19 Settembre 2014

Olympe de Gouges, nostra contemporanea

 

Milano, Libreria delle donne, 11 marzo 2014

 

di Margarita Borja

 

La voce della Libreria delle Donne risuona da decenni in altri spazi del femminismo contemporaneo. Il libro collettivo Non credere di avere dei diritti dell’87 e L’ordine simbolico della madre di Luisa Muraro fanno parte della bibliografia fondamentale e di molte riflessioni del femminismo, e della memoria della mia generazione all’inizio della democratizzazione in Spagna, quando avevamo l’urgenza di guardare e interpretare la teoria e la realtà in un modo nuovo. Per questo è un onore per me essere ricevuta qui e vi ringrazio di diffondere così tanti libri di donne e di gestire questo interessante luogo d’incontro. Grazie a Clara Jourdan e ad Ana Domínguez di aver gettato un ponte con la Librería Mujeres y Compañía di Madrid, il cui primo risultato è stata la partecipazione di Ombretta De Biase al nostro Encuentro de mujeres en las artes escénicas en el Festival Iberoamericano de teatro, FIT de CÁDIZ (Incontro delle donne delle arti teatrali al Festival Iberoamericano del teatro). Lì ho scoperto che il suo testo drammatico sulle beghine coincideva nell’impianto biografico-narrativo con quello della prima scena dell’opera di cui sto per parlarvi. Grazie anche a Francesca Mantura, senza la quale non avrei il piacere di essere qui oggi, per la sua generosa decisione di tradurre l’opera, un testo teatrale scritto insieme da Diana Raznovich e da me, e l’intero libro che la contiene, nato successivamente. Chiara Turozzi della casa editrice L’Iguana sta preparandone l’edizione italiana, che vedrà la luce a Verona alla fine del 2014.

 

Mi riferirò a Olympe de Gouges come a una nostra contemporanea, perché il recupero della sua storia e dei suoi scritti nel bicentenario della Rivoluzione Francese, nel 1989, ha innescato una serie di rinascite della sua figura e insieme della sua visione profetica.

Il libro Olimpia de Gouges o la pasión de existir («Olympe de Gouge o la passione di esistere») ruota in modo poliedrico intorno alla messa in scena che ho diretto e coprodotto in una Buenos Aires scossa dalle proteste cittadine post-corralito[1], che rievocavano la Rivoluzione francese, fortemente influente nel continente americano e in particolare in Argentina. Un contesto propizio per creare una vigorosa poetica scenica intorno alla “mia eroina favorita”, espressione che riprendo dalla sua biografia spagnola Oliva Blanco Corujo, il cui rigoroso lavoro di ricerca e bibliografia occupano la parte finale del libro.

 

Abbiamo cercato di costruire il personaggio di Olympe de Gouges come agente destabilizzatore dell’ordine dato e soggetto mutante, che fa mutare la società con la frattura che le sue azioni producono, secondo la definizione di Gilles Deleuze. Oltre a impersonare se stessa a la sua posizione politica, Olimpia doveva mutare in scena, come uno specchio di situazioni vissute da donne di ogni epoca, compresa la società globalizzata di oggi. Per elaborare il personaggio, chiesi dapprima il contributo drammaturgico di Diana Raznovich, e in seguito riunimmo un’équipe creativa di alto livello che mi permise di osare e di innovare la regia, all’interno di schemi frammentari e diacritici che esploro in ogni montaggio. Dobbiamo a Diana monologhi e dialoghi di grande potenza e spessore, indispensabili per fare di Olimpia l’essere parlante e pieno di energia solare che cercavamo, e sempre a Diana dobbiamo la scelta e l’approfondimento di controparti indispensabili nel dialogo, come la Padrona di casa e Robespierre. Da parte mia, sdoppiando i personaggi creando rimandi tra un’epoca storica e l’altra e componendo ritmi di scena caleidoscopici, ho potuto creare un gioco di trasformazioni in certi passaggi tumultuosi della trama impossibile da rendere con una lunga successione di eventi; la parte che ho intitolato Operetta de la Cruel Louisette («Operetta di Louisette la Crudele»), per esempio. Curiosamente, questa dinamica sperimentale ha favorito altrettanti giochi di analisi nel resto dei saggi che compongono il libro.

 

Gli aspetti del carattere di Olimpia che la designano come agente destabilizzatore dell’ordine dato sono, a grandi tratti: personalità forte, lucidità nel mettere a fuoco la condizione sua e di altre come figlia naturale e come donna priva di diritti di cittadinanza, temperamento isterico capace di interpellare e mettere in scena e, da ultimo, genio creativo al servizio di un profondo senso di giustizia e di un pensiero politico avanzato e reso ardito da una visione utopica positiva che, tra l’altro, anticipa visionariamente l’“uomo nuovo” nel suo amico scrittore Mercier.

 

Olimpia fu protagonista di molteplici atti di audacia. Il suo potente desiderio fu strumento di azioni di rottura. Fuggì dalla cittadina di Montauban, dove le era permesso solo di essere figlia di una donna che l’aveva avuta fuori dal matrimonio e di un macellaio che le faceva da padre o, poi, una donna sposata e una giovane vedova, con tutte le limitazioni del caso. Inventarsi il nome con cui oggi la conosciamo fu il suo primo e decisivo passo per spianarsi la strada verso la corte a Parigi. Su un registro più personale, in Olimpia ho scoperto l’antidoto contro la naturalizzazione isterica che colpì mia madre durante i rigori della dittatura franchista, e come lei molte altre donne della sua generazione. I venti di libertà soffiavano al di sopra delle frontiere, ma l’onnipresenza del patriarcato repressivo nelle loro vite, etichettandole come isteriche, le consegnava a un fato definitivo. La presunta patologia, diagnosticata arbitrariamente in privato, si traduceva in discredito e incapacità, intralciando e intercettando qualunque loro presa d’iniziativa. Nel testo accenno alle teorie rivelatrici di Elaine Showalter e di Emilce Dio Bleichmar su ciò che quest’ultima definisce, fin dal titolo del suo libro, «il femminismo spontaneo dell’isteria». Analisi cruciali, che hanno gettato una luce sulla dolorosa confusione che mi aiutò a intravedere l’istinto politico celato in fondo al disturbo narcisista che vedevo nelle donne che mi circondavano nell’infanzia e nell’adolescenza. In realtà, legate com’erano dalla repressione, quella disperata protesta fisica di fronte all’impossibilità di articolarsi in parole era un comune denominatore non solo generazionale. Isteria e femminismo, dice Elaine Showalter, hanno formato un continuum significativo nel nostro divenire.

 

(traduzione a cura di  Silvia Baratella)

 

“Olimpia de Gouges, nuestra contemporánea”

sinopsis, Margarita Borja

 

La Librería delle Done resuena en otros espacios del feminismo contemporáneo desde hace décadas. El libro colectivo Non credere di avere dei diritti del 87 y El orden simbólico de la madre de Luisa Muraro se incluyen en la bibliografía básica de muchas reflexiones feministas y existen en la memoria de mi generación a comienzos de la democracia española, cuando era urgente mirar e interpretar teoría y realidad de otro modo. Por ello, es un honor ser recibida aquí y agradezco a quienes hacéis posible la difusión de innumerables libros de mujeres y la gestión de este interesante espacio de encuentro. Gracias a Clara Jourdan y a Ana Domínguez por tender un puente desde la Librería Mujeres y Cia de Madrid, cuyo inmediato resultado fue el viaje de Ombretta de Biase a nuestro Encuentro de mujeres en las artes escénicas en el Festival Iberoamericano de teatro, FIT de CÁDIZ. Allí descubrí que su texto dramático sobre las Beguinas coincidía en el planteamiento biográfico-narrativo con el de la primera escena de la obra a la que voy a referirme. Gracias asimismo a Francesca Mantura, sin cuya generosa decisión de traducir la obra, una dramaturgia conjunta de Diana Raznovich y mía, y el libro posterior que la contiene, cuya publicación italiana prepara Chiara Turozzi en editorial L´Iguana, yo no tendría el gusto de estar aquí, anticipando contenidos y líneas argumentales de la edición que verá la luz en Verona, al final de 2014.

 

Me referiré a Olimpia de Gouges como nuestra contemporánea porque la recuperación de su existencia y escritos en el Bicentenario de la Revolución Francesa, en 1989, ha generado una sucesión de renacimientos de su figura acorde con su profética visión.

El libro Olimpia de Gouges o la pasión de existir gira de manera poliédrica alrededor de la puesta en escena que dirigí y coproduje en una Buenos Aires agitada por la protesta ciudadana en el postcorralito y evocadora de la Revolución Francesa, de amplia huella en el continente americano y en Argentina en particular. Un ambiente propicio para construirle una vigorosa poética escénica a “mi heroína favorita”, expresión que adopto de su biógrafa en España Oliva Blanco Corujo, cuyo riguroso trabajo de investigación y bibliografía completa la parte final del libro.

Tratamos de construir el personaje de Olimpia de Gouges como agente de debilitación de lo establecido y sujeto mutante que hace mutar la sociedad con la fisura que producen sus acciones, definido por Gilles Deleuze. Más allá de encarnar la expresión de sí misma y su posición política, Olimpia debía mutar en escena como espejo de situaciones vividas por mujeres de todas las épocas, incluida la sociedad global de hoy. Para elaborar el personaje solicité a Diana Raznovich la primera contribución dramatúrgica y reunimos luego un equipo creativo de gran solvencia que me permitió arriesgar e innovar en la dirección escénica, dentro de esquemas fragmentarios y diacríticos que exploro en cada montaje. A Diana debemos escenas de monólogo y diálogo de gran potencia y contenido, indispensables para convertir a Olimpia en el ser verbal de energía solar que buscábamos, así como la elección o profundización de contrafiguras dialogantes indispensables, La Dueña y Robespierre. Por mi parte, desdoblar personajes creando guiños de un tiempo histórico a otro y componer ritmos escénicos en calidoscopio me proporcionó un juego de transformaciones en ciertas narrativas tumultuosas del relato que habría sido imposible producir con un gran elenco; la parte que denominé Operetta de la Cruel Louisette, por ejemplo. Curiosamente, esa dinámica experimental ha propiciado otros juegos de análisis en el resto de ensayos que componen el libro.

Las facetas de carácter que dibujan a Olimpia como agente de debilitación de lo establecido, a grandes rasgos son: fuerte personalidad, lucidez para distinguir su situación y la de otras como hija natural y mujer privada de derechos de ciudadanía, temperamento histérico capaz de interpelar y escenificar, y, por último, genio creador al servicio de un profundo sentido de la justicia y un pensamiento político avanzado y enardecido por una visión utópica positiva que, entre otras cosas, anticipa de manera visionaria al “hombre nuevo” en su amigo el escritor Mercier.

Olimpia protagonizó múltiples atrevimientos. Su potente deseo fue vehículo de acciones de ruptura. Escapó de la pequeña ciudad de Montauban donde solo se le permitía vivir como la hija de una madre que la engendró fuera del matrimonio y de un carnicero que ejercía como padre adoptivo, o como mujer casada o viuda joven, constreñida por tal condición. Inventar el nombre por el que la conocemos hoy fue su primer y definitivo paso para allanar el camino hacia la corte en París. En el registro más personal, descubrí en Olimpia el antídoto contra la naturalización histérica que atrapó a mi madre durante el rigor dictatorial franquista y a gran número de mujeres de su generación. Los vientos de libertad corrían ya por encima de las fronteras, pero la omnipresencia del patriarcado represivo en sus vidas etiquetándolas histéricas las abocaba a un fatum definitivo. La supuesta patología, diagnosticada arbitrariamente en privado, se traducía en descrédito e incapacidad, lastrando e interceptando cualquiera de sus iniciativas emprendedoras. Aludo, en la edición, a las reveladoras teorías de Elaine Showalter y Emilce Dio Bleichmar sobre lo que la última define ya en el título de su libro como “El feminismo espontáneo de la histeria”. Análisis cruciales, luz sobre mi dolorosa confusión que me permitió entrever el instinto político oculto al fondo de tanto disturbio narcisista, observado en las que rodearon mi infancia y adolescencia. En realidad, atadas como estaban a la represión, esa protesta corporal desesperada frente a la imposibilidad de articularse en palabras era un común denominador, no solo generacional. Histeria y feminismo, dice E. Showlater, han formado un significativo continuum en nuestro devenir.

En el libro que comento, las filólogas ponen la lente de aumento sobre puntos concretos, textuales o semióticos, de la obra. Dora Sales descubre el proceso liberador hacia el affidamento, tematizado por Lia Cigarini, como vertebrador de la escena en que Olimpia le dice a La Dueña del apartamento que escucha los golpes que le proporciona el marido en el piso superior, antes de lanzarle una batería de preguntas incisivas. La Dueña muta entonces en Revolucionaria, en la voz épica dueña del relato de la Marcha de las Mujeres a Versalles que marcó el inicio de la Revolución. Cristina Escofet encuentra paralelismos interesantes entre las personalidades de Eva Perón y Olimpia observando la característica común: ambas son hijas naturales de hombres influyentes que recuperan apasionadamente el lugar social que debía pertenecerles. Otras estudiosas, Jara Martínez Valderas, Ángeles Grande, Laura Borrás, descubren las bases filosóficas y estéticas que tejen la composición semiótica en escena y analizan las metáforas escénicas como subtextos y códigos que el público ha de desentrañar. Diana Raznovich ofrece una reflexión de calado respecto de su proceso de construcción de personajes previos a la escritura. Y, por último, en el libro en su conjunto, la pasión creadora de Olimpia aparece como el eje y la regla de oro que a ella permitió trascenderse y trascender, y a nosotras reconocerla como referente de gran valor.

 

 

[1] Il corralito (“box per bebè”) è il nome dato dalla stampa alle misure per limitare l’uso del denaro contante che il governo argentino assunse nel 2001, dopo il default dello Stato. Cittadine e cittadini si trovarono da un giorno all’altro, senza preavviso, con i conti correnti e i prelievi bancomat bloccati e senza il denaro per le spese quotidiane. Ne nacque un movimento di protesta di enormi dimensioni (N.d.T.).

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