana Aldegheri della Mag. Un passo importante nella definizione del tema del convegno è stato fatto da Buttarelli con il suo libro Sovrane. L’autorità femminile al governo (il Saggiatore, 2013). In Sovrane c’è l’invito alle donne che amministrano ad assumersi tutta l’autorità della loro sapienza di governo, liberandosi dalle strette logiche partitocratiche, dalle strettoie di inutili vincoli, liberando la propria soggettività e creatività. Si sentiva e si sente tuttora il desiderio di rilanciare una posizione già enunciata nel convegno dell’anno precedente Ci prendiamo la città (Roma, 23 marzo 2013), l’urgenza di alcune di definire e circoscrivere con parole più precise le esperienze che mostrano relazioni forti e radicate nelle rispettive città. Il focus del convegno Invito al passo avanti, d’autorità era puntare lo sguardo e precisare l’analisi sullo stato dei rapporti fra politica delle donne e politica delle varie amministratrici, sindache o deputate, consigliere comunali ecc. che non intendono mettere in secondo piano o addirittura cancellare la differenza, l’essere donna. Come hanno giocato in passato e come giocano oggi le nostre pratiche relazionali per un governo delle città, dei territori, improntati alla sovranità e non alla rappresentanza o a una logica di potere (come dice Buttarelli in Sovrane) o alla subalternità o alla sottomissione alla logica neoliberale?

Anche l’annuncio dell’incontro di questa sera è in forma di domanda. Come creare autorità femminile? Ma non c’è già? mi ha detto Adriana Sbrogiò sabato sera a tavola qui al Circolo. C’è sicuramente libertà femminile e le donne sono ovunque. Non tutto però è così lineare, ci sono dei passaggi non chiari o non detti in modo chiaro. Diciamo che ci sono dei vuoti di esperienza o di parola. Nei vari interventi ognuna ha cercato di fare il punto sulle proprie relazioni che a volte sono risultate un po’ aggrovigliate. Capita quando non sono chiari i desideri o le mediazioni e i termini delle relazioni non sono esplicitati e ben definiti o quando non c’è sufficiente fiducia. Un’autorità, si sa, deve orientare e per farlo deve rendersi visibile, mostrarsi e dare chiare indicazioni che devono essere accettate da tutti donne e uomini e riconosciute valide e risolutive, devono sciogliere nodi e produrre passi avanti. Ogni passo avanti registrato ha caratteristiche proprie, secondo i contesti e le relazioni in gioco. Per esempio, la sindaca di Monasterace Carmela Lanzetta che dopo essere diventata ministra nel governo Renzi rinuncia e torna indietro: in realtà noi leggiamo questo gesto come un passo avanti. A Orvieto Laura Ricci lascia il PD perché si è resa conto che è una perdita di tempo e pensa di accettare di candidarsi in una lista civica, non sappiamo com’è andata a finire. Ma per lei è un passo avanti d’autorità perché intorno a sé ha creato un contesto che le riconosce autorità e la incoraggia a fare una politica slegata dai partiti e fondata su relazioni autentiche.

A Milano su iniziativa e proposta di Bianca Bottero abbiamo messo in pratica un’idea di Sandra Bonfiglioli cioè un Laboratorio della città contemporanea per produrre pensiero analizzando le nostre vite nei vari quartieri in cui abitiamo o abbiamo abitato in passato e registrando i cambiamenti avvenuti negli ultimi dieci anni con sguardi da urbaniste e da comuni cittadine. È importante riflettere sulle evoluzioni delle idee in pratica politica, come questo processo avvenga per iniziativa di un singolo soggetto, ma trovi poi realizzazione pratica solo per intervento della politica, anzi della pratica politica. Mi spiego: io da anni chiedevo a Emilia Costa e a Bianca Bottero di venire nel mio quartiere Santa Giulia, interessato da violente polemiche sulla speculazione edilizia, gli imbrogli della vecchia giunta Moratti ecc., a fare un sopralluogo; riconoscendo loro una specifica competenza ed esperienza in materia, ci tenevo a scambiare le mie impressioni e il mio vissuto e mostrare lo stato dei lavori di bonifica e ascoltare il loro giudizio sull’insieme architettonico e la qualità dell’abitare. Solo dopo il Convegno delle Città Vicine Invito al passo avanti d’autorità il mio desiderio è stato esaudito e la pratica del Laboratorio della città contemporanea, un progetto politico ispirato al Primum vivere, un tassello della rete delle Città vicine, ha preso forma concreta. Bianca, Emilia, Sandra e io abbiamo fatto tre sopralluoghi in varie zone della città. Quartieri legati al nostro vissuto, alla nostra singola storia. Abbiamo messo per iscritto queste promenades e Bianca ha trasmesso le nostre riflessioni ad Anna Di Salvo a Catania. Cosicché le storie di città, le vite di città – come le chiama Bianca Bottero – si stanno trasformando in visioni in grande sulle città nel mondo, perché siamo anche delle viaggiatrici-esploratrici e tutto ciò accade grazie alla pratica politica, al valore che diamo al lavoro del pensiero scambiato fra noi. Porsi in ascolto della città, sentire la città, in profondità e ciò che accade. Per quanto mi riguarda, ho trasferito nelle promenades la mia pratica della storia vivente: ascolto dell’altra senza giudizi con pazienza. Il prendere un’iniziativa, iniziare qualcosa di nuovo, d’inedito è già un passo avanti d’autorità.

A Milano oggi ci confrontiamo anche con la questione dei beni comuni. La Casa delle donne di Milano chiama Milano bene comune; c’è stato recentemente un convegno promosso dalle Giardiniere, in primis da Maria Castiglioni, La forma della città, dove Bianca Bottero, invitata, ha posto l’accento sull’ambiguità della partecipazione ma ha espresso un giudizio positivo sulla modalità con cui le Giardiniere sono arrivate a proporre alla città questo momento di confronto sul loro progetto di riqualificazione della Piazza d’Armi. Ci siamo noi con il Laboratorio della città contemporanea. A noi pare importante dare priorità all’immaginazione e far parlare gli/le abitanti piuttosto che fare progetti di recupero. Ma ciò che ci accomuna è l’amore per la città. Forse siamo in un momento storico in cui c’è una debole visione del mondo quella che una volta si chiamava Weltanschaung. Nella nostra concezione dell’autorità che si fonda sulla radicalità, nel senso di tenere ferme le radici, non perdere il legame con la radice, con una politica generativa di vita, di trasformazione, quasi darwiniana, come diceva Luisa Muraro nella sua lectio al Bookpride, c’è già una forma del mondo, di orizzonte grande, dove ci stanno dentro le città che vogliamo, che immaginiamo.

Il cambiamento può venire dalle città. Io m’immagino un’Europa di città in relazione, prima che in rete, come noi che siamo partite dall’esperienza delle Vicine di casa di Mestre. Una pratica inventata da Sandra De Perini e Luana Zanella. Cioè da un’idea di prossimità, come dice Sandra Bonfiglioli. Oggi ci sono esperienze, esempi che vanno anche nel senso di portare i movimenti di partecipazione dal basso, le associazioni nate per il recupero di luoghi storici per sottrarli alle mire speculative, all’acquisto collettivo, con la raccolta fondi. Penso all’isola di Poveglia a Venezia o al Teatro di Mezzano in provincia di Ravenna, che vanno nel senso di trasformare un bene che appartiene al Comune in proprietà in comune per renderlo vivo e usufruirne secondo progetti e desideri della collettività. C’è anche un forte elemento di legame amoroso col passato, con la propria storia che insorge e fa comprendere la forza che hanno questi movimenti (racconto la storia del Teatro di Mezzano nel N° 3-95 di DWF 2012). Per esempio il nome dell’associazione Le Giardiniere scelto per il progetto di riqualificazione e rivitalizzazione della Piazza d’Armi fa pensare non solo al movimento delle Carbonare del Risorgimento ma anche al significato della parola in persiano: giardino in questa lingua si dice paradiso… perciò dare spazio ai giardini, agli orti a Milano significa anche volere vivere con agio in una città moderna. Ho fatto questa scoperta leggendo un libro di uno storico e letterato russo Dimitrij Sergeievic Lichaciòv, La poesia dei giardini, dove oltre a queste belle informazioni e connessioni fra il presente e il passato dei giardini in Europa e in Russia, ho trovato anche un riferimento alla legislazione urbanistica e architettonica di epoca bizantina in cui era previsto uno spazio, una distanza adeguata fra gli edifici che non doveva impedire la vista della campagna e lasciare libero l’orizzonte allo sguardo, perché la bellezza è riposo per l’essere umano. A me piacciono i grattacieli per esempio e domenica scorsa mi sono riposata molto andando a Porta nuova Varesine dove c’era il Mia, la Fiera di fotografia e con gioia ho visto la nuova piazza dedicata a Lina Bo Bardi. Ma purtroppo c’è un problema, sotto è scritto “architetto”. Ancora non c’è il coraggio di scrivere “architetta”. C’è una battaglia da fare per chi vuole cambiare la toponomastica della città ma non si tratta forse solo di questo. C’è da cambiare l’idea stessa di architettura, di urbanistica, di economia ecc., per nominare Lina Bo Bardi architetta. Il campo di grano che sta lì fra i grattacieli per ispirare la relazione con la maternità, il nutrimento, potrebbe diventare un campo di battaglia, far rivivere Demetra ma a modo nostro, per ridisegnare l’orizzonte, donne e uomini in relazione per un mondo sessuato e una città sessuata. Altrimenti c’è il rischio di un ritorno all’esaltazione della grande madre o della mater dolorosa, alla differenza biologica, dimenticando la differenza intesa come fecondità di una politica generatrice di nuovi significati perché aperta all’imprevisto, all’altro da sé. Una sollecitazione per l’amministrazione della città. La politica delle donne pretende molto: il vincolo nella relazione, l’affidarsi, la fedeltà a se stesse/si, l’esporsi a partire da sé, sono passi più complessi e faticosi dello stare in un’organizzazione tradizionale dove vige la scissione fra sé e sé o la schizofrenia fra pubblico e privato. Non si tratta solo di disgiungere il governare dal rappresentare, ma di un capovolgimento soggettivo che è molto meno generico di un vago cambio di civiltà. Alla fine del Convegno abbiamo registrato un sicuro guadagno, come scrive Anna Di Salvo, cioè la caduta del senso di diffidenza che spesso blocca gli scambi fra donne e uomini delle istituzioni con posizioni di potere e donne e uomini della politica prima.

 

(Laura Minguzzi, www.libreriadelledonne.it, 11 giugno 2015)

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