29 Marzo 2008

Incontro di presentazione/discussione a partire dal libro “Chi l’ha vista?” di Norma Rangeri.

Nude o perdenti?

Il mondo della tv: offusca la realtà dove le donne sono viste o come veline o come vittime di qualche sopruso. Cosa possiamo fare noi, con la nostra politica, per cambiare le cose?
In una politica che ha alla sua base la pratica della relazione, qual è la forza con cui noi possiamo metterci in relazione con le giornaliste e con i giornalisti, metterci in relazione con chi ci racconta quello che noi stessi viviamo ma ce lo racconta in modo tale da espropriarcene completamente?
Questi i temi da cui si è sviluppato un lungo dibattito a partire dal libro di Norma Rangeri ‘Chi l’ha vista? Tutto il peggio della tv da Berlusconi a Prodi (o viceversa)’.

 

“Volevo ringraziare Norma Rangeri di essere venuta e volevo ringraziarla di guardare in dosi massicce da quindici anni la televisione italiana e di essere rimasta non solo sana di mente ma acuta e anche ironica, autonomia di pensiero – esordisce Giordana Masotto introducendo l’incontro -. Volevo ringraziarla per il libro che ha scritto, in particolare per il fatto che guarda tanta televisione con quest’occhio e che poi abbia messo tutto per iscritto con una sintesi che non solo è di gradevolessima lettura ma è di grande utilità per capire molte cose di questo Paese”.

 

Anche l’intervento di Liliana Rampello inizia con un ringraziamento perchè “….Vespri (piccola rubrica che compare tutti i giorni sul manifesto a cura dell’autrice, ndr) è una delle mie letture preferite. Credo che sia estremamente difficile essere efficaci in poche righe. Questo è un talento. Ho ritrovato lo stesso stile nel libro con la possibilità, questa volta, di distendersi in un ragionamento più ampio anche se estremamente a tamburo, battente nel senso che, improvvisamente, mi sono resa conto che la memoria, la mia memoria personale ma forse la memoria di tutto il Paese, è ormai veramente cortissima, brevissima. Ci si dimentica tutto quello che è successo il che non ci permette di vedere con l’attenzione l’attualità che abbiamo sotto gli occhi. L’osservatorio che ha Norma direi che è un osservatorio sul mondo. Mentre mi appuntavo questa frase mi dicevo che era un osservatorio sul mondo della televisione e qui naturalmente viene fuori il primo grande problema: vale a dire questo specchio pervertito tra realtà e mondo, cioè tra ciò che noi viviamo, l’esperienza quotidiana, e ciò che la televisione continuamente ci rappresenta sostanzialmente tagliando fuori la realtà che noi conosciamo, la taglia fuori quasi sempre. Leggendo il libro ci si accorge che, in effetti, è come se la televisione galleggiasse su una realtà dentro cui tutti siamo stati ma che non è stata la realtà in particolare di nessuna di noi. Non voglio parlare del rapporto tra virtuale e reale. Nel libro ho trovato questa cifra: otto milioni e mezzo di teleutenti hanno come unica forma di informazione la televisione. Ho pensato che questi otto milioni e mezzo di persone uomini, donne, bambini, ragazzi che hanno questa unica fonte di informazione forse, per certi versi, sono le persone più semplici e quindi in qualche misura anche le persone più manipolabili, vale a dire le persone a cui si presenta una realtà e gli si fa credere di partecipare a quella realtà quando in realtà sono i primi ad esserne esclusi.
Il libro, da questo punto di vista, è una denuncia che rivela da parte della sua autrice una fortissima passione civile e anche questo è un argomento che apprezzo molto. Non risparmia nessuna e nessuno, si sviluppa con un’estrema serietà e con una grande ampiezza di documentazione e di precissime informazioni su ciò che tutti noi abbiamo visto. Da questo punto di vista a me è sembrato un libro spaventoso nel senso che mi ha messo spavento scoprire tutto quello che avevo scordato. Scoprire cioè come la sequenza dei programmi, delle modalità, delle forme dell’informazione televisva mi siano sfuggite dalla mente con estrema rapidità oscurando anche il senso complessivo di ciò che attraverso quella scatola avviene, di come il rapporto tra crisi della politica, crisi dei partiti quella che ci viene rappresentata non sia ciò che noi pensiamo ma che sia ciò che si vuole che noi pensiamo. Naturalemente ci sono degli elementi di realtà anche nella televisione però l’intreccio fra la cronaca e la storia da questo punto di vista sfugge come se sfuggisse alla conoscenza collettiva. Ad un certo punto è come se noi rimanessimo con niente in mano e soprattutto che non riuscisssimo ad avere una conoscienza collettiva condivisa. Il libro di Norma Rangeri è diviso in tre grandi parti. L’architrave, come lei dice nell’introduzione, è il telegiornale perchè è il telegiornale che è l’architrave dell’informazione dell’edificio mediatico in una parte; poi lei affronta con molta attenzione la trasformazione del teleutente in guardone e qui possono venire in mente a tutti noi tantissimi momenti in cui guardando la televisione ci accorgiamo che è esattamente quella la posizione in cui la scatola ci vuole mettere; poi la tv come elemento di una storia generale del Paese che ne è parte da un lato ma che in parte proprio la costruisce. Queste le tre parti. Nella Tv in mutande voi trovate una storia che forse è la più facile da pensare o quella che più facilmente ci viene in mente quando si pensa il nostro essere donne: il varietà, le velite, le tette, i culi, le mutande, cioè tutta quella esposizione abnorme e veramente perversa e pornografica del corpo delle donne. La seconda parte Zapping troviamo la televisione dal Papa fino all’horror dove per horror posso citare Cogne, ma sono tanti gli esempi che fa, fino a quello della guerra. La terza parte è dedicata proprio al rapporto tra Auditel e informazione vale a dire fra tutto quello che ci indica quali sono i poteri veri, come può essere manovrata l’informazione in Italia quindi dalla formazione del Cda, all’uso che ha fatto della televisione il governo del centro destra e quello di centro sinistra, al modo in cui se ne impossessa la classe politica, al conflitto di interessi e a una serie di tematiche che sono forse più politicamente evidenti ai nostri occhi. Come diceva apparentemente la prima parte, quella che sembra più legata alla situazione di oggi, l’abbiamo intitolata su un suggerimento molto, a mio avviso, acuto di Luisa Muraro Nude o perdenti, nel senso che la rappresentazione più evidente, più plateale che noi abbiamo della donna in televisione è appunto quello di essere o una valletta seminuda o vittima di un qualche efferato delitto stupro violenza.
Le domande che seguono questo titolo sono tre domande molto importanti. Una riguarda le giornaliste.All’interno di questo grande mondo le professioniste ormai sono tante, dunque qual è il loro ruolo, qual è la loro funzione, perchè non si oppongono? Sono complici? Sono complici solo loro siamo complici anche noi televidenti e soprattutto che cosa possiamo fare noi, vale a dire sapendo di avere in mano una politica, una buona politica delle relazioni, una politica che pretende di parlare al mondo intero, che cosa possiamo fare di fronte a questa che è una specie di catastrofe, perchè la televisione raccontata da Norma Rangeri a me sembra un sistema catrastofico. Catastrofico perchè? Scompare tutto, scompaiono tutte le differenze vengono tutte risucchiate a scapito del racconto della realtà, scompare la diversa esperienza che uomini e donne fanno rispetto la realtà ma scompare anche la differenza di chi fa televisione di chi partecipa alla televisione di chi la guarda e scompare il conflitto. Il conflitto in televisione non è mai qualcosa che nel suo mostrarsi fa vedere le diverse esperienze che del mondo in quel momento si possono fare anche in mondi particolari. Il conflitto non esiste in televisione perchè in televisone ormai esiste solamente il litigio il caos o il battibecco volgare e questo è l’altro grande elemento che corre in tutto il ragionamento e il discorso di Norma Rangeri cioè una volgarità che davvero è un’offesa all’intellegenza di tutti, di chi la fa e di chi la guarda.
Il punto centrale mi pare sia appunto la questione del linguaggio. Da dove si comincia per modificare questo linguaggio? Ricordo in un sabato precedente, mi pare che fosse per una presentazione di Via Dogana, fu Assunta Sarlo a dire che il come si presenta la notizia è uno dei temi principali che abbiamo di fronte. In quel caso, se non sbaglio, parlavamo di violenza sulle donne però è uno dei tanti possibili casi che possiamo citare per dire che il come si racconta una faccenda è il queed della comunicazione. Nell’ultimo numero di Via Dogana un esempio, lo porta anche Luisa Muraro sul pezzo sull’attualità, in cui di fronte a un evento che non voglio considerare normale ma che comunque capita, vale a dire la violenza di un uomo su una donna che lavorava al suo fianco, viene interpretato letto come un evento in cui lei vittima e Luisa Muraro ci ricorda come a nessuno sia venuto in mente di chiedere ad esempio agli amici alle persone che lavoravanno ai colleghi di quell’uomo cosa pensassero di quell’evento e di quel loro compagno di lavoro con cui passavano delle normalissime ore lavorando chiaccherando mangiando e scherzando. Il modo in cui si comunica è fondamentale, il linguaggio è centrale e non è un caso che di fronte a questa crisi generale molti siano i punti di vista in cui questa questione sta emergendo. Un altro elemento di analisi la si può ritrovare anche sull’ultimo numero di Leggendaria dove ci sono alcuni interventi che trattano della questione del linguaggio: quando si comunica quando si informa, perchè? Probabilmente molte di noi sono preoccupate e occupate di capire come una buona politica può bucare questa cattiva politica che non è solo la cattiva politica del ceto o della classe politica ma è una cattiva politica dell’informazione e quindi che in qualche modo il meccanismo è una specie di moltiplicazione al quadrato del peggio che c’è.
Io credo che questo libro non sia un pretesto per parlare d’altro oggi, stia all’interno di questo ragionamento e ci faccia vedere come non sono scomponibili così facilmente alcune questioni perchè appunto il problema di questa cattiva politica non sono solo le veline, non è solo la violenza non è solo la lingua dei diritti. Non sono elementi che si possono scorporare così facilmente quando è tutto un sistema che nel suo modo di raccontare nega la realà l’esperienza di molti e di molte. Come si cambia questa lingua? Da dove si può guardare questo problema? Come si può spostare lo sguardo e che cosa possiamo fare noi? In una politica che ha alla sua base la pratica della relazione qual è la forza con cui noi possiamo metterci in relazione con le giornaliste e con i giornalisti metterci in relazione con chi ci racconta quello che noi stessi viviamo ma ce lo racconta in modo tale da espropriarcene completamente? Credo che questo sia importante perchè quando noi diciamo che ci interessa una politica che parte da noi, che parte dalla differenza, sappiamo anche che non vogliamo rimanere ferme rimanere tra di noi ferme al parlare di noi e anzi vorremmo che quello che noi abbiamo guadagnato nella nostra politica circolasse come moneta parlante per altre e altri nella realtà del mondo comune. Ecco il mondo comune che la Rangeri ci squaderna con estrema precisione sotto gli occhi va sbucciato pagina dopo pagina per cercare quegli interstizi su cui possiamo agire. Quando ho scritto ‘interstizio’ mi sono resa conto che in realtà non si tratta di interstizi ma di buchi grandi come voragini. Mi pare dunque che questo libro nel momento che stiamo vivendo si leghi per molti versi all’ultimo numero di Via Dogana, si leghi alle questioni poste da leggendaria e ci indichi che quella catastrofe maschile di cui parla Leggendaria, quella questione maschile come crisi dell’autorità maschile di cui parla Via Dogana siano sostanzialmente da rintracciare dentro il testo per poter essere in qualche misura una leva e una forza per noi per poter affermare una politica buona.”

 

Norma Rangeri: “ho poco da aggiungere se non raccontare che dopo quindici anni di quotidiana visione massiccia, la scelta di scrivere è stata anche per me un esercizio di memoria perchè anch’io molte cose viste quindici anni fa le avevo dimenticate. E nel metterle insieme una dopo l’altra, non casualmente, ho iniziato a scrivere proprio il capitolo sulle donne e la televisione, avrei potuto iniziare dai reality o dai telegiornali. Ho iniziato da questo perchè era diventata quasi un’ossessione cioè non potevo sostenere il silenzio con cui una mutazione fortissima pesante antropologica dell’immagine della donna cadeva nella più totale normalità. Tutta la storia della televisone è costruita sui corpi femminili dagli esordi con le vallette che strappano le buste fino al porno soft che va in onda dalla mattina alla sera adesso. E questi quindici anni sono stati di cambiamento profondo, una specie di secolo breve della televisione. Io racconto la Tv dal 92, da tagentopoli ad oggi con un biennio 92-93 di grande libertà e di scarso controllo perchè la crisi politica istituzionale era così forte che il controllo sulla televisione era minimo, quindi c’è stato un biennio di grande libertà di un racconto del Paese di quello che stava succedento poi immediatamente richiuso. Richiuso su un trittico che è molto legato che unisce la pornografia e l’abbruttimento-l’abbellimento del corpo della donna alla ossessione religiosa alla propaganda politica fino alla crisi della politica che stiamo vivendo. E c’era un nesso molto forte tra queste cose: più la donna veniva eliminata come persona nell’immaginario popolare e diventava soltanto un corpo ossessivo più saliva quest’onda papalina, quest’onda di integralismo religioso che cercava di proporre un modello capace di ricomporre questa figura femminile smembrata del corpo in un corpo di nuovo materno rassicurante, santificato attraverso una enorme, anche in termini di ore di programmazione di palinsesto, enorme massa di programmi soprattutto sulla religione cattolica, sui miracoli, sulle madonne su tutto un mondo di pesante superstizione che in molti casi ha fatto anche reagire le gerarchie vaticane più intelligenti dei dirigenti della televisione vedevano in questo una deriva eccessiva e poco controllabile.
Com’è cominciata, mi sono chiesta, dove è cominciata, quando siamo diventate come non eravamo neanche trent’anni fa? Chi sono gli art director di questo spettacolo che ci uccide? Sono personaggi intellettuali della sinistra televisiva, sono i Freccero, Ricci, i Chiambretti. Sono quest’elite culturale che ha promosso diffuso il modello della velina. Quindi tra centro sinistra e centro destra non c’è molta differenza. Ricordo che la presidente della Rai, Lucia Annunziata dovette far votare il consiglio d’amministrazione della Rai, di un’azienda tutto sommato culturale del paese, un ordine del giorno in cui si chiedeva per favore di restitutire un minimo di dignità all’immagine della donna per come veniva propagandata in televione. Io non so di altri consigli d’amministrazione, di aziende in cui è stato necessario sbattere il pugno sul tavolo e addirittura porre un documento da votare di questo tenore e mi sono chiesta se questo modo di rappresentarci fosse questa bulimia sessuale a cui faceva da contappeso un’anoressia culturale fosse inversamente proporzionale alla nostra capacità di intervento di presenza nelle istituzione. E’ come se questa emancipazione, determinata anche dal fatto che in maggioranza le donne giornaliste (un 50%) lavorano nella Rai, fosse invece stata troppo in fretta troppo sbrigativamente data per acquisita e quindi poi svuotata. Come si spiega questo svuotamento e quest’arretramento anche a fronte di una presenza nel campo dell’informazione, delle giornaliste ma comunque delle donne che fanno la televione così massiccia perchè sono la maggioranza sia quelle che producono e stanno in video sia quelle che stanno al di là del video? Come si spiega, dove nasce?
Tra l’altro queste donne, queste giornaliste ma anche donne che si occupano di intrattenimento ecc non sono donne marginali, sono donne laureate. Quelle che vanno a fare l’Isola dei famosi hanno il master alla Bocconi però, nonostante abbiano la possibilità, uno spazio per affermarsi e per determinare la propria esistenza in un altro modo, scelgono di usare il corpo come fosse l’unico investimento produtttivo. Questa è un’altra domanda che mi riporta allo stesso discorso che facevo prima. Come è possibile che donne che studiano, si laureano, sono emancipate, conoscono il mondo, hanno consapevolezza del loro essere poi invece vendano una parte di sè? Come è possibile che si arrivi al punto che in un talk show dove si parla di bellezza, un conduttore che affronta dibattiti politici ogni sera come Bruno Vespa possa sulla televisione italiana prendere una donna portarla in studio con l’accapatoio spogliarla toccarle le tette appena rifatte? Come è possibile che questo non venga neanche notato? Nessuna reazione? Quando le nostre amiche dall’estero vengono in Italia accendono la televisone si meravigliano di quanti programmi pornografici ci siano. Poi scoprono che non sono programmi porno sono programmi di attualità di informazione e solo in Italia succede. Anche questo fatto dovrebbe scatenare una reazione che non c’è. Una situazione del genere è denunciata ogni anno anche dal Financial Times piuttosto che da supplementi ma non provoca nessuna reazione. Quindi come si ricostruisce un’identità? Lei diceva prima: importante è il conflitto e infatti il conflitto dovrebbe essere la molla per la ricostruzione della politica e spunto questo conflitto da ogni rappresentanza politica oggi, dal Partito Democratico che fa una campagna elettorale per conciliare il conflitto alla produzione culturale senza minimanente preoccuparsi del fatto che ogni autonomia culturale, anche in tempi passati del Partito Comunista Italiano, era determinata proprio dalla libertà di poter agire un conflitto e su quello costruire una propria autonomia che non sia propaganda, che fosse qualcosa che scartasse.
Di conseguenza siamo in una profonda empasse perchè la politica è chiusa nei media, la politica non ha una sua forte identità e quindi per cercare non l’interstizio ma bucare questo schermo bisogna trovare le forme e i linguaggi propri della comunicazione, bisogna lavorare sulla comunicazione, sforzarsi di provocare una comunicazione capace di infranegere questo schermo. Siccome il linguaggio della televisione è molto autoreferenziale, non racconta più il mondo, i reality sono un manifestazione più evidente, questo linguaggio autorenfenerziale secondo me non si sovverte, non si cambia, non si incrina non si modifica dall’interno. Per entrare dentro la televisione bisogna creare una comunicazione forte fuori e per questo mi piace molto questa discussione perchè questo lo considero un luogo di comunicazione che studia che analizza la comunicazione che però è sufficientemente esterno al mondo della comunicazione popolare, per cui forse proprio da qui, da questo tipo di sensibilità può crearsi un minimo di reazione che possa almeno incrinare uno schermo, solo da fuori perchè le giornaliste del servizio pubblico della Rai sono moltissime io che le vedo operare e lavorare hanno dimenticato, semmai sono consapevoli non vogliono ricordare e non si discostano mai dal potere che naturalmente in particolare modo in Rai e anche in Mediaset è fortemente in mano agli uomini perchè se le donne appaiono le donne però altresì non decidono”.

 

INTERVENTI

“Una cosa che mi è passata per la mente quando parlavi – interviente Paola – era, e non sono certa che sia esatta però mi sembrerebbe significativo, che le copertine dell’Espresso che negli anni 60 e 70 erano criticate perchè spesso avevano nudi di donne. Mi sembra che negli anni 90 questa cosa sia venuta meno e questo per parlare dell’intelligenzia di un certo tipo. Che peso dai tu (Norma Rangeri, ndr) a quella stagione? Tu hai parlato dei due anni, 92-93, che peso dài a quel fenomeno secondo me fuori panorama anche se ben dentro? Parlo della Tv delle ragazze, degli Avanzi della tv, di tutta questa specie di autogestione che c’è stata. A me per esempio quel tipo di nicchia, di produzione televisiva mi sembra non paragonabile alle cose che può fare anche attualmente la Dandini. E’ stato veramente qualcosa di straordinario”.

 

Norma Rangeri: “L’Espresso non ha fatto più le copertine probabilmente per una decisione editoriale politica culturale. Del resto il meccansimo della comunicazione è cambiato. Quelle copertine si sono trasferite sullo schermo con l’overdose di calendari, con il telegiornale degli anni 2000-2001 che chiudeva ogni edizione serale con il calendario del giorno se non della settimana. Quindi c’è stato un travaso dalla carta stampata alla televisione di questo. Io nel libro salvo molto la satira perchè è l’unico linguaggio che tiene aperta la ferita, in modo popolare ma senza lesione rispetto ai contenuti che invece rimangono e arrivano. La Tv delle ragazze era una forte visibilità di un gruppo che un po’ è rimasto qua e là nella televisone ma se io dovessi dire oggi chi è che fa una satira al femminile più forte che sento più mia non direi il nome di una donna ma di un uomo, chi parla di sesso di sessualità in modo non conformista e difficile è Daniele Luttazzi, cioè l’unico che riesce a ferire e a parlare di sesso in modo non paludato, l’unico nella televisione. Ma non c’è perchè non la regge la televisione una critica di questo tipo”.

 

“Io non ho mai vissuto in una televisione – interviene Enrica – però il potere è gestito in modo radicalissimo. Appena una donna entra in una posizione di mini potere deve subito mettersi in regola, non ha spazio per un’autonomia di pensiero per partecipare alle scelta produttive. Ed è una cosa veramente impressionante anche nella carta stampata non c’è spazio. Io non vivo per la televisione ma mi sembra che sia ancora peggio. Anche nella carta stsmpata non c’è più spazio se uno non ha i due amici con la firma che l’aiutano a entrare anche se dice una cosa saggia che non c’entra niente con l’attualità politica. A me è capitato di tentare di correggere un errore su Italo Calvino apparso tre mesi fa in cui si attribuiva l’ingresso nella vita letteraria di Calvino a I sentieri dei nidi di ragno. Calvino invece, a 22 anni, ha semplicemente vinto il premio di capodanno dell’Unità con Il campo minato che non era un racconto politico che rispecchiava il suo stato partigiano, era proprio Italo come era già a 22 anni con questo senso del destino, della fatalità, del coraggio di intraprendere la traversata di un campo anche se poi salterà perchè il campo era minato. Volevo correggere questa cosa ma non c’è stato verso; era relativamente importante perchè anche la critica letteraria ha le sue verità invece questo racconto può essere come un aneddoto per dire che non c’è spazio. Se uno vuole, pur essendo vissuto negli ambienti dei giornali, riaprire un discorso, dire un’opinione diversa, vi assicuro che è quasi impossibile perché questa gestione del potere anche su temi secondari è talmente radicale e completa che uno nè dall’interno, nè dall’esterno riesce ad esprimersi e finisce che qualsiasi donna anche intelligente anche preparata con una coerenza di professionaltià non ha spazio, deve mettersi subitio in una disciplina maschile”.

 

Marina Terragni: “Io in televisione a volte ci vado e faccio una fatica bestiale. Dato che sono una persona abbastanza baldanzosa, mi sono molto interrogata su questa fatica. M’è venuto qualche pensiero: per esempio la tv e la politica restano per le donne delle istituzioni totali. Restano per le donne dei posti dove il linguaggio e in qualche modo la pratica di un linguaggio che magari faccia riferimento a linguaggi fuori è abbastanza preclusa ma anche ambiti amichevoli tipo l’Infedele, si fa una fatica bestiale. Quindi tu vai in tv e le scelte sono: o ti spogli, se hai la possibilità di farlo e non hai scelta, oppure fai la superemancipata cioè quella che assume perfettamente il linguaggio corrente in quell’istituzione così come dentro la politica.Quindi vedo per esempio le colleghe giornaliste di tg che si pompano le labbra da una parte e dall’altra cercano di dimostrare invece, di essere glaciali… Secondo me è un limite di forza, è un limite nostro di coraggio non sapere stare lì giocandosi il tutto e per tutto perché poi è vero cerchi di stare lì in quel modo ci stai un mese poi non ci stai più. Però è in generale un discorso cruciale che noi oggi abbiamo di fronte che è quello di come occupare lo spazio pubblico. La televisone è uno spazio pubblico eabbiamo tante occasioni noi di stare nello spazio pubblico, ormai non ci viene precluso, il problema è come ci stai ma questo secondo me è una cosa che si deve affrontare lavorando su di sé, non vedo molte altre possibilità. Invece di dire che il potere è così mi chiedo come sono io rispetto a questi codici istituzioni totali che possibiltà ho e, secondo me, è una questione che spesso mi viene in mente e tiro fuori anche qui che è una questione di coraggio ed è sicuramente vero quello che dici tu. Quando tu hai alle spalle un luogo di pratica di un linguaggio allora lì hai molte possibilità se sei sola non c’è verso. Questo sulla televisione però sui giornali non lo so, l’importante è fermarsi sulla televisione”.

 

“Mi rivolgo a Marina Terragni – dice Emanuela Mariotto -: credo che ci sia una differenza tra chi come te va in televisione ospite di qualche trasmissione e chi ci lavora come giornalista, cioè questo mi sembra molto evidente. Conosco delle giornaliste della Rai di Milano e una ha anche un ruolo di potere nel senso che è la vice di Marano e incide sui palinsesti. Questa è una donna super emancipata però è una che quando incontra le altre donne le guarda attraverso cioè non le vede perchè la sua carriera in Rai si è costruitia attraverso la lottizzazione politica e attraverso il riconoscimento degli uomini di potere della Rai. Quindi devo dire sono abbastanza pessimista per quello che vedo. Non ho ancora letto il libro, non vorrei che giustificassimo troppo queste giornaliste della Rai, dovrebbero darsi una mossa loro, se non se la danno forse conviene loro non darsela perché quel posto lì a loro va bene così com’è. Un’altra cosa. Sul fatto di tutte queste donne nude, semispogliate e pornografiche ci sono molte donne che per non apparire moraliste quando le si interroga su questo dicono che le donne sono libere di fare quello che vogliono di vendere il loro corpo in fondo è solo un’immagine. Quindi io credo che ci sia una responsabilità fortissima delle donne che lavorano in Rai che dovrebbero essere un po’richiamate a questa responsabiltà”.

 

Antonella Nappi: “Io penso siano utili delle denunce, delle elaborazioni visibili, che sia importante organizzarsi per dare delle risposte popolari. Quindi permettere anche un’elaborazione su questa immagine della donna che si finisce per accettare come bellezza come estetica come linguaggio che in fondo la donna porta al pubblico. Bisognerebbe elaborare queste cose e diffonderle renderle popolari, pubbliche.
Perchè io ci ho visto che c’è una lotta enorme con le donne emancipate, emancipate dall’immagine degli anni 60 di donne materne e casalinghe anche quando cantavano in televisione. Con l’emancipazione hanno mutato l’immagine della donna in pornografia perché non reggeva più.
Tra l’altro anche per una domanda delle studenti che si sentivano in difficoltà davanti a delle immagini che imponevano loro di essere molto magre molto truccate. Ecco però c’è così poco dibattito su queste cose che finiscono per sentirsi ammalate queste ragazze e per subire invece di rivoltarsi.
Io ricordo Marina d’averti visto in televisione nella trasmissione di Gad Lerner e mi ricordo che avevi una scollatura enorme e stavi dietro a persone importanti che venivano intervistate e ci stavi dietro un po’chinata in avanti probabilmente per sentire e ricordo la difficoltà dell’operatore di trovare un’inquadratura che non fosse sempre la stessa cioè i tuoi seni sopra la testa di queste persone e non riusciva a bilanciare. Io soffrivo e vedevo che anche loro volevano evitare quella cosa lì. Mi ha sorpreso che tu fossi così sicura di te perché è una cosa molto sottile molto difficile per il corpo della donna apparire in modo intelligente e anche rendersi conto di come finisce per apparire”.

 

Luisa Muraro: siamo rimaste non bene impressionate dal tuo intervento (quello di Antonella Nappi, ndr) sulla questione di Marina in televisone. Il punto non è certo i corpi più o meno vestiti. Le persone si vestono come si vestono. Certamente se tu sei rimasta turbata, Marina si veste in effetti in una maniera femminile molto appariscente, è il suo stile, il suo gusto anche fuori dalla televisione. Il fatto che vada in televisione vestita come le viene fa parte dell’esprimersi e non c’è nessunissimo problema. Adesso qui associo una cosa. Vi ricorderete di quel simpatico giornalista femminista inglese che faceva Cervelli d’Italia. Ha voluto intervistare anche me tra i cervelli d’Italia, poi è venuto anche in Libreria a fare una intervista più approfondita e la sua ossessione era perché sopportavamo le veline. Ce lo ha chiesto più volte. Io cosa gli ho detto? A parte il fatto che non guardo mai la televisione, quindi non posso avere un impatto. Lui afferma che in Inghilterra tutte le femministe si rivolterebbero e impedirebbero questa cosa. Non è che io abbia una grandissima idea del femminismo inglese quindi non ero impressionata da questa cosa che prospettava lui però gli ho detto, ma proprio banalizzando: ma se vanno lì liberamente se non è la porta d’entrata della prostituzione, come poi è venuto fuori però, in effetti, era la porta d’entrata della prostituzione, se vanno lì liberamente, se le pagano io non so veramente cosa dire. Quando ho ascoltato Norma ho capito che era una banalizzazione. Veniamo al punto. Del discorso di Norma mi ha molto colpita quel passo brevissimo dove dice: chi è l’art director di questo bel cambiamento? E ha nominato Freccero, Chiambretti, Arbore. La questione secondo me è di avere idee, di avere idee e di realizzarle, di essere inventive di esserci dentro e di attraversare, smuovere, spostare la situazione. Cioè non che dico che questa è la soluzione ma come qualcuno qui ha già osservato ognuno fa il suo gioco. Il maschio italico volgare fa il suo gioco e ha trovato nella bassissima qualità della televisone italiana il terreno di coltura per le sue pensate e per il suo gioco sessuale, i suoi desideri, la sua estetica e anche al sua voglia di guadagnare soldi con delle idee che fanno soldi. La questione è che bisogna muoversi in quella direzione lì cioè di concepire una politica delle donne e pensieri e invenzioni che siano capaci di fronteggiare. Secondo punto però: non mettiamoci sullo stesso piano. Bisogna considerare che la realtà dello schermo televisivo è una facciata e dietro lì, spostate da lì, ci sono tantissime altre cose che contano, giocano, valgono. Non bisogna contrapporsi, sarebbe un’idea insensata, bisogna lavorare di astuzia aggirando quelle cose lì andando a cogliere le questioni, le invenzione creative. Faccio un piccolissimo esempio. Quel film che Vita Cosentino e altre senza soldi hanno realizzato ‘L’amore che non scordo’, è di un’altissima qualità. Cose di questo genere bisogna farne a centinaia a migliaia invece di farsi affascinare dalla cosa che ti distrugge e debilita per il fascino della sua abiezione, bisogna giocare uno sguardo trasversale. Il lavoro di Norma Rangeri mette sempre uno sguardo trasversale, ironico e quindi in qualche maniera ha sempre uno scarto, qualche momento di scarto. I suo apprezzamenti sono dosati. La cosa è fuori non è la dentro, è fuori che bisogna fomentare delle invenzioni avendo delle pretese, insomma quello che fa il Freccero bisogna saperlo fare non dico nello stesso registro o che cosa ma bisogna saperlo fare non ci piove su questo. Bisogna sostenere il lavoro di invenzione, di creatività e di lanciare delle idee che tengano testa e far fuori ogni forma di moralismo. Un po’ moralista lo è stata Antonella, con il suo candore onestissimo per cui lei può dire tutto quello che vuole. Ma non è in quella cosa lì anzi, Marina Terragni che va vestita molto meglio di una velina comunuqe con uno stile provocatorio è il segno di una che non è là che si gioca la cosa. La cosa si gioca nel pensiero, nell’invenzione, non nella cosa immaginata- immaginaria nella figurina ecc nella invenzione velenosa e intelligente e spostante rispetto a questo mondo qui”.

 

“Volevo chiedere alla Rangeri una precisazione – interviene Ombretta De Biase -. Lei giustamente ha fatto un quadro molto realistico. Sull’intervento da fuori, che bisogna intervenire da fuori al di là del discorso delle veline, proprio facendo un discorso politico in senso lato. Chiaramente ci vogliono le proposte. Le analisi sono interessantissime ma ci vuole qualche proposta. Luisa ha fatto un salto in avanti parlando di invenzione. Fra la creatività e l’intervento da fuori mi sa che c’è un passaggio intermedio e il passaggio intermedio è proprio la rivitalizzazione di un conflitto ma conflitto in che senso? Potrebbe essere un’idea quella di dire in maniera molto chiara, se uno ha i mezzi per pubblicarlo,o ma se no si può pure dirlo vis a vis nel proprio piccolo per quello che può ma cercare di far entrare il dubbio in queste persone, farlo maturare, anche probabilmente nelle stesse veline perché tutte questa ragazze mi sa che hanno un problema di educazione alla vita.
Mi sta bene che fanno quello che vogliono però devono capirlo”.

Norma Rangeri: “Mi veniva in mente una cosa singolare. Noi stiamo discutendo a Milano, in Italia della televisione e non nominiamo il nesso strettissimo che c’è tra la televisone italiana pubblica e privata e la politica. Perché la creatività è l’arma vincente per cui se ci fosse un Ricci al femminile capace di creare, di inventare una comunicazione altrettanto forte, avremmo trovato la soluzione. E’ difficile però riuscire a rintracciarla o ad alimentarla o a sostenerla se la determinazione del palinsesto, del contenuto dell’immagine è direttamente connessa a una proprietà politica o a una proprietà istituzionale. La donna che fa la vice di Marano conta per quello che può contare ma risponde al partito non risponde all’utente, non ha una logica commerciale, la logica commerciale non ce l’ha neanche la televisone commerciale perché risponde a un partito-azienda, a un’ideologia molto forte che non è quella dell’Auditel. No, agisco in un certo modo per veicolare questo tipo di roba e questo tipo di roba so che farà ascolto perché non c’è nessuna alternativa nè fuori, nè in altri canali solo se uno ha una tv a pagamento forse può trovare qualche altra cosa. Quindi c’è un’omologozione molto forte e un cappello politico molto forte, quindi la creatività interna uno riesce a immaginarla soltanto se prima riesce a immaginare di aver tolto o di togliere questo controllo politico che per altro non esiste nella televisione degli altri paesi dove tutto è molto più mediato, c’è un’autonomia molto forte della struttura editoriale. Io sfido chiunque a rintracciare una linea editoriale nelle sette reti che noi abbiamo. E’ diventato un enorme discount la televisione che sforna format comprati e venduti con un alto tasso di rendita uno scarso tasso di produttività dal punto di vista economico, quindi è una situazione complicata da questo fatto.
Invece io dicevo può nascere dell’esterno anche forse perchè se si fa notizia fuori si riesce a entrare dentro, quando Vespa invita a Porta a Porta la signora in accappatoio, la spoglia gli tocca le tette rifatte giudica come è andato l’intervento e nelle strade non c’è neanche un manifesto di un gruppo che scandalizzato appiccica quella foto per tutta la città e crea così uno scarto noi non riusciamo ad entrare dentro. Bisogna avere l’intelligenza di creare una comunicazione forte d’impatto popolare fuori allora entra dentro quel meccanismo allora può esserci un corto circuito”.

 

“A me sembra che quanto hanno detto in maniera diversa Luisa Muraro e Norma Rangeri – interviene una partecipante – è che l’unica via praticabile sarebbe quella di ritagliarsi delle vie, degli spazi all’interno del potere e in contrapposizione. Certo una cosa molto difficile e poco praticabile in un paese conformista come l’Italia ma mi sembra veramente l’unico problema che abbia senso. A me non sembra un grosso quesito quello di come ci si veste o ci si sveste anzi forse un aspetto positivo del contesto in cui siamo oggi ci si piace un po’ come ci pare….ognuno fa come vuole. Certo forse il problema è quello di come abbia vinto la società dei consumi e un mondo in cui le ragazzine di quindici anni cominciano a farsi la chirurgia plastica e in cui le donne continuano a perdere la maggior parte del loro tempo e soldi per operazioni di questo genere è certamento un mondo che ha preso una grossa distanza rispetto quelle che erano le motivazioni della liberazione femminile.
Quindi ricordo, mi pareva fosse Camilla Cederna che in qualche scritto di moltissimi anni fa notava come negli anni Sessanta – Settanta la donna cominciasse a vestirsi senza pensare all’immaginiario maschile usando, per esempio, scarpe comode e basse. Adesso direi che non è più così perchè è un mondo talmente consumista che abbiamo un’adeguazione femminile a cui è molto difficile sfuggire, fra l’altro con un cattivo gusto incredibile e i maschi non vengon nemmeno intimiditi dall’eleganza. Mi sembrava questo il discorso. La vittoria di un consumismo, di questa società dei consumi. Inutile piangersi addosso se non si cercano delle strade per far sentire la propria opinione”.

 

“Mi si dice che anche i personaggi tipo Fazio che sembrano creativi, fantasiosi in realtà leggono cose che gli vengono rifilate – interviene un’altra partecipante – quindi il discorso sul ribellarsi dall’interno mi sembra difficile perchè è tutto comandato. Anche personaggi che noi crediamo gestiscano il loro tempo, il loro discorso, di fatto vedo che anche loro leggono e sappiamo quei tre nomi sconosciuti che ogni tanto vengono fuori sono quelli di questi estensori di questa visione del mondo. Volevo sapere se è vero non è vero”.

 

Una donna: “sentendo quello che diceva Norma e sentendo la ricostruzione anche temporale che faceva un po’ dei cambiamenti della televisione mi veniva in mente una cosa che ho letto in un’intervista sui temi del corpo femminile di Vicky Franzinetti. L’intervista mi faceva riflettere e mi ha convinto dal punto di vista della costruzione del codice comunicativo che secondo me è l’elemento chiave di questa costruzione, cioè che tipo di codice comunicativo nello specifico sul corpo delle donne la televisione ha costruito. E Vicky mi faceva riflettere come in realtà in Italia soprattutto, e lei lo ascriveva alla cultura cattolica, per una serie di elementi culturali di contesto il codice comunicativo si appiattisce su due estremi: puttana – madonna. Sono esattamente le cose che Norma richiamava prima. Da un lato noi abbiamo il corpo esibito ma oltre al corpo io citerei anche Maria de Filippi, con la pornografia dei sentimenti. Dall’altra la madonna, tutte sante marie goretti in tutte le fiction, cosa alla quale si accompagna il revisionismo storico che la televisione italiana sta facendo su una serie di questioni importanti, pensiamo alla resistenza, alle foibe. C’è un filo rosso che forse va a comporre un’immagine ben pensante, tradizionalista, un modello sociale che torna indietro nel tempo e che in qualche modo spezza la possibilità di diversità. Da questo punto di vista e anche rispetto ai nomi di quelli che sono stati citati come i personaggi, Freccero, Ricci, la mia domanda sulla creatività è questa: se ci fosse un Freccero al femminile un Ricci al femminile, la mia domanda è: laddove Freccero, Ricci ed altri sono stati, attraverso l’arma dell’ironia, della decostruzione di tutta una serie di ribaltamento dei codici del varietà oppure di evocazione dei codici vecchi della televisione, sono stati sicuramente innovativi hanno però alla fine forse attraverso questi codici veicolato immagini non tanto diverse per cui io mi interrogherei su questa creatività dove va a finire. Altre piccole questioni molto grosse che riguardano le ragazze e il modo di stare in televisione ma sono un argomento di un altro dibattito perché bisognerebbe provare a chiedersi senza moralismo ma come mai il desiderio delle giovani donne si indirizza in questo mondo? L’ultima questione è che in questo enorme discount televisivo ci sta anche tutto, l’enorme discount televisivo riesce a contenere tutto, è questo il vero pericolo. Riesce a contenere anche la Dandini, la Cortellesi, la Littizzetto. Anche la Gabanelli. Anche se la Gabanelli fa la giornalista e fa inchiesta, non fa lo stesso lavoro della Littizzetto. Per cui la domanda è in questo enorme discount in realtà anche l’eccezione in qualche modo non è più un’eccezione diventa quasi normalizzata e assorbita. L’ultima cosa come domanda riguarda invece la capacità di reazione dal di fuori. Mi colpiva il fatto che sia Liliana introducendo il libro di Norma sia Luisa sia qualcun’altro ha premesso: io vedo pochissima televisione. Allora io vedo pochissima televisione, vale anche per me e moltissime persone. La domanda è quale reazione ci si aspetta da chi ormai non vede più televisione nel senso che evidentemente ha fatto una scelta abbastanza di rifiuto di quel mezzo perché non è sostanzialmente di nessuna fiducia?”

 

Vita Cosentino: “volevo ritornare su questa questione fuori – dentro. Io sono d’accordo con quello che ha detto Norma Rangeri e poi Luisa che moltissimo si può fare fuori. E però vorrei porre anche una questione sul dentro. Io sto vivendo questa esperienza di questo film ‘L’amore che non scordo’ che ha avuto un successo insperato e questo mi ha fatto capire delle cose, perché appunto non c’è più il racconto della realtà. Il problema del dentro è che non c’è più. Le notizie passano se sono cronaca nera non c’è più informazione, c’è questo cambiamento di genere dall’informazione alla cronaca nera. In più questo film riguarda le maestre c’è questa progressiva demonizzazione di tutto ciò che è pubblico in questo paese quindi appunto non c’è più niente che racconti le cose. Però per questo filmetto sono stata chiamata da giornalisti perché sono usciti degli articoli e qui c’è l’altro aspetto. Dopo un’ora al telefono, ho parlato con un giovane giornalista uomo, che mi diceva di star stenografando e poi questo sto stenografando era la traduzione in linguaggio neutro maschile di quello che io stavo dicendo. Questo problema che qui in Italia non c’è neanche questo livello minimo che non cancelli che stavamo parlando di maestre che sono donne. Perchè nelle redazioni non si pone questo problema? Sul Corriere Traudel stava raccogliendo degli articoli. Ne escono a firma femminile che sono orrendi: nello stesso articolo c’è il sindaco donna, tre quattro femminili diversi, alcuni insensati. Mentre in tanti paesi europei questa cosa è normale dico c’è un problema anche dentro e lo volevo tirare fuori, questo tipo di cosa. Io non sono per la reazione ‘che si mettano i manifesti’ ma che invece se ci sono delle cose fuori che hanno un senso buono vada ripresa e che trovi una sponda dentro e che serva a rompere anche con dei meccanismi che sembrano a questo punto antidiluviani per esempio sul linguaggio”.

 

Una donna: “sulla questione della televisione. Rispondendo a Marinasul fatto del coraggio io non vedo la televisione come questo luogo pubblico in cui bisogna per forza andare. Su questa cosa qui specifica che mi interessa molto sono anche disponbilile ad andare però in un modo molto selezionato.”

 

Luisa Muraro: “Norma, non sono assolutamente d’accordo con lo schema che quando Vespa fa una volgarità televisiva io dovrei mobilitarmi. E’ una cosa insensata sarebbe raddoppiare la servitù televisiva: non solo hanno lo spazio nel momento in cui ce l’hanno ma hanno anche la piazza che fa da eco sia pure critica. Se la televisione è di bassa qualità quello che volevo dire io non è affatto di fare la cosa al femminile. Nominavo quei signori per dire: fanno il loro gioco e si tratta di fare il proprio gioco. Se la televisione è di bassa qualità si tratta di spostare il resto, tu l’hai detto nella tua introduzione – commento, si tratta di spostare il baricentro del processo interiore creativo politico inventivo da un’altra parte e non cominciare a riempirsi la mente di questo popolo inebetito dalla televisione e via dicendo perché il popolo inebetito dalla televisione è capace anche che se c’è qualcosa di meglio anche da un’altra parte si gira da qualche altra parte. Se no comunque se ci si lascia affascinare da questo tipo di logica si scende nell’abisso. Questa libertà e creatività politica che è di fare lo spostamento interno da altrove e tentare di risanare questo paese che va male, tutta l’Italia è messa male come ricordavano vari interventi, è un paese che sta andando male e sempre peggio. E’ che gli uomini hanno voluto continuare a comandare, dirigere, pensare, fare, disfare. Hanno avuto un’ondata di grande movimento delle donne a stento se ne sono accorti dopo venti- trent’anni adesso mi chiamano per delle cose che abbiamo detto trent’anni fa. Bene, siamo andati male noi stiamo a galla noi siamo quelle che abbiamo inventato le uniche cose buone da trent’anni a questa parte e sono invenzioni che non hanno a che fare con l’Italia hanno a che fare con l’umanità quindi lasciamo che questo paese vada alla sua rovina e ridiamoci sopra. Diciamocelo e continuiamo a pensare in grande senza affliggercii per questo o per quello, fare un disegno che ci sottragga alla fascinazione della mediocrità, e continuiamo a dire quando abbiamo l’occasione nella modalità più sensata: in Italia però ci sono le donne”.

 

Marina Terragni :”io vado in sofferenza quando, in questi ambiti, si comincia a dire: nessuno reagisce, si dovrebbe fare una rivolta popolare. E’ come quando si dice che le donne sono cretine o perchè non denunciano il marito che le picchia. Vuol dire allora che il 97% delle donne che subiscono violenze o prepotenze sono delle idiote, sono delle minori da tutelare. Io invece prenderei la questione del fatto che, per esempio, di fronte alla rappresentazione della donna non è solo quella della nudità ma quella della miseria. C’è stato un rapporto Censis dove si vedeva chiaramente che c’era questa specie di bipolarismo dove da un lato le donne venivano raffigurate per il loro ruolo di leader nel mercato della bellezza, dall’altra raffigurazione della donna miserabile, maltrattata sfruttata, licenziatata, menata, che abortisce ecc. Se le donne italiane non reagiscono con particolare veemenza anzi forse se ne sbattono vivamente delle veline, delle velone, di come le donne vengono rappresentate in televisione evidentemente ci sarà qualche buon senso che noi dobbiamo andare a cercare di cogliere perché se no noi siamo sempre quelle che abbiamo capito che dobbiamo concepire le rivolte popolare mentre fuori noi contribuiamo a dare un’idea delle donne italiane come delle oppresse decerebrate che non si sanno difendere. Allora queste donne non le conosco. Conosco donne che, probabilmente come dice Luisa, guardano da un’altra parte anche quando guardano la televisione, quindi questa cosa della apparente acquiscienza va interrogata non liquidata come un male necessario”.

 

Lia Cigarini: io sono un’altra di quelle che non guarda la televisione quindi non si sottopone alla sofferenza del corpo esibito. Invece a me interessa una comunicazione politica della mia pratica politica in lingua corrente cioè comprensibile che è la cosa su cui ci stiamo interrogando. Io ho sempre pensato che a differenza del femminismo inglese che è quello che io conosco, che è quello del politically correct, noi stavamo facendo e pensando delle cose molto più sovversive e però mi sono resa conto che la questione della comunicazione in lingua corrente è un problema. Sono stata ieri a Napoli, c’era grande riunione di donne alla Galassia Gutemberg, per cui mi hanno chiesto un’intervista con Marino Sinibaldi per Fahreneit. Questo Sinibaldi mi era stato detto che è uno che segue da anni la politica delle donne, che ne capisce. Invece ho avuto la prova che non aveva capito nulla della nostra pratica politica, perché parlando di Via Dogana mi ha detto: “come mai voi parlate di crisi della politica quando avete sempre preso una posizione critica rispetto la politica?” Allora io mi sono trovata a dovergli spiegare che per me la politica è la politica delle donne quindi non è che noi avevamo solo una posizione critica della politica maschile ma facevamo un’altra pratica politica. Dopo che io pensavo di essermi spiegata, mi hanno detto anche che mi stavo spiegando bene, questo è tornato con un’altra domanda che faceva dedurre non avesse capito che la politica delle donne per me è la politica quindi noi guardiamo alla crisi della politica maschile lui ritiene che le donne avessero una funzione culturale di critica dell’unica politica esistente che è la politica maschile. Ho rispiegato ma non riusciva a capire e gli uomini presenti a questa discussione non capivano perché non gli è mai apparsa la politica delle donne come una politica, era una cosa che riguardava le donne non la politica in generale. Io credo che il problema sia questo: o si riesce a comunicare la pratica politica delle donne e allora forse si riesce anche a rompere qualcosa dal di fuori all’interno. Mi sembra giusta la posizione di Norma Rangeri, anch’io non credo che accusare le giornaliste o anche le politiche dentro i partiti sia una soluzione. Però rimane il problema di una lingua corrente. Allora a me interesserebbe che noi qui discutessimo della comunicazione politica più che pensare di andare lì e comunicare la nostra politica”

 

Giordana Masotto: “io penso a quello che passa in televisione del nostro desiderio di tradurre in lingua corrente. Perché una pratica politica? Perché da una pratica politica a quello che passa in televisione ci sono molti passaggi ed è chiaro che bisognerebbe esercitarsi molto e poi forse riusciremo anche a comunicare meglio una pratica politica. Però quel discorso che si colloca in un contesto di comunicazione che è sostanzialmente di un vuoto di realtà. Io vorrei riportare un pochino il discorso su quello che c’è in televione: non è solo un problema di come ognuna si veste, ognuna si veste come vuole, il problema è di una sorta di cornice di sfondo in cui le donne non hanno alcuna scelta, è un modello imposto di presenza delle donne che costituisce una sorta di sfondo e cornice di qualsiasi altro contenuto, comunicazione della televisione e diventa strutturale a quello che viene comunicato. Quando prima dicevamo ci sono tante giornaliste donne che fanno la televisone, vorrei dire che sono usciti da poco i dati dell’Osservatorio di Pavia sulla televisione, sulla Rai. Hanno analizzato tutti i palinsesti della Rai su questo taglio delle donne e per esermpio vi dico solo un dato che è molto impressionante (l’hanno diviso anche per generi televisivi non è che è tutto uguale). Nella sezione informazione le donne giornaliste e professioniste della tv sono circa il 40% a livello italiano. Se si va sulla televisone locale, sulla televisone lombarda, questa ha una maggioranza di donne che fanno informazione. Le donne hanno come dire il famoso 50-50. Quello che mi interessa non è quanto potere hanno ma quanto appare la realtà delle donne, quanto la realtà entra nella televisione. L’altro dato è che a fronte di un 40% di donne che lavorano come giornaliste in televisione le persone di cui si parla o a cui si da la parola, le donne sono il 17% nella stessa fascia. Le donne sono lì a fare l’informazione ma l’oggetto del discorso sono prevalentemente gli uomini. Sulle donne non si fa informazione.
Allora io dico che non si può solo pensare alla traduzione, questo è un punto, importante così come avere invenzione, creatività. Però certamente c’è un problema che secondo me va affrontato anche direttamente cercando di rompere all’interno di chi fa informazione. Perché se la realtà, nella sua complessità, e in quello che noi viviamo e qualsiasi donna e uomo vede non appare e non è dentro così come le donne vengono intervistate solo sul fronte delle esperienze personali e non come esperte. La dove si parla di esperti e di competenza viene intervistato un maschio così come il problema del linguaggio che sollevava lei (Vita ndr.) che è una vecchia questione. Perché nelle redazioni il manuale della lingua italiana, il manuale con maschile femminile della lingua italiana è uscito trentanni fa è circolato pochissimo e male nelle redazioni e non si riesce neanche ad applicarlo. Ci sono dei discorsi specifici che riguardano le giornaliste che lavorano in televisione che secondo me forse ci sarebbe anche uno spazio ad hoc perché ci si può andare a collocare con discorsi anche più articolati e complessi”.

 

Marisa Guarnieri: “noi in questo ultimo periodo abbiamo avuto due esperienze. La prima è stata questa: sono stata invitata a un’assemblea delle lavoratrici della Rai in occasione dell’otto marzo e c’erano registe giornaliste ecc.. che parlavano di iniziative che volevano fare in quanto all’interno della Rai in Corso Sempione c’è un comportamento degli uomini nei loro confronti assolutamente insopportabile. Hanno scritto delle lettere, hanno fatto delle denunce per dire che è un terreno interessante, volevano andare avanti tornare ad incontrarsi. L’altra cosa era sulla questione della politica della comunicazione. L’esperienza che ho fatto io dentro la Casa delle Donne è una politica di sottrazione e credo che così non vada bene e sono d’accordo con Luisa sul fatto della creatività. Il canale che ti viene offerto è quello della miseria femminile e in particolare del raccontare delle storie delle donne maltrattate. Noi abbiamo sempre detto “no, questa cosa non esiste, noi non la facciamo la mediazione di questo tipo, tutto dev’essere messo in positivo, se se ne parla bisogna farlo in positivo. E questo ha sottratto a noi un sacco di occasioni e di possibilità anche se siamo andate spesso nei media. L’altra cosa che è successa recentemente è che Donna Moderna ha lanciato una campagna contro la violenza alle donne orribile in cui c’è la descrizione vera della miseria femminile ma più che altro del potere degli uomini che maltrattano. Noi abbiamo fatto un comunicato stampa, abbiamo denunciato questa cosa, la stiamo discutendo della rete nazionale dei centri. Il risultato è di dire no, questo finanziamento gestito da una Onlus che si chiama Pangea in collaborazione con loro, noi non li vogliamo questi soldi, non li prendiamo, non siamo d’accordo su niente non è così che viene affrontato il problema che va benissimo ma è sempre per sottrazione e quindi secondo me bisogna inventarsi qualcosa di positivo. Qualche cosa è stata fatta, siamo presenti in alcuni documentari però è faticosissima questa cosa non fosse altro per la distribuzione però credo che ci siano dei terreni interessanti su cui si può lavorare”.

 

Luisa Muraro: “mi pareva che Giordana dicesse: ci sono tanti passaggi intermedi. Io non voglio non considerare insieme a Norma, Giordana, la specificità di tutta la situazione però quello che mi pare certo davanti alla situazione estremamente degradata e instupidita che la strada sia proprio quella che indicava Lia cioè la scommessa dev’essere fatta al suo più grande. Le donne esistono, pensano, la politica delle donne è la politica e nel momento in cui questa cosa è, come dire, significata e si scomemtte sulla significazione di questo il resto seguirà. Il resto che seguirà che cosa è? O che la televisione va nell’insignificanza o che dall’interno della televisone le donne che la fanno, sempre più numerose, si risvegliano e dicono “ma certo siamo importanti facciamoci sentire e facciamoci valere”.
Tutto il resto: il voler rimediare alla mediocrità e il 17% secondo me è secondario, non dico che non sia importante ma il primo passo è la scommessa grande e puntare su quella cosa lì: la cosa che esiste che conta e che va bene in Italia sono le donne. Noi abbiamo fatto sempre l’esperienza di quel film ‘L’amore che non scordo’. E abbiamo detto le maestre delle scuole elementari sono brave. Si parla male della scuola italiana. Nelle scuole elementari le maestre lavorano bene, sono brave. Abbiamo mostrato questo. Non avevamo soldi, non avevamo niente: abbiamo trovato due brave registe il resto abbiamo fatto come abbiamo potuto senza mezzi e tutta la gente che vede questo film rimane estasiata e incantata, perchè? Bisogna dirsi la cosa. E’ una scommessa non è detto che si vince però credo che sia veramente l’unica scommessa perché chi ha un’idea grande in testa chi ha delle pretese in testa chi ha delle grandi pretese non può che scommettere in grande e il resto seguirà, se non segue non si perde la scommessa almeno non si è rovinata la propria esistenza, almeno questa è la strada da seguire. Mi meraviglio che Sinibaldi non abbia capito che la politia delle donne è la politica. Secondo me tra voi due non è corsa una buona corrente perché lui è sveglio. Mi sono perfino domandata se non sia successo questo: i giornalisiti per far ballare la gente fanno come i tonti: fanno delle domande”.

 

“Mi viene da fare una domanda – interviene una partecipante -. Domandiamoci se la tv rispecchia la realtà o la crea la realtà perché il discorso dei media alla fine è questo. Non esiste una realtà che viene portata in tv, questa viene costruita attraverso dei codici di comunicazione. Si tratta di un terreno molto interssante da esplorare. I miei ragazzini di scuola media, 11-14 anni, hanno tutti la tv in camera e passano ore a guardarla. Io come insegnante che cosa ho sempre praticato? In quella fascia d’età un discorso basato proprio sul discorso della differenza, uno degli interventi che ho sempre fatto per educare alla sessualità e all’affettività facevo dei laboratori teatrali e quindi la risposta creativa dei bambini delle bambine cercando di tenere la fedeltà a se stessi, e questo è sempre stato un lavoro molto utile però non è sufficiente perchè loro in questi momenti di creatività riportavano esattamente i modelli e gli stereotipi che ingurgitavano in dosi massicce dalla televisione e questo è un problema così come è un problema il fatto che questi tipo di modelli femminili che vengono proposti in tv, la miseria oppure la velina io negli anni ho visto le ragazzine di prima media sempre di più trasformarsi in ninfette, cosa allarmante. Sono ninfette che si esibiscono sui cubi vanno nelle discoteche in Corso Como. Non voglio dire che la cosa sia così catastrofica se anche dall’altra parte io faccio il mio lavoro inventivo di contrastro però se anche giornaliste, redattrici ecc.. facessero il loro cioè intervenissero sui codici comunicativi, sui modelli, restando fedeli a se stesse con una pratica politica, sarebbe una gran cosa. Chi ha rapporti con le giornaliste, facciamo un discorso con le giornaliste. Qualche anno fa so che si incontravano si era creato una specie di coordinamento però poi non se ne è saputo più niente”

 

Giovanni: per quanto riguarda la questione del cambiare le cose all’interno della televisione la cosa è molto difficile. Perché effettivamente come diceva Norma Rangeri c’è una dipendenza dai partiti molto forte ma non è solo questo. E’il fatto che all’interno della televisione il meccanismo è molto complesso e i poteri sono distribuiti in modo particolare. Non credo che non ci sia nessuna speranza per chi lavora dentro però faccio notare che ci sono state all’interno della Rai una serie di tentativi di movimenti con i giornalisti, con i programmisti. C’è stata un’associazione di giornalisti programmisti. Sostanzialmente non sono mai riusciti ad influire. C’è stato un periodo negli anni Sessanta che mi invitavano in tv a parlare con loro. Tutti d’accordo ma la cosa non cambiava. Io non credo sia giusto rinunciare all’idea di suscitare, di appoggiare, c’era all’interno della televisione un movimento di donne, però senza eccessive illusioni.
Per quanto riguarda il rapporto con il pubblico. Ho l’impressione che sia abbastanza cambiato rispetto a tanti anni fa. Credo che mentre negli anni Cinquanta Sessanta la tv fosse un momento di formazione dell’opinione pubblica del modo di comportarsi delle persone. In quel periodo formava la realtà, era diretta dai cattolici, dai democristiani. Credo che, da questo punto di vista, la situazione sia cambiata per due ragioni: la prima è che, secondo me, c’è una forma di scetticismo generale che investe anche la televisione e in questo caso è un fatto positivo. La seconda cosa è che ormai la multimedialità, il mondo mediatico è molto più complesso di un tempo. Per esempio, i giovani in modo crescente si interessano più di internet di quanto guardino la televisione dopo di che vanno anche a vedere la tv: Il bambino la tv la guarda perchè è piazzato lì ma crescendo le cose cambiano. Da questo punto di vista l’influenza che gli insegnanti possono avere è molto forte. Ricordo tanti anni fa un convegno di insegnanti che facemmo. Si scoprì improvvisamente che gli insegnanti potevano intervenire sui ragazzi per discutere sulla tv.
Il rapporto che oggi la tv ha con il pubblico è molto diverso. Bisognerebbe studiarlo anche perché il rapporto tra pubblico femminile e tv è diverso da quello maschile.
Quando si parla di queste cose si discute di informazione ora non dimentichiamo mai secondo me che contano molto più i varietà o gli spettacoli dei telegiornali.”

 

Norma Rangeri: non sono molto d’accordo su una cosa. Quando si parla di televisione mi è sembrato di capire, a parte la maggioranza che non la vede, televisione non significa lo schermo Rai o Mediaset, televisione significa un ordine simbolico molto più grande oggi nel 2008 più di quanto lo fosse ieri. Se ieri aveva una funzione pedagogica nel senso culturale dell’elite, della classe dirigente, oggi c’è come una smisurata estensione della periferia e la tv, in quanto schermo, in quanto internet, la televisione giovanile fenomeno internazionale – mondiale di Mtv comunicano con gli stessi codici, non c’è una differenza molto forte tra quello che io vedo in televisione e quello che vedo cliccando su internet. Rispetto alle donne poi c’è una situazione molto più libera molto più forte pervasiva intrusiva convincente rispetto le giovani generazioni che se guardano internet non guardano il prodotto migliore per certi versi. E’ come se noi fossimo di fronte un ordine simbolico che estente il suo potere, che lo globalizza quindi non dobbiamo pensare che la tv la vedano solo le persone marginali, marginalizzate. E’ un sistema simbolico molto grande, molto più forte per questo bisogna cercare di bucare questo meccanismo perché è un meccanismo avvolgente, totalizzante dal punto di vista culturale, politico economico antropologico per le giovani generazioni. Il fatto che le ragazzine si ritoccano è dovuto a quello che vedono è dovuto all’immagine. Noi trent’anni fa che tipo di confronto avevano con il mondo del simbolico da ogni punto di vista? Un certo tipo di rapporto. Oggi l’abbiamo modificato, in che modo abbiamo reagito, abbiamo reagito, abbiamo creato abbiamo lavorato ad una lingua corrente.

 

Una partecipante: una battuta breve a proposito di bucare questo universo. Dopo le quote rosa non sarebbe bello avera anche un canale rosa?

 

Lia Cigarini: noi abbiamo detto ‘nude o perdenti’, questa sarebbe un’immagine che verrebbe fuori dalla televisione restringendo il campo alla televisione.Sicuramente mi fido di Norma Rangeri perché non vedendola nulla so. C’è poi un’immagine che le donne hanno di sè che non è questa. La realtà delle donne che sono la parte più colta e scolarizzata della popolazione che sta entrando massicciamente nel lavoro non è quella. Io vedo centinaia di avvocate nel palazzo di giustizia che agiscono, studiano anche le ragazzine studiano di più dei maschi, leggono i libri, sono avvocate e in maggioranza sono donne architette, mediche. Che immagine hanno di sè le donne? Non siamo mica solo noi che abbiamo un’immagine delle donne come la parte più colta più complessa più sfaccettata che ha un’elaborazione. Siamo d’accordo che le donne hanno di sè l’immagine nude o perdenti? Non è vero. Non solo non ce l’hanno le femministe ma non ce l’hanno le migliaia di altre.
Io sono una di quella che dice che la cura del proprio corpo e della bellezza è un fatto positivo e non negativo che si trucchino che si inventino che si rendano più belle.
Se tu vedi sui giornali quello che emerge è che le donne sono presenti nel lavoro con delle qualità, sono presenti nella scuola, nell’università con delle qualità. Perché lì cosa facciamo? Diamo per buono che l’immagine che dà la televisione è quella che le donne hanno di se stesse? C’è un’immagine vincente delle donne nella società a cui gli uomini reagiscono male.
Io non trovo che le giovani avvocate abbiano di sè un’idea perdente e pensino che il loro corpo sia usato.
Sui media dei giornali non viene fuori un’immagine perdente delle donne. Di fatto sono la parte più colta della società”.

 

Giordana Masotto: “Io sono convinta che le donne abbiano un’immagine forte di sè, positiva. In paritcolare noi abbiamo messo dentro il fatto che ci sono le giornaliste. Prendiamo questo piccolo settore. Tu parli delle avvocate io parlo delle giornaliste. Le giornalsite che lavorano in televisione e nella carta stampata i discorsi sarebbero da articolare, ma giustamente è troppo articolato se andiamo anche a parlare della carta stampata anche perché leggermente diverso. Le giornaliste hanno un’immagine di sè che è totalmente scissa rispetto al lavoro che fanno che è di costruire comunicazione e immagine. Questo è quello che succede, è quello che succede a Vita quando va per dare un’intervista perché le interessa, ha fatto una bella cosa insieme ad altre la vorrebbe comunicare e trova che non riesce neanche a farsi capire, non riesce a far capire che ci sono delle discriminanti di linguaggio di rappresentazione di comunicazione. Quando le donne che lavorano alla Casa delle donne maltrattate vogliono comunicare su questo trovano che non c’è un linguaggio comune perché arrivano in una redazione e dicono “ma come ci sembrava di aver fatto una cosa così bella?”
Non capiscono neanche ma perché criticano?
C’è un problema di creare un linguaggio comune e condiviso sulle donne che lavorano nella comunicazione perchè altrimenti quelle hanno di sè un’idea vincentissima non riescono a comunicare. Questo è un problema”

 

“Volevo dire che l’idea che ciascuna ha di sè non è gigantesca , -interviene una partecipante – non è fortissima, è anche influenzata da diversi messaggi, dall’immagine pubblica, dalle norme, dunque bisogna anche riuscire a riconoscere le parti migliori di sè nei canali pubblici perchè altrimenti non si può proporre a nessuno di vivere isolato e forte nel suo pensiero di confrontarsi solo con una persona ogni giorno.
Sto dicendo che la televisione influisce sull’immagine che le donne hanno di loro stesse e danno di loro stesse. Non si può pensare che ci sia un’immagine sola e vincente”.

 

Liliana Rampello: volevo dirvi che a molte di noi farà molto bene leggere il libro di Norma Rangeri. Ma molto bene perchè la complessità del problema che lei propone non è così facilmente disarticolabile e nemmeno merita una risposta del tipo: tanto io non la guardo, io faccio altro. Non è così. Lei la pone in modo molto serio e io ho tentato di far capire quella questione che Lia dice ‘Siamo noi che dobbiamo tradurre in lingua corrente’. Parlare in lingua corrente significa secondo me tentare di capire quali sono i canali di comunicazione per esempio tra noi e le professioniste della comunicazione. Questo è un terreno perché è il ‘da fuori’ di cui Norma parlava prima. Lei può aver fatto l’esempio del cartellone contro Vespa ed è stato detto moralismo anzi eco e quindi raddoppiamento della forza della televisione e su questo son d’accordo che sarebbe forse un raddoppiarlo però è anche vero che quell’enorme impasto di immagine realtà virtualità politica e potere è potente e non è che si può semplicemente dire “Adesso arrivo, io parlo la mia lingua corrente e la cosa in qualche modo mi si scioglie davanti”. Io credo che sia un terreno di lotta. Quando io dicevo una strategia delle relazioni pensavo a un lavoro da fare su queste cose per chi ha voglia di farlo. Il tema che la Rangeri ci pone è un tema che o mette nella posizione di una lotta che prevede una strategia di relazioni conflittuali con questo impasto o se no certo sono assolutamente d’accordo che il lavoro di Vita sia una lavoro molto importante ma questo problema c’è. Come si rafforza quel tipo di lavoro, come lo si promuove, come lo facciamo arrivare? Come ragioniamo con le giornaliste perché quel video sia visto stravisto fatto vedere in quale ora del palinsesto riusciremo a piazzarlo. Allora io credo che Marina abbia detto una cosa vera. Ha detto che di fronte a questa, io sono d’accordo che sembra un’istituzione totale, noi abbiamo delle paure siamo anche pavide non sappiamo bene che cosa riusciremmo a fare e così tante volte non facciamo. Quindi in questo senso credo che il libro serva a capire l’impasto complessivo perché non solo per chi non la guarda, io la guardo, davvero questa cronologia è spaventosa, ed è spaventosa non perchè ha costruito l’immagine della velina è spaventosa per quel passaggio che la Rangeri ci ricordava prima tra il corpo della donna, religiosità e politica. Questo impasto nel suo libro si vede molto bene, ci spiega in quale ordine in quale sistema si è collocata quella cosa e ci fa vedere le conseguenze del perché a 12 anni si rifanno le tette o vanno sul cubo. Ci fa vedere una conseguenza molto radicale e secondo me questo è un terreno di lotta politica”.

 

Norma Rangeri: anche se la televisione non la vedi la vivi lo stesso. Fa parte un discorso che attraversa tutti chi la vede e chi non la vede, la differenza è che non vedendola, non avendo negli occhi e dentro la testa quello che la televisione propone, esporta, come forma il Paese che sta andando alla deriva, una responsabilità ce l’ha in primo piano. Andiamo insieme senza avere gli strumenti affinati al punto da poter intervenire in qualunque modo fuori dentro parlando fregandosene comunque assumendo questo problema. Altrimenti l’equivoco è: basta non guardare per non essere coinvolte. La cosa ci viene addosso in ogni caso.
Sarebbe molto divertente trovare il modo di coinvolgere veramente le giornaliste quelle della carta stampata femminili, quotidiani, tv, proprio perchè sono mute nel discorso pubblico”

 

Una partecipante: “non è vero che le donne si sentono come vorrebbe la televisione, le donne si sentono diversamente, questo è vero”.

 

Luisa Muraro: “io volevo dire una parola di carattere filosofico. Sto lavorando sulla politica delle donne e sulla questione del simbolico. La cosa che mi sento di riferire in questa situazione è: ricordiamoci che la rappresentazione del reale è una scommessa ed è una scommessa commisurata a quello e a quanto si sta, si può voler fare, è anche a quanto ci si può illudere di poter fare, quindi la dose di lucidità che è sicuramente necessaria in queste analisi critiche mai deve dimenticare che non c’è la realtà da vedere, c’è una scommessa su che cosa è la realtà e questa scommessa è soggettiva, altamente soggettiva ma perchè non sia arbitraria deve fronteggiare una serie di elementi di fatto, tutti non è possibile. Bisogna avere l’intelligenza di ascoltare chi ha certi elementi davanti a sé per questo ho trovato molto giusto l’ultimo intervento di Lilli che dice questo libro va letto. La lucidità di confrontarsi con chi ne sa altri. I fatti sono smisurati. C’è una selezione che va fatta internamente ed è in vista di una strategia. A me piace quello che diceva Lia su quest’immagine forte delle donne in realtà è anche vero che questa immagine forte delle donne è tutta impastata di sofferenze che possono essere anche grandi, di patologie, di squilibri e tutto questo non contraddice, Norma, il fatto che siano certe sofferenze che attraversano la condizione femminile specialmente più giovane che questo non sia anche l’elemento di forza in tutto quello. Tra l’altro la realtà essendo la risultante di scommesse simboliche se si gioca un certo ingrediente si sposta l’equilibrio di tutta la faccenda”.

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