19 Gennaio 2013

La città che vogliamo: l’altra Milano

A cura di Laura Minguzzi

Serata 19 gennaio 2013 alla Libreria delle donne – Circolo della rosa

Bianca Bottero nel suo articolo su V. D N° 103 dal titolo Common Ground sulla 13^ Biennale di Architettura di Venezia, scrive che il senso di questa manifestazione è il richiamo, attraverso varie proposte di diversi paesi, al significato primario dell’architettura cioè essere in empatia coi soggetti e i luoghi, in dialogo con i contesti e di conseguenza in  contrasto con la tendenza corrente del sistema degli/delle archistar. Oggi tutti parlano della città come sistema di relazioni, infatti anche a Milano, abbiamo l’Assessorato alla coesione sociale, ma queste affermazioni sono destinate a rimanere generiche e neutre se non si dice apertamente che la città delle relazioni entra in conflitto con l’esibizione della potenza tecnologica-tecnocratica e ingegneristica e con la logica della speculazione immobiliare che a Milano ha prodotto brutti quartieri, risultato appunto di speculazioni brutali e maldestre. Alcuni esempi che abbiamo tutti sotto gli occhi: a Porta Garibaldi, City-life, con il grattacielo dell’Unicredit, un ammasso di edifici, una torre con guglia, stretti in uno spazio angusto, senza respiro, anche se c’è il contrappunto (come dice l’archistar che l’ha progettato, Daniel Libeskind) delle fontane e dell’acqua che scorre nella Piazza Grande. A Santa Giulia col progetto firmato da Norman Foster, bloccato dalla Procura.  A Porta Vittoria, dove era prevista la biblioteca europea, sono spuntati come funghi  blocchi di appartamenti di edilizia residenziale e non si parla più del progetto originale. Nella zona una boccata d’aria diversa è arrivata dall’occupazione di Macao delle palazzine dell’ex-Borsa del macello.  Altre buone notizie: due nuovi luoghi di donne, Apriti cielo! e l’Alveare, sono stati aperti.  Milano è la città che io ho scelto come luogo dove abitare. Fin dagli anni settanta ha esercitato su di me, come su altri, una forte attrazione come luogo dove è potenziata la forza e il pensiero della libertà femminile, dell’agire che produce pensiero in relazione. All’inizio del 2000 esercitò su di me una certa attrazione anche il progetto di Santa Giulia firmato da Norman Foster, che fu pubblicizzato largamente con filmati, manifesti, maquette in tutta la città e che, tuttora, è un’area sotto sequestro, coperta di rovi, arbusti, dove in primavera spiccano il volo coppie di fagiani. Qualche settimana fa finalmente l’assessora Ada Lucia De Cesaris ha portato a termine i lavori di bonifica di una parte del Parco Trapezio (era la terza volta che venivano eseguiti) e così è stato possibile aprire l’asilo che si trova dentro il parco, dopo un’attesa, fatta di promesse non mantenute, di quattro anni. Il parco purtroppo non è ancora agibile e i lavori continuano. L’assessorato si è accollato quindi le spese di un risanamento che avrebbe dovuto essere stato fatto dalla impresa costruttrice: ha rifatto da capo, ha rimediato ad un danno provocato durante la passata amministrazione. La politica al servizio della città, sono parole che sento spesso pronunciare dal sindaco, da varie assessore.  Il Comune al servizio delle cittadine e dei cittadini. Ma dov’è la radicalità se si resta nella logica del rammendo, del mettere toppe? E non si stoppano, non si pongono vincoli rigorosi all’uso e consumo del territorio?

Io non voglio andare via da Milano ma fare vivere l’altra Milano, l’essere altrimenti della città, ciò che abbiamo chiamato l’architettura del desiderio.  L’esistenza di relazioni non strumentali, di luoghi altri forse non possono impedire il consumo del territorio, dell’aria e del corpo ma possono far esistere la Milano altra che ha ispirato il Primum vivere e il convegno di Paestum. Come ha detto Antonella Cunico del movimento No dal Molin di Vicenza e ora di Femminile Plurale: “Non abbiamo potuto impedire l’ampliamento della base militare a Vicenza ma possiamo continuare a coltivare la nostra idea di città, questa forza e questa libertà nessuno ce le può togliere”.

In un certo senso per me la bellezza dei grattacieli non è disgiunta dal significato primario dell’abitare, nel senso che l’arte ha sempre avuto su di me un effetto benefico, salutare, sul mio benessere mentale e fisico, ma quando appunto non è completamente avulsa e indifferente al contesto, al territorio… L’arte, la bellezza sono per me un bisogno primario. Questo l’ho sperimentato negli anni settanta-ottanta quando arte e politica delle donne procedevano insieme. Entrambe aprono conflitti, ampliano i contesti, fanno  crescere soggettivamente e collettivamente. Ho sentito recentemente il direttore del MACRO di Roma fare un intervento di fronte alle e agli studenti dell’Accademia di Brera in cui citava le Guerrilla girls come pioniere dell’arte urbana, la public art come un esempio di arte non monumentale, celebrativa o decorativa, arte che si confronta col contesto, con la storia passata e con la storia vivente, con la vita di chi abita al presente la città, il mondo.

Pensando a questo nesso per me essenziale fra arte, bellezza e salute ho chiesto a Maria Castiglioni, iniziatrice del gruppo delle Giardiniere e attiva al tavolo salute del comune, di parlarci della sua pratica di relazione. Nel volantino relativo all’ultimo incontro di ottobre a Palazzo Marino, Maria citava un verso di Emily Dickinson, “La campagna indossa una gonna scarlatta”, per far riflettere sulla relazione di dipendenza della città dalla campagna, della cultura dalla natura e metteva sul piatto questo interrogativo riguardo all’Expo 2015: da dove arriverà il cibo?

Noi qui alla Libreria e al Circolo della rosa, grazie al lavoro del gruppo di cucina relazionale Estia, abbiamo ragionato spesso sul cibo e sull’alimentazione. Maria ha intrecciato relazioni con alcune sindache e vice-sindache di Comuni virtuosi dell’hinterland milanese e  ci racconterà i frutti e le difficoltà di questa sua pratica relazionale in rapporto alla città.

Sandra Bonfiglioli, insieme ad Ida Farè che ha fondato il gruppo Vanda al Politecnico di Milano negli anni novanta, una pioniera dunque, ha lavorato da lunga data sui tempi della città e in particolare sui tempi delle donne. Inoltre, invitata dal Movimento delle città vicine, ha partecipato a molti incontri in diverse città dove ha dibattuto queste problematiche dopo la pubblicazione del libro collettaneo Architetture del desiderio, resoconto ricco di testi ed esperienze del convegno del 2008 su questo tema qui in Libreria, insieme ad Anna Di Salvo e Bianca Bottero e mi piacerebbe, se vuole, che ci parlasse dei nodi irrisolti più interessanti emersi da questi incontri e dello stato attuale delle sue ricerche.

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