7 Luglio 2007

Incontro con le donne del movimento “No Dal Molin”

Luisa Muraro
Oggi ci incontriamo con il gruppo donne del presidio No Dal Molin di Vicenza, che lottano per qualcosa in cui tutte e tutti che siamo qui, io credo, concordiamo vivamente.
Né loro né noi ci diamo arie, ma penso che sia un giorno importante; penso inoltre che noi abbiamo da imparare da loro perché agiscono con energia e intelligenza in una situazione tutt’altro che facile.
Alcune di loro sono femministe o hanno radici nel femminismo, altre assolutamente no. C’è una caratteristica di trasversalità che abbiamo sempre sentito; il disfare certe geografie che paralizzano le forze per collegarsi trasversalmente e ricominciare la politica a partire dalla qualità di certi rapporti.
D’altra parte, loro sono invece in una situazione differente. Ricordo, da un vecchio testo che è stato considerato importante: i tempi, i luoghi e gli strumenti della politica delle donne non sono quelli della politica tradizionale.
Questo movimento è nato da una ragione grave e precisa, cioè dalla scoperta che un pezzo del loro territorio era stato venduto (ma diciamo pure svenduto, perché non è che ci siano grandi guadagni…) al governo degli USA, a loro e nostra insaputa, con la connivenza di uomini politici sia di destra che di sinistra, e anche – almeno per un certo tempo – con quella dei giornalisti, della stampa. In un primo tempo, infatti, i giornali hanno tentato di far credere che si trattasse di una base Nato, che quindi faceva parte degli impegni presi all’interno di questa alleanza (essa stessa una costruzione su cui bisognerebbe interrogarsi, ma comunque una cosa diversa…).
Non si tratta affatto, invece, di una base Nato, ma di una base che dipende dal Pentagono, cioè direttamente dal governo degli Stati Uniti. Una delle prime battaglie che si è dovuta fare è stata quindi quella di far sì che si dicesse la verità.
Loro si trovano in un’urgenza, in una costrizione, riguardo ai mezzi e ai tempi della loro lotta, che sono quelli che sono, e sono dettati da altri, non certo liberamente decisi da loro… È una morsa, in cui bisogna scegliere se starci o non starci.
Le donne che sono qui oggi hanno trovato un modo per farlo: nell’intervista a Radio Popolare di stamattina, Antonella parlava ad esempio della cura che hanno per il loro presidio, che è uno scampolo di terra polverosa ricavato fra due strade, vicino al sito dove vorrebbero costruire la base… E’ una cosa simbolica e, in questo senso di grande bellezza, in senso umano e politico…

 

Le domande che mi preme porre, in questo confronto, sono queste: come si fa a non farsi rubare l’anima dal fatto di dipendere dai risultati di una lotta politica che ha degli obiettivi?
Come si fa a stare a una politica dove bisogna lottare alle condizioni che non hai scelto tu, dove non c’è agio, né puoi rallentare i tempi, perché i tempi sono quelli che sono…?
Come si fa ad avere, qui e ora, quella gioia, quella soddisfazione che viene dal dire “io ci sono, qui”?
Come si fa, in una lotta come questa, a non vivere con la testa finalizzata all’obiettivo fuori di sé, che strumentalizza tutto?
Come si fa ad avere già guadagnato oggi, qui ed ora, con le altre, la vera ragione per cui si combatte, che è quella di favorire la vita e le condizioni che rendono la vita possibile della vita, a cominciare dalla pace? Come si può tenere tra le proprie mani l’essenziale, senza farselo rubare dalle urgenze della mobilitazione? Io ho sempre rifiutato l’idea di una politica basata sulla militanza, eppure mi sono ritrovata a dire, magari un po’ scherzosamente, “sono anch’io una militante “No Dal Molin””, perché evidentemente questa la sento come una milizia, seppure naturalmente in senso pacifico…
Pongo queste domande perché so che voi avete questo segreto, e anche per un altro motivo, cioè pensando alla “Madre Pace” americana, Cindy Sheehan, che a un certo punto si è trovata piegata, ha perso le energie. Non ha perso la sua ispirazione, non ha tradito; ma – come spiega lei stessa – a un certo momento, da qualche parte, ha perso qualcosa che era la sua forza. So, quindi, che si cammina su un filo prezioso e rischioso, difficile…

 

Antonella Cunico
Quelle che ci fa Luisa sono domande importanti… Io comunque vorrei fare una premessa: come avete visto dal video, il nostro movimento ha una caratteristica particolare, la sua grande eterogeneità. È un movimento trasversale, che comprende uomini e donne, persone di età e di culture diverse, che hanno iniziato a parteciparvi con motivazioni e obiettivi molto differenti.
Ci siamo resi conto abbastanza rapidamente che a Vicenza stava accadendo qualcosa di veramente straordinario: tutto quello che avete visto contrasta moltissimo con lo stereotipo del vicentino che tende a farsi gli affari propri e (per quanto riguarda le donne) a guardare solo alla propria famiglia. Adopero alla lettera delle frasi che ho sentito fin da quando ero piccola, usate anche da Goffredo Parise e Luigi Meneghello per descrivere il modello tradizionale della vicentinità quieta, che tende appunto a farsi gli affari suoi, a non immischiarsi. Abbiamo visto, invece, che seppure in misura diversa la gente ha iniziato a mobilitarsi.
Posso dire che cosa è accaduto a noi, e innanzitutto a me. Io abito nella zona di confine tra Vicenza e Caldogno: la mia casa è proprio al limite dell’argine oltre il quale c’è l’aeroporto. Dalla mia finestra vedo i Colli Berici, i campi ancora intatti, le case… Con la mia famiglia siamo andati ad abitare lì, siamo usciti dal centro città proprio perché cercavamo un ambito quieto in cui vivere.
Però, lavorando a Vicenza, non conoscevamo i nostri vicini, non avevamo intessuto rapporti, relazioni. Oggi invece proprio attraverso questo percorso queste relazioni le abbiamo strette, tessute, create. Dal punto di vista personale e familiare, dunque, è stata un cosa molto importante.
Dalla fase iniziale di preoccupazione, in cui si cercavano soprattutto informazioni sul progetto e sulle conseguenze che la sua realizzazione avrebbe comportato, qui e ora, per noi, siamo passati a porci interrogativi più importanti: cosa avrebbe significato la presenza della 173^ Brigata aviotrasportata, che sarebbe arrivata a Vicenza per ricongiungersi con le truppe della caserma Ederle.
Cosa vuol dire rientrare, come popolazione, in una strategia complessiva che ha una funzione terribile nel mondo, quella della militarizzazione.
Cosa vuol dire essere parte di un gioco che si decide sopra le nostre teste e che ha come finalità il controllo delle zone “calde” del mondo.
In un primo momento speravamo che l’attuale governo si sarebbe opposto a un progetto le cui trattative erano iniziate con il governo precedente. Quindi tutta la prima parte della mobilitazione è stata volta a raccogliere informazioni, a cercare di capire cosa stesse accadendo, per sensibilizzare l’opinione pubblica e arrivare a coinvolgere i cittadini e le cittadine nel processo decisionale.
La svolta, lo spartiacque si è determinato a gennaio, quando Prodi disse che non si sarebbe opposto alla realizzazione del progetto. A quel punto la città è scesa in piazza, in una manifestazione spontanea durante la quale ci fu l’occupazione della stazione ferroviaria. Una cosa incredibile, per Vicenza… Quella notte si costituì il presidio e iniziò una nuova fase, caratterizzata dall’urgenza, dall’incalzare degli eventi. Dovevamo cercare di mantenere viva l’attenzione, di dare dei segnali per far capire che lì era iniziata una resistenza tenace, che una parte della città continuava ad opporsi.
Come si fa, in questo vortice, a stabilire delle relazioni, a non farsi risucchiare la vita?
Noi donne abbiamo iniziato a costituire proprio tra di noi un gruppo, per riflettere insieme su quel che stava accadendo. Ci siamo dette “non possiamo farci trasportare dagli eventi, bisogna che vediamo che significato ha per noi essere qui”.
Come ricordava Luisa, tra di noi ci sono persone che hanno fatto un percorso nel movimento delle donne, che si riconoscono nei valori che fanno capo a questa esperienza, e molte altre che invece non sono mai entrate in questa dimensione.
Il primo interrogativo che ci siamo poste è stato dunque “che tipo di relazione possiamo costruire tra noi, per fare in modo che il nostro essere qui, il nostro tempo ed impegno abbia un significato per noi, e non solo per l’obiettivo del no al Dal Molin (che, come si è detto, è un obiettivo di carattere generale)?”.
Abbiamo cercato un significato alla nostra presenza lì a partire dalla relazione con le altre.
In questa ricerca ci ha aiutato molto Nora, che è qui con noi. Nora è una formatrice, un’animatrice… Ci ha avviate a riflettere, a esplorare le motivazioni iniziali che ci avevano portato lì.
Nel frattempo gli eventi urgevano… Così abbiamo cercato di imparare a “giocare con la catastrofe”, per citare un libro di Enrico Euli. Abbiamo costruito delle azioni nelle quali ci siamo anche divertite, come quella per l’occupazione della basilica palladiana, o quella fatta con i ragazzi e le ragazze dei centri sociali, per contrastare il concerto della banda militare che il comune aveva organizzato sul piazzale della Vittoria (americana, naturalmente…). Abbiamo cercato di esprimere la nostra opposizione con fantasia, utilizzando anche la componente ludica.
Parlo di “giocare con la catastrofe” perché la prospettiva davvero è di quelle che non fanno dormire la notte… Se guardo dalla finestra e penso che fra un anno tutto quello che vedo adesso potrebbe non esserci più, provo veramente un’angoscia incredibile.
Però poi quando vado al presidio e sto con Cinzia, con Nora, con le altre donne che sono animate dalla mia stessa tenacia, dalla mia stessa volontà di resistere nonostante tutto, allora la sensazione che provo è anche di serenità, di star bene… Cerchiamo di star bene tra di noi, di “giocare con la catastrofe” e di costruire delle azioni con fantasia per stare dentro al movimento, per partecipare a questa lotta con le sue diverse anime, ma in questo processo vogliamo anche conoscerci, riconoscerci e stabilire tra di noi delle relazioni che non sono solo “tra militanti”. A queste persone adesso io voglio bene, con loro sto avviando un percorso che credo ci porterà molto più lontano dell’obiettivo contingente del no al Dal Molin, e questo per me significa stare in questa lotta con agio, e andare anche oltre…

 

Cinzia Bottene
Io non ho mai avuto esperienze nel movimento delle donne, nel femminismo. Fino a un anno fa ho avuto una vita assolutamente normale, banale. Poi mi sono trovata coinvolta in questa vicenda che mi ha presa e mi sta prendendo totalmente, perché è una battaglia in cui credo fortemente, soprattutto per la difesa della mia città.
Io non sono neanche così direttamente interessata, da un punto di vista egoistico, perché abito un po’ più in là… Ma è una battaglia che mi sento di fare soprattutto in nome di mio figlio, di tutti i nostri figli. Non solo dei figli dei vicentini, ma di tutti i ragazzi italiani, perché non è un problema che riguarda solo la città. Riguarda l’intera nazione, perché è un indirizzo politico quello che viene dato, e vuol dire – più che svendere – regalare il territorio nazionale, che viene poi fruito per scopi che non hanno niente a che vedere con gli interessi del nostro paese. Vuol dire rinunciare alla dignità e alla sovranità, e questo mi indigna, non riesco ad accettarlo. Da qui è nata per me l’esigenza di portare avanti questa lotta.
Io poi sono anche la “responsabile” di quella denominazione – che ormai non ce la faccio più a sentire – di “casalinghe alla riscossa”*, che viene dal fatto che sono una casalinga e ho avuto in questo movimento un ruolo un po’ più sovra-esposto (Cinzia si riferisce al titolo della puntata di “Anno Zero” di Michele Santoro dedicata al movimento No Dal Molin, poi adottato da molti mezzi d’informazione, n.d.r.). Dico che non ce la faccio più a sentirlo perché mi sembra molto folkloristico, riduttivo.
Oltre a non avere mai avuto prima un coinvolgimento nelle problematiche femminili – a differenza di Antonella -, io non ho neanche mai avuto (al di là delle “amiche della vita”) dei grandi rapporti femminili, con gruppi di donne. Per me quindi questa è stata un’ulteriore scoperta, e anche una difficoltà: per certi versi infatti potrei dire che ho un carattere un po’ maschile, che sono più portata all’azione che alla riflessione, e in certi momenti questo può anche danneggiare il rapporto fra noi donne.
Per il ruolo che mi sono trovata ad avere, fra capo e collo, non ho potuto partecipare al gruppo donne, e quindi mi perdo anche il loro modo di giocare, di divertirsi nella catastrofe. A me resta solo la catastrofe… Le invidio moltissimo, mi spiace non avere il tempo per questo e mi riprometto, appena possibile, di entrare nel loro gruppo… Perché davvero – come dicevo – il rapporto con le donne, il far gruppo fra donne per me è stata proprio una scoperta. Voglio molto bene a tutte le persone del presidio, e in particolare voglio molto bene alle donne. Credo che la nostra forza deriva e deriverà proprio dal fare gruppo, dall’essere molto coesi e dai grandi affetti che ci sono tra noi. È un po’ come la famiglia, che secondo me è molto efficace se c’è una difesa collettiva basata sull’amore. All’interno del presidio noi questo amore lo abbiamo, e dobbiamo coltivarlo.
Viviamo sempre nell’emergenza: una condizione che io sento molto, ogni giorno, però questo percorso ha portato una ricchezza incredibile: a me, perché come ho detto ho scoperto delle relazioni per me non consuete, ma anche alla città e a tutti.
A volte dico che non so come andrà a finire la questione del Dal Molin, che è una battaglia difficilissima, ma so che sicuramente noi tutte – e tutti i partecipanti al presidio – ne saremo profondamente cambiate/i: perché ci ha fatto scoprire le relazioni, la tolleranza fra noi, il saper fare comunità nonostante le differenze enormi (di età, di provenienza politica, ecc.) a cui accennava prima Antonella. Questa è una ricchezza che, comunque vadano a finire le cose, nessuno ci toglierà più, perché noi siamo profondamente cresciute, cambiate, in questo anno di lotta. Ed è un tesoro che ci resterà.

 

Nora Rodriguez
Sono argentina, vivo in Italia dal 1982. Pensavo proprio in questi giorni che sono quarant’anni che vivo nella resistenza: prima per la dittatura in Argentina. Poi, quando sono arrivata in Italia, a Milano, nella resistenza dei migranti: i personaggi dei partiti politici infatti ci rincorrevano (soprattutto quelli di noi di origine italiana) per offrirci tante cose in cambio del voto… e io resistevo.
Quando mi sono trasferita a Vicenza ho cominciato a lavorare nell’educazione ai diritti dei bambini. Per me non c’è educazione se non c’è relazione. E ho sempre abbinato la resistenza e la relazione, nel mio percorso di vita. Non è neanche stata una scelta, mi ci sono trovata, ma sono state queste le cose che mi hanno dato forza. Ho visto nascere il movimento delle Madres de Plaza de Mayo e (dopo aver perso il mio compagno) ho trovato nel gruppo delle donne la forza, il coraggio per andare avanti. Ho deciso di emigrare solo quando ho saputo dove era finito: prima non avrei potuto, avevo promesso che sarei rimasta nel mio paese finché non avessi saputo che fine aveva fatto. Solo poi ho trovato il coraggio di emigrare e di cominciare altre battaglie.
Però non mi sarei aspettata di trovarmi ancora questo nemico davanti… La sera dell’occupazione della basilica mi sono trovata a pensare: “ho attraversato un oceano, ho cambiato vita, ho ricominciato da capo e mi ritrovo un’altra volta con l’esercito, la militarizzazione, l’atropeyo – una parola spagnola che significa quando ti passano sopra senza chiederti come la pensi”.
Nel presidio, conoscendo queste donne, ho capito quante storie si intrecciavano… E ho pensato che questo era un tesoro da tramandare, al di là degli eventi storici: non sappiamo come finirà la nostra battaglia, la nostra lotta. Ma anch’io credo che la nostra storia non finirà, perché noi stiamo modificando profondamente Vicenza.
A me interessa molto il linguaggio, la cura delle parole e il ribaltamento del senso del discorso. Attraverso diversi passaggi ed esperienze (ad esempio il lavoro con i bambini e l’insegnamento dello spagnolo per la
traduzione, la conoscenza della letteratura spagnola femminile contemporanea) ho capito come la mia storia si intrecciava con questo, e mi sono resa conto che non volevo che la nostra storia – quella delle donne del presidio – restasse parziale, locale o fosse triste e noiosa.
Vorrei che invece ci desse la forza di ridere, di stare in cucina insieme, di dirci a volte anche delle cose forti, conflittuali… Ho proposto di parlare anche dei sentimenti, perché in questa lotta condividiamo tristezze, angosce, paure, ribellione, di come ci sentiamo quando occupiamo la basilica, o l’otto marzo, a cui io sono allergica… Abbiamo pensato a un otto marzo diverso: ci siamo presentate davanti al governo della nostra città con un poncho marrone (il colore della terra) e con una maschera bianca (per dire che siamo allibite) e con un vasetto di terra in mano con sopra scritto “la madre terra rifiuta le basi di guerra”. Le forze dell’ordine erano alquanto perplesse: davanti all’irriverenza non sanno cosa dire, cosa fare; sono presi alla sprovvista.

 

Ersilia Filippi
Sono in questo movimento con una figlia. Di figli ne ho tre, di cui due femmine: quella di diciotto anni al presidio non c’è, ma solo perché quest’anno ha la maturità da fare; con la testa, però, anche lei è lì. L’altra, invece, è proprio attivista. Anzi, all’inizio è stato quasi per controllare mia figlia che ho cominciato a seguire questa faccenda.
Pur venendo dal femminismo – da giovane ero nel collettivo “La metà del cielo” di Vicenza -, in questa fase della vita non me ne poteva fregar di meno… Confesso che all’inizio non ero neanche al corrente di questa vicenda del No Dal Molin… L’anno scorso, quando hanno fatto la prima fiaccolata, io ero in ferie. Quando mia figlia mi ha chiamata per dirmi che ci stava andando, siccome sapevo che frequentava il capannone del centro sociale, già cominciavo a tremare… Insomma, stavo facendo la mamma: ho cinquant’anni, faccio la mamma. Certe cose le avevo messe da parte; mi dicevo: “le manifestazioni, le contestazioni le hai già fatte; adesso lascia che figli facciano la loro strada…”.
Poi invece un giorno, verso l’autunno, quando mia figlia (che nel frattempo continuava a seguire assiduamente la vicenda) mi ha detto tutta entusiasta che c’era un’assemblea permanente, ho deciso di andare a vedere che cosa faceva. Mi preoccupavo, lo dico sinceramente. Per me è cominciata così…
Non sono l’unica ad avere figli al presidio. Tra di noi ci siamo confrontate su questo, perché ci sono anche conflitti tra le generazioni, in particolare con le figlie femmine. Siamo dentro nella stessa lotta, ma non è sempre facile: nell’occupazione della basilica, ad esempio, ci poteva essere anche il rischio di una denuncia. Io l’occupazione l’ho fatta con mia figlia, ma ogni tanto mi chiedevo: “ma cosa sto facendo?”.
Viceversa, quando abbiamo organizzato l’otto marzo lei non è venuta; mi ha detto “a me non importa, la festa della donna io proprio non la sento. Noi non abbiamo gli stessi problemi che avevate voi”. Non riuscivo a farle capire che anche lì c’era di mezzo il Dal Molin. Altre giovani invece hanno fatto l’azione con noi, anche grazie a Nora, che ci aiuta sempre molto a mediare.
La ricchezza è proprio questa. Se penso alla mia giovinezza, a come mia madre fosse lontanissima, al fatto che per poter fare le mie scelte – femminismo per primo – sono scappata di casa, e poi mi guardo adesso, mentre mi ritrovo di nuovo dentro a una cosa così, per una motivazione come questa, quasi ripartendo da zero, con ragazze di vent’anni che sono anche le mie figlie… Mi pare che di motivi per riflettere ce ne siano moltissimi.
Mi sembra una cosa unica al mondo, una novità assoluta, almeno in questo contesto. Io mi ci sono buttata a pesce… E mi fa un po’ male quando le “ex”, le “storiche” che mi vedono là mi dicono: “ma cosa ti sei messa a fare?”. All’inizio non sapevo neanch’io bene che cosa rispondere, perché quello che mi succedeva in un certo senso sorprendeva anche me… Però so che questa lotta mi prende, che c’è qualcosa che mi prende “di pancia”, che con le altre donne sto andando ad analizzare, ad approfondire.
Adesso dico a me stessa che forse era anche un po’ di tempo che non mi domandavo più certe cose; che forse mi ero fermata lì, contenta di quello che avevo realizzato di me stessa, e invece non avevo realizzato tante altre cose… In questa lotta ci sto molto dentro, anche con tutte le mie difficoltà, ma convinta… E se non ci fosse questa solidarietà, questa vicinanza con le altre adesso non potrei parlarne così.

 

Anna Faggi
La mia storia è un po’ diversa, anche se ho molti punti in comune con Ersilia e le altre amiche che sono al presidio. Io sono entrata nel movimento nell’agosto dell’anno scorso per merito di mio figlio quattordicenne, che era molto interessato alla cosa. Anche lui cominciava a frequentare i centri sociali e anch’io, come Ersilia, avevo i capelli ritti. Mi parlava di questo Dal Molin, dell’osservatorio tenuto dai ragazzi disobbedienti che per primo aveva iniziato ad approfondire il problema… Così io e mio marito ci siamo trovati alla fiaccolata dell’estate scorsa. Io non avevo mai fatto politica direttamente: da ragazza sono andata alle manifestazioni, e le mie idee sono sempre state vicine a questi problemi, ma non sono mai stata un’attivista come Ersilia.
Dalla fiaccolata in poi, invece, anch’io ho cominciato a vivere questa cosa di pancia: man mano che mi addentravo nel problema, l’idea che un’altra base venisse a rovinare la nostra città, ad appropriarsene, mi coinvolgeva sempre di più. Vorrei ricordare che a Vicenza, oltre alla caserma Ederle, ci sono già moltissimi altri stanziamenti degli americani; hanno trapanato tutte le nostre colline, riempiendole di armi nucleari e di altro materiale bellico.
Mi sono ritrovata sempre più coinvolta, sempre più appassionata: questo Dal Molin è come una droga, non riesci più a farne a meno… Perché l’indignazione è talmente grande, talmente insopportabile, che non si può stare fermi.
Io abito in centro città, lontana dalla zona del Dal Molin. Per me si tratta soprattutto di non essere coinvolta in una politica di guerra. Io non voglio essere partecipe delle azioni che partirebbero dalla mia città per andare ad ammazzare civili in Afghanistan, in Somalia e in tutti gli altri paesi che gli americani vogliono conquistare. Mio figlio mi ha insegnato che non si può tenersi fuori da questi problemi: mi sentirei terribilmente in colpa. La cosa interessante è anche questa partecipazione della famiglia in una lotta così. Proprio venendo qui, parlavamo di come cambiano i rapporti, gli equilibri all’interno della famiglia… Perché una cosa così ti sconvolge anche la vita quotidiana: c’è l’emergenza e devi andare; sei a tavola e parli di quello; c’è il gruppo donne da cui sei coinvolta emotivamente, mentre l’uomo partecipa in un modo diverso e i ragazzi, i disobbedienti, in un altro modo ancora. Ai ragazzi, poi, ci siamo affezionati tutti; a questo punto non potremmo fare a meno di loro.
Questo movimento è una cosa straordinaria… Nella disgrazia di avere il Dal Molin, io penso che è una fortuna incredibile che mi sia capitato di vivere un’esperienza del genere. Secondo me questo è un aspetto molto interessante della faccenda. È proprio un convivere, un volersi bene, quello che c’è nel presidio; pur scazzandosi, perché non crediate che vada tutto sempre liscio… Ci si arrabbia anche, si tengono i musi, ci si fronteggia… Ma se stai una settimana senza andarci, senti che ti manca qualcosa. Dico la verità: un’appartenenza così forte io non l’ho mai sentita. Al contrario, adesso se vado in centro perché devo fare qualcosa, in quel contesto mi sento a disagio.
L’altra cosa importante è la grande presenza di donne; donne straordinarie, secondo me. Per me, che avevo una vita tranquilla – di lavoro, di famiglia, di relazioni, ma senza questa spinta politica -, trovare persone come Ersilia, Paola (che è sempre stata antimilitarista), Antonella, come tantissime altre che non sono qui oggi, è stato un incontro di grande ricchezza.
Questa lotta ha una prospettiva difficile, come diceva Cinzia. Però la città è stata segnata da quest’esperienza, anche al di là del Dal Molin.
Vicenza è sempre stata una città dormiente, soffocante, chiusa, in cui ognuno era dedito solo a guadagnare soldi: il Nord Est deve lavorare, produrre, per avere soldi che poi non si sa neanche come e quando spendere… Avere invece momenti di riflessione e di socializzazione come quelli che ci sono nel presidio cambia la vita delle persone: di certo ha cambiato la mia.

 

Paola Ziche
Io sono l’antimilitarista… Eppure non sapevo quasi niente della vicenda del Dal Molin. Questa storia mi è piombata addosso, come a quasi tutti…
Immaginate cosa può essere, per una che agli inizi degli anni ’70 faceva parte di un gruppo antimilitarista che lavorava sulla non violenza, vedere questa mobilitazione non da parte dei soliti “addetti” (militanti, politici), ma da parte di un gruppo di persone composto da donne, bambini, anziani, diversamente abili… All’inizio ero affascinata soprattutto da questo.
In passato, negli anni ’70, ho seguito l’iter della legge sull’obiezione di coscienza: eravamo tre-quattro donne a impegnarci maggiormente su questo, e spesso ci chiedevano perché ce ne occupassimo tanto, visto che in quanto donne non dovevamo fare il sevizio militare. Rispondevamo che era per garantire anche ai ragazzi, agli uomini il diritto di non farlo.
Al momento non ce ne siamo accorte, ma poi, riflettendoci, ci siamo rese conto che il nostro discorso era sovversivo. In primo luogo perché era impostato sulla differenza. Poi perché abbiamo trasformato una condizione di inferiorità (le donne infatti non facevano il militare perché considerate fragili, deboli, fifone…) in un vanto, un vantaggio, un diritto che per generosità volevamo estendere anche ai maschi.
Una cosa simile era successa al movimento degli afro-americani: la loro vittoria è stata l’aver saputo trasformare il loro svantaggio, la loro inferiorità in orgoglio.
Dentro al movimento No Dal Molin la “carica” delle donne ha una grande forza. Si è visto anche l’otto marzo, sotto il municipio, dove eravamo in centinaia… Lo si vede tutti i giorni, dentro al presidio, anche nella cura che abbiamo di questo luogo, che è un tendone piazzato su un polveroso ex campo di mais: come Silvia ha visto, oggi invece abbiamo i girasoli. All’inizio, d’inverno, ci si gelava dentro… Una mattina ha cominciato a piovere dentro, per la condensa: Cinzia forse si ricorda della mia telefonata disperata… Allora abbiamo preparato teli con cui coprire tutto. Ne abbiamo inventata una al giorno, per renderlo il più accogliente possibile. Abbiamo cambiato il pavimento due volte. Abbiamo una talpa che viene a trovarci, gli uccellini che volano dentro per mangiare le briciole, una pianta di zucca che avevamo piantato fuori ed è cresciuta anche dentro, bellissima da vedere…
È difficile spiegare cosa sta succedendo, noi stesse ce lo stiamo chiedendo, ma intanto ce lo stiamo godendo fino in fondo, perché è una cosa che dà molta carica. E ritrovare la carica, dopo molti anni, è molto importante. Chi ha fatto politica (e a Vicenza, in particolare) sa che cosa succede, cosa significa la demoralizzazione, la sconfitta. Credo che la cosa più importante sia questa.
Vorrei che veniste a vedere, perché solo così si può capire bene sia quello che ci sta succedendo, sia quello che ci stanno facendo, che vogliono fare alla nostra città. È molto bella, Vicenza: Rumor la chiamava “la piccola Atene ai piedi dei colli Berici”… È bella come posizione naturale, e per la sua leggerezza dal punto di vista architettonico… Se pensate a quello che già abbiamo subito fino ad oggi e a quello che ancora vogliono fare – seppellirci nel cemento -… È una cosa che sentiamo come intollerabile.
Vorrei davvero che veniste a vedere, perché io sento il bisogno della presenza anche di chi sta fuori, altrove, anche perché sono tanti i vicentini insensibili, indifferenti, o che per comodità chiudono gli occhi.

 

Luisa Muraro
Lasciami dire, Paola, che a te è andata bene: una vecchia antimilitarista a cui “scoppia” il No Dal Molin!

 

Ersilia Filippi
Vorrei ricordare anche la storia delle pentole, di cui non abbiamo ancora parlato… Adesso è un po’ che non le prendiamo in mano, ma è solo questione di occasioni… Però è una modalità di azione che ci dava forza: essere lì tutti insieme, con questo rumore, con questo ritmo… Per me era una cosa del tutto nuova.
L’altra cosa che vorrei ricordare è che noi, il “gruppo donne”, siamo una componente del movimento, ma che in città ce ne sono anche altre: ad esempio le donne di “Presenza donna”, che fa capo alle suore, che non vengono al presidio, ma che alla stazione erano sui binari, e l’otto marzo erano davanti al comune con noi… Gli porto sempre i pacchi di documenti, di volantini… È una presenza più sommersa, ma molto attenta, e molto femminile. C’è una riflessione non da poco… Questo inverno hanno fatto anche un convegno in cui hanno affrontato il problema del No Dal Molin. Sono donne che pensano.
E torno un momento anche alle relazioni familiari. In questo senso considero la mia famiglia un esempio emblematico: la figlia “no global”, la mamma col “gruppo donne”, il padre “Ulivo tradito da Prodi”, che si è messo con le “famiglie della pace”, di ambito cattolico…

 

Andrea Ladina
Vengo da Cremona: ho saputo di questo appuntamento da Radio Popolare, e sono venuto perché mi colpisce questo elemento di condivisione delle cose che si stanno vivendo.
Non mi chiedo perché siano soprattutto donne quelle che hanno cominciato a farlo, a discutere, a riflettere in questo modo. Certo la trovo una cosa molto positiva e stimolante.
Un’altra ragione per cui sono qui è che il 18 di luglio, nel Consiglio provinciale di Cremona, verrà discussa una mozione che ho preparato (sono un consigliere provinciale dei Verdi, che fanno parte della maggioranza) e di cui vorrei leggervi il dispositivo finale: si chiede al Consiglio provinciale, al presidente della Provincia, di richiedere al governo degli Stati Uniti, attraverso il suo ambasciatore in Italia, “che realizzi nella città di Vicenza un parco internazionale “Foresta di Pace”, con la piantumazione nell’area dell’aeroporto Dal Molin di centomila alberi, destinando in tal modo le risorse economiche previste per l’ampliamento della base militare in opere per l’ambiente, la cultura, la pace, e come campus internazionale di incontro per i giovani, in alternativa all’ampliamento dell’attuale base americana e come simbolica riparazione umanitaria e ambientale alla dissennata guerra in Iraq”.
È la prima mozione di questo tipo che viene proposta in Lombardia, e forse anche in Italia.
Ero un po’ preoccupato, perché la richiesta, protocollata qualche settimana dopo la manifestazione che si è tenuta a Vicenza a febbraio, giaceva lì, in attesa… Quando finalmente, nell’ultima riunione del Consiglio, era prevista la discussione, il tema precedente ha assorbito così tanto tempo che la cosa è stata ancora rimandata. A ciò si aggiunge, come difficoltà, che diversi colleghi del centro sinistra vorrebbero bocciare questa mozione…
Quindi cominciavo a pensare che per arrivare alla discussione e per cercare di arrivare a un esito positivo fosse necessario trovare alleanze, altre modalità… È un fatto casuale, ma io credo nella provvidenza: stamattina, sentendo la radio, ho pensato “ma questo è un miracolo!”… Il fatto che a Milano oggi ci fosse questo incontro, questa discussione, proprio a pochi giorni dal ritorno in aula della mozione mi è sembrato un miracolo!
Quindi, fermo restando che la questione politica deve restare fuori, che mi piace la piega culturale che ha preso stasera qui la questione, chiederei sia agli organizzatori di questo incontro che alle donne di Vicenza di scrivere al Consiglio provinciale di Cremona una lettera in cui si chiede a tutti i consiglieri di votare a favore di questa mozione, a prescindere dalla posizione del partito a cui si appartiene. Vi chiedo di fare pressione per fare in modo che questa mozione venga approvata.

 

Luisa Muraro e Silvia Marastoni
Questa è una discussione politica, non culturale. La politica non è fuori di qui, l’ultima delle nostre intenzioni è quella di lasciarla fuori. Questa è politica delle donne. E noi non siamo gli organizzatori di questo incontro, ma le organizzatrici…

 

Andrea Ladina
Prendo atto delle vostre obiezioni: sarà che penso alla politica in un altro modo, che questa mi viene da chiamarla politica culturale… e che l’organizzazione è “maschia”… Vorrà dire che devo imparare… Fa sempre bene imparare…
Mi sembra di essere di fronte a un “collettivo Lisistrata” di Aristofane, che dice “stop alla guerra, altrimenti noi non facciamo più l’amore…”.

 

Cinzia Bottene
Volevo tornare un momento su quel che si diceva prima a proposito dei cambiamenti nei rapporti familiari. Prima Paola accennava al terreno su cui sorge il presidio, che era un piccolo campo coltivato a mais. La proprietaria è una signora leghista che ce l’ha dato in uso gratuito. Questo è già strano, ma d’altra parte al presidio abbiamo molti leghisti, come gente di Forza Italia.
Voglio un bene dell’anima a questa signora, e spesso scherzando le dico “è meglio che io e te parliamo solo del Dal Molin, perché se ad esempio affrontiamo la questione degli immigrati probabilmente facciamo a botte…”.
Quando lei ha deciso di darci il terreno, ha dovuto sostenere una battaglia durissima con i due figli, che sono poi i veri proprietari. Specialmente con uno dei due, per parecchi mesi non si sono nemmeno parlati: però lei non ha ceduto e gli ha fatto firmare il contratto.
Anche all’interno della mia famiglia molte cose sono cambiate: mio marito è sempre andato via spesso, per lavoro, ed era usuale che io lo salutassi raccomandandomi, prima di ogni partenza, perché andasse piano. Era una sorta di cantilena scaramantica, la mia… Adesso invece, quando va via, è lui che mi dice “mi raccomando, non farti arrestare”.

 

Mariettina Calstelbarco
Sono una consigliera di quartiere di Milano, frequento ogni tanto la Libreria, con stati d’animo differenti.
Luisa mi conosce da tanto tempo, abbiamo spesso parlato del modo di fare politica delle donne: ma non è questo che voglio parlare.
Mi ha fatto molto piacere incontrarvi.
Noi siamo in questa città, governata dalla destra da sedici anni; so che in questo luogo destra e sinistra sono parole considerate prive di significato, ma questo non vale per me. Io mi trovo molto divisa in questo universo politico: sono stata consigliera per cinque anni, poi ho lasciato per altri cinque perché era molto frustrante, come potete immaginare. Ho vissuto un po’ in Toscana, stando dalla parte della maggioranza, ma vedere queste lotte continue (perché è molto pi difficile fare la maggioranza, che l’opposizione) mi dava poca soddisfazione. Sentivo come un debito verso Milano, verso questa città così calpestata, in cui si vive così male. Amo molto le realtà come la Libreria delle Donne, ma penso che sia anche utile fare da legame tra la gente comune, che non è colta, e l’inizio della politica.
Innanzitutto vi ringrazio di essere venute qui per raccontarci la vostra esperienza; e di farlo con questo linguaggio, con questa cadenza veneta che dà un senso di casa, di radici, di un qualcosa che le donne hanno conservato, in cui c’è un calore che rimanda alle “ciacole” tra donne: una cosa che esisteva anche a Milano, ma che oggi, in questa città senz’anima, senza amore, non c’è più.
Volevo chiedervi quando e come avete cominciato questa battaglia, perché è stata fatta in questo momento, nel febbraio scorso, dopo che Prodi ha detto che avrebbe continuato la politica di Berlusconi. La base era prevista da prima… Vorrei capire perché non è stata fatta una protesta contro il governo precedente; non è una domanda retorica: davvero non so come è nata, spontaneamente, in quel momento, la protesta.

 

Nora Rodriguez
Siamo riusciti a scoprire il progetto di questa base grazie a un osservatorio sulle servitù militari creato dai ragazzi “disobbedienti” e dal “Servizio Civile Vicenza” (un’associazione sull’obiezione di coscienza. Lì abbiamo scoperto cosa ci stava arrivando sulla testa. I patti (che non sappiamo dove sono, né chi lì ha firmati…) sono del 2003, ma la popolazione non ne sapeva niente…

 

Cinzia Bottene
Quelli che sicuramente sapevano erano i nostri amministratori, che sono di centro-destra. Risultano dei contatti che risalgono al 2003 tra gli statunitensi, il sindaco e un assessore incaricato di seguire questa vicenda; ma fino al maggio dell’anno scorso la cittadinanza non ne sapeva niente. Nel maggio dell’anno scorso, dopo le elezioni, c’è stato un incontro in Consiglio comunale a cui ha partecipato il generale comandante della Ederle (la base che già esiste), per illustrare il progetto. Quindici/venti giorni prima, quando le prime informazioni cominciavano a trapelare, c’era stato un’altra seduta del Consiglio in cui c’era stata un’interrogazione, a cui il sindaco aveva risposto dicendo di non saperne niente.
Quando il generale americano è arrivato con il progetto la cittadinanza si è mobilitata. Quindi la mobilitazione non è partita nel febbraio del 2007, ma a fine maggio del 2006, quando c’è stata la prima manifestazione, a cui sono seguite tutte le altre iniziative. No tutti lo sanno, perché le manifestazioni locali non hanno avuto risonanza nazionale, perché c’è stato un periodo di oscuramento totale da parte della stampa nazionale. Il “caso Vicenza” è stato fatto esplodere prima del pronunciamento di Prodi, ed è rimasto alla ribalta fino alla crisi di governo; dopo di che su Vicenza è calato ancora una volta il silenzio.
Quel che diceva prima Luisa sull’informazione è molto importante. È una cosa bruttissima da dire, che io non avrei mai pensato, ma ci siamo resi conto che l’informazione libera non esiste; neanche sui giornali che io, come persona di sinistra, potevo avere come punto di riferimento, come La Repubblica. Abbiamo verificato, sperimentato direttamente che è tutto assolutamente giostrato dal potere politico.
Penso ad esempio all’occupazione della basilica: non credo che in molte città d’Italia succeda che ventidue persone occupino una basilica, la riempiano di drappi; che ci sia gente che sta tutta la notte a difendere l’occupazione, per impedire che venga sloggiata; che l’occupazione duri fino al giorno dopo, e che al momento del rilascio arrivino duemila persone in piazza… Eppure, non è uscita una riga, non ne ha parlato nessuno.
L’informazione è stata totalmente deviata, come già si diceva prima, perché tutti parlano di ampliamento, mentre la realtà è che si tratta di una nuova base, a otto chilometri da quella esistente. Eppure, non più tardi di una settimana fa, parlando in parlamento Prodi ha detto che non si può rifiutare un ampliamento, perché rientra negli accordi. Ma allora o sei cretino o pensi che cretini lo siamo noi… Dal punto di vista della correttezza, questa vicenda è stata gestita come in una “repubblica delle banane”…

 

Luisa Muraro
Conosco questa componente civica, democratica dell’indignazione. La conosco specialmente attraverso mio fratello più vecchio, il quale ha sentito moltissimo questa cosa e in una certa fase ha molto battagliato per la correttezza dell’informazione.
Ho sentito questi accenti nelle cose che ha detto Cinzia, sia nel suo primo intervento che adesso.
Però c’è un limite a questo. Questo è un mondo in cui i rapporti di forza sono durissimi. Non c’entra la “repubblica delle banane”. C’entra che certe democrazie occidentali a regime capitalistico come la Germania, che è economicamente potente, o la Francia, riescono ancora a salvare qualcosa di un’indipendenza nazionale; ma per il resto, bisogna scendere a patti…
Tutte quelle belle idee della democrazia, della nazione, eccetera, sono andate quasi a ramengo.
Questo non vuol dire che noi dobbiamo abbandonare quel senso di dignità, che ho visto incarnato in mio fratello, che fa dire “questo noi non lo sopportiamo. Non sopporto che il mio paese abbia degli accordi e delle modalità di rapporto con gli Stati Uniti d’America che sono occulti, non trasparenti e soprattutto non ben definiti”. Questo senso di dignità della propria cittadinanza lo vedo incarnato specialmente negli uomini, più che in donne; però l’ho sentito anche in Cinzia, che poi buffamente dice di avere un temperamento maschile… E mi sono chiesta se forse possiamo o dobbiamo cominciare a pensare di mettere anche questa nota, questo registro nella politica delle donne, dove non c’è: c’è molto quello della pace, della cura del territorio, di quel che lasciamo ai nostri figli… Possiamo o dobbiamo considerare di metterci anche questa dignità che fa dire “io abito questo paese e non posso sopportare di avere rapporti così mal definiti, così oscuri, ricattatori”? Me lo chiedo e ci voglio pensare.
Però dobbiamo renderci anche lucidamente conto della durezza dello stato dei rapporti di forza. Siamo veramente alla brutalità dei rapporti di forza.
E la strada di sottrazione di sé a quella scena lì, per costituire cose sensate, vive, vere, per essere in un altrove dove veramente ci sono le cose che contano, l’essenziale, io la ritengo essenziale. È la strada della politica delle donne, che voi stesse, qui, avete fatto vivere intensamente: quella di un “esserci altrove” di donne libere, vive, capaci di amare e in rapporto con quelli che lottano (lo dico con molta semplicità e forse anche un certo minimalismo),.
Però non voglio rinunciare a pensarci: perché quando ho sentito Cinzia, quando sento mio fratello, mi sembra che queste modalità abbiano il loro peso: ci sono esseri umani la cui dignità passa anche attraverso il fatto che il loro titolo di cittadinanza abbia valore; non sono io, questa, ma c’è questo aspetto da considerare.

 

Anna Faggi
Di queste cose parla la nostra Costituzione… E l’articolo 11 dice che il nostro paese ripudia la guerra…

 

Luisa Muraro
Lo so, conosco la Costituzione… Io parlo della politica, dell’agire politico, delle risorse interne… Tu sei impegnata in una battaglia contro la politica della più grande potenza mondiale (e voi tutte siete ben consapevoli di questo). Allora, là bisogna che tu ne esca vincitrice già da adesso, perché sei da un’altra parte, per l’essenziale.
La Costituzione noi la ricordiamo sempre; la insegniamo ai nostri studenti. Ma la Costituzione è stata calpestata… Non per questo noi l’abbandoniamo: un anno fa c’è stato il referendum e l’abbiamo difesa; continueremo a difenderla, perché è di valore. Ma non mettiamo lì il nostro cuore. Il nostro cuore (penso, vedo e propongo io) lo mettiamo nella qualità dei rapporti con donne e uomini che accettano la mia libertà, e il vivere in libertà, non passando attraverso l’auto-affermazione dei rapporti di forza. La nostra strada e il nostro cuore sono lì.

 

Silvia Marastoni
Quello che dice Luisa lo ritrovo nella frase con cui inizia il vostro documento (“l’azione su se stessi, l’azione sugli altri, consiste nel trasformare i significati”, Simone Weil, Quaderni, IV). Ho letto questa citazione e l’importanza che le avete dato – mettendola a “premessa” di quel che avete poi scritto – come il vostro far riferimento a una politica che lavora sul piano del simbolico, che agisce innanzitutto a questo livello…

 

Mamma del Leoncavallo (non dice il nome)
Sono venuta perché ho letto di questo incontro sul Manifesto, e verrò senz’altro a trovarvi a Vicenza. Stasera mi sembra di essere un po’ su una nuvoletta, perché l’Italia è piena di servitù militari, da nord a sud… Quando andavamo ad Aviano, perché da lì partivano gli apparecchi che andavano a bombardare, la gente era contro di noi.
Siete sicure che vincereste un referendum contro la base, a Vicenza?
Voi parlate di questa nuova base, ma di quelle che c’erano già prima, che ci sono già, non avete mai detto niente… Stasera ci avete raccontato che ci sono addirittura delle bombe nelle montagne, che siete su una polveriera…
Siamo un paese a sovranità limitata…

 

Antonella Cunico
Riguardo alla percezione, all’immagine che i vicentini hanno degli americani, vorrei sottolineare la differenza di consapevolezza che c’è oggi: negli anni ’50 la caserma Ederle è stata presentata come la sede di coloro che avevano liberato l’Italia. Io sono un’insegnante e il 24 aprile mi è capitato di chiedere, nella mia classe, “sapete perché domani siamo in vacanza?”. La risposta che mi hanno dato è stata che festeggiamo la data in cui Vicenza e l’Italia sono state liberate dagli americani… Allora ho fatto chiudere i libri (perché è una prima e il programma dell’anno tratta di altro) e ci siamo messi a parlare…
I vicentini sostenitori del sì dicono ancora adesso che noi dobbiamo della gratitudine agli americani, perché 60 anni fa hanno perso la vita per noi e ci hanno impedito di cadere preda del comunismo…
Però tutto questo con la nuova base è cambiato. I sostenitori del sì alla base non sono la maggioranza.
Ilvo Diamanti, che è mio compaesano (ci vediamo alla Coop…), a settembre fece un sondaggio da cui risultava che se fossimo andati al referendum, come avevamo chiesto, la maggior parte dei vicentini avrebbe votato contro la base; e altrettanto avrebbe fatto il 70% degli abitanti di Caldogno.

 

Luisa Muraro
Antonella ha ragione: è capitato qualcosa. Ed è per questo che loro sono qui: perché è capitato qualcosa.
Vorrei dirlo anche alla mamma del Leoncavallo: per quanto riguarda l’opinione pubblica italiana, con Vicenza è capitato qualcosa. Qualcosa adesso è cambiato.

 

Rosa Calderazzi
Sono stata a Vicenza qualche giorno prima del 17 febbraio 2007. Dovevo partecipare a questa manifestazione e mi sono detta “ci vado prima”. Essendo pensionata avevo anche tempo, ho degli amici lì… Quindi sono andata e sono stata cinque giorni. Non conoscevo Vicenza. Un mio amico mi ha portato a vedere la base Pluto e altri luoghi… Tutte situazioni piuttosto “pesanti”. È lui che mi ha spiegato che non si tratta di un ampliamento, ma di un’altra base.
La cosa che mi è sembrata abbastanza nuova, rispetto ad altre situazioni di lotta politico-sociale (perché quella di Vicenza è questo: una lotta politico-sociale, anche abbastanza rischiosa, che si è messa su un punto molto alto dell’iniziativa), è stato vedere molto coinvolgimento di base, molta vicinanza tra la gente. Questo presidio non è un’assemblea a cui si va e poi si torna a casa. Si sta lì, di giorno e di notte… Evidentemente questo fatto vi ha portato ad avere rapporti molto stretti tra di voi; a poter determinare il modo in cui stare insieme, le cose da fare… Una cosa abbastanza nuova, specialmente in questi ultimi anni, in cui la politica è abbastanza fredda, separata dalla vita quotidiana.
Forse le donne sono state una spinta, in questa direzione. Ho visto molte donne, e forse hanno portato attenzione a una maggiore vicinanza, al parlarsi.
Io però volevo capire meglio perché avete sentito l’esigenza di mandare questo documento. Che cosa chiedete ad altri gruppi di donne, che cosa vi ha portato a sentirvi lì come donne, non solo come cittadine, persone che si occupano di questa storia in cui c’è l’anti-militarismo, il non voler essere espropriate del proprio territorio, eccetera. Cosa vi ha portato a formare un gruppo di donne, a fare questa esperienza, oltre a quella dell’iniziativa “mista”.
Io sono stata nel Social Forum di Milano dove (come capita sempre, a livello di base) c’erano moltissime donne… Però non è successo niente del genere. Eravamo lì, dicevamo la nostra, però non c’era una nostra impronta.
Allora vi chiedo: vi siete messe insieme e avete fato questo comunicato anche perché volete far sentire maggiormente quest’impronta femminile? O vi siete semplicemente trovate in maggioranza donne e volete riflettere sulla vostra situazione, su come siete cambiate, sui rapporti che avete con le altre donne vicentine?

 

Antonella Cunico
Quello che posso dire per me è che ho sentito l’esigenza di parlare ad altre donne, di comunicare loro la nostra esperienza e di fare questo “appello”, che esprime il desiderio di costruire insieme una rete, soprattutto per essere sostenuta dal loro pensiero.

 

Annamaria
Mi hanno colpito molto le cose che avete detto, come mi ha colpito molto andare a Vicenza, tutte le volte che l’ho fatto (compreso il 17 febbraio). Mi ha colpito l’accoglienza della città. Io vengo dal Veneto, ne sono un po’ fuggita… e vedere le persone che ti ringraziano perché sei stata lì mi è capitato pochissime volte. È veramente qualcosa di nuovo. Anche quando sono andata al presidio mi ha colpito l’accoglienza che c’è. Mi pare una cosa da cui, prima di tutto, imparare: penso alle relazioni umane che lì ci sono, e che – come sappiamo bene – nella politica molte volte non esistono.
Quello che è successo a Vicenza per me è un grande motivo di speranza; e forse da questa speranza, da questo schieramento umano è fondamentale partire, per pensare a un mondo in cui non c’è un “dopo” a cui arrivare. Il fatto di iniziare a vivere adesso, di sentirsi vicine, accumunate da questa esperienza, è molto importante.
Come “La Comune” abbiamo scelto di pubblicare l’appello dell’otto marzo, che ci è piaciuto molto.
Questo protagonismo delle donne, che molte volte non c’è nella politica, è uno schierarsi molto legato alla vita, una speranza per ognuna di noi, per continuare a costruire un futuro diverso. È importante, anche per chi sta lontano, riuscire ad andare a Vicenza a conoscere le persone, a cercare di far crescere tutto questo attraverso le relazioni umane, attraverso la possibilità che le comunità che stanno lottando – perché ce ne sono anche altre – inizino così a costruire questo futuro diverso.

 

Elena
La risposta che mi sono data alla domanda “come mai vi siete aggregate fra donne” è, andando alla mia esperienza, la necessità di avere autonomia dal maschile, che è anche autonomia dai partiti e dal potere. Per me è ancora insopportabile fare politica con gli uomini, perché sono prevaricatori… ti ritrovi strumentalizzata, non ci sono rapporti di lealtà (e mi riferisco anche al Leoncavallo, che ho frequentato)… Vorrei sapere se voi siete d’accordo con questo: si fa politica fra donne perché ci si trova bene, perché si è nel mondo in un modo diverso. Anche molte donne sono prevaricanti, ma il maschile lo è sicuramente; non ci sono eccezioni. Anche nei movimenti di base è così: puoi essere in un centro sociale, fare il tuo gruppo di donne, però poi in parlamento ci va Farina, che è il figlio delle mamme del Leoncavallo…
Però secondo me si fa politica delle donne anche lottando contro la base militare americana.

 

Nora Rodriguez
Sicuramente non è facile. È vero, l’istituzione politica è fondamentalmente, profondamente maschile. Per questo abbiamo messo in atto linguaggi diversi, modalità diverse di azione. Quando abbiamo cominciato a pensare all’otto marzo, e volevamo portare in piazza questo nostro modo di dire al femminile che non vogliamo la base, qualcuno al presidio era un po’ perplesso… Poi, quando quella mattina abbiamo fatto “teatro invisibile” in Piazza dei Signori, hanno cominciato a cambiare opinione.
Questo “gruppo donne”, oggi, è molto riconosciuto, al punto che ci hanno chiesto se volevamo avere un nostro ambito, dentro al presidio.
Per me è importante che nell’ambito in cui ci muoviamo la mia voce, quella di Antonella, di Cinzia e di tutte le altre sia ascoltata come quella dei nostri compagni. E così è.

 

Cinzia Bottene
All’inizio vi ho detto che io non faccio parte del “gruppo donne”, che mi occupo di altre cose… mi occupo della parte politica, e lavoro con gli uomini. Io non cerco un’autonomia dagli uomini, perché non ne ho bisogno. Nel gruppo politico degli uomini mi rapporto assolutamente alla pari, senza nessun senso di inferiorità. Non ho bisogno di rivendicare un’autonomia, e non ho neanche mai vissuto momenti in cui mi sono sentita considerata “meno” in quanto donna.

 

Luisa Muraro
Credo che possiamo ricavare molte cose dalle vostre testimonianze, dai vostri racconti. Avete detto moltissime cose, affrontato un ventaglio molto ampio di questioni: dal perché del gruppo donne al rapporto con Prodi, agli spostamenti che si sono prodotti, ecc.
Penso che a questo punto sia meglio che ci concentriamo a capire.
Io ho capito questo: la storia di Vicenza, il movimento No Dal Molin è un punto di svolta nella cultura politica di base. È capitato qualcosa. Quello che la mamma del Leoncavallo ha ben spiegato, dicendo “andavamo ad Aviano e la gente era contro, non era con noi”, non sarà più così; questa cosa sarà sempre meno vera. Si è superato un livello di allarme. Non c’è niente di automatico in quello che avviene: lì, a Vicenza, nel momento in cui si è passata una misura (il dare per scontato la disponibilità della gente a certe cose) ci sono state delle donne e degli uomini che hanno avuto un risveglio straordinario, e ne hanno fatto l’occasione della loro presa di coscienza in prima persona. Umanamente in prima persona, che è la cosa più preziosa che la politica delle donne ha insegnato: l’esserci in prima persona, non come appartenenti a un partito, a uno schieramento, eccetera… Esserci così, riuscendo a relazionarsi per un’azione spartita, condivisa.
Per la prima questione che avevo posto, proprio in questo senso ho afferrato moltissimo.
Per quanto riguarda invece l’impoverimento interiore di Cindy Shehaan, che mi ha così impressionata, mi chiedo se non sia stato perché lei non ha avuto questi rapporti, queste relazioni; se non sia successo perché si è trovata da sola. Non so se voi ci avete riflettuto…

 

Nora Rodriguez
Abbiamo letto insieme la lettera di Cindy, e cercando di capire le ragioni di questa donna abbiamo capito anche le nostre. Abbiamo cercato di capire la differenza, di interrogarci su come stare insieme, come farci forza perché quello che è successo a lei non succeda anche a noi.
Uno dei motivi che ci ha messo insieme è stato il raccontarci come stavamo vivendo questa lotta, quello che ci stava capitando. Ce lo siamo raccontate per poterci aiutare, per poter passare dall’opposizione all’appoggiarci. Uno dei meccanismi che si creano in queste situazioni è il tentativo di contrapporre le persone, di creare rivalità, gelosie… Noi abbiamo detto “noi non ci stiamo in questo gioco; noi portiamo ragioni forti e le viviamo altrove”. Stiamo narrando quello che succede a Vicenza. Il nostro documento non è solo una richiesta di solidarietà. È un appello al mondo femminile. Vogliamo che questa nostra esperienza sia patrimonio di tutte le donne.

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