4 Luglio 2008

Quarto incontro del ciclo di incontri: ‘Il posto del padre’. Discussione partendo dal film: “Non e’ un paese per vecchi” dei fratelli Coen

 

Appunti tratti dalla sbobinatura dell’incontro presentato da Sara Gandini con ospite François Fleury.

 


Sara Gandini: “Questo e’ il quarto incontro del ciclo “Il posto del padre”, che Laura Colombo, Elisabetta Marano ed io, abbiamo proposto e curato. Con questo ciclo ci chiediamo che posto vogliamo dare al padre. Perche’ pensiamo che le nostre domande sul padre abbiano a che fare con il nostro desiderio di relazione con gli uomini. Oggi ne discutiamo con Francois Fleury etnoterapeuta di Losanna.
Inizio mettendo un po’ di carne sul fuoco e poi facendo a Fleury alcune domande, frutto principalmente degli incontri scorsi e dello scambio con Laura ed Elisabetta.
Un film negli ultimi tempi mi ha molto colpito: “Non e’ un paese per vecchi” dei fratelli Coen.

 

Un uomo solo domina tutto il film, portando violenza e distruzione ovunque. Uccide senza alcuno scrupolo con uno strumento che non lascia nulla di se’ nell’altro. Anche il simbolo fallico della pistola, che lascia la pallottola, o del coltello, che penetra, sono sostituiti con uno strumento sterile che spara aria compressa, e permette di evitare il contatto con l’altro.

 

In questo film c’e’ solo il caso e l’individuo, nella sua solitudine. Lui, il cattivo per eccellenza, e’ il vincente. Si affida alla sorte, al lancio di una monetina, e il caso lo favorisce sempre. Anche gli anziani poliziotti rimangono senza parole e non comprendono cosa origini una violenza cosi’ insensata. Non rispetta nessuna legge ne’ sistema di poteri. Non c’e’ piu’ un simbolico patriarcale che faccia ordine, e tanto meno relazioni possibili tra uomo e donna che possano orientare in modo differente.
Il film, nonostante il clima da Western, finisce stranamente con il racconto di due sogni da parte di un anziano poliziotto che va in pensione. Il racconto viene fatto ad una donna a cui si chiede di ascoltare e di accogliere le parole, senza commentare.
Nel primo sogno il vecchio si danna per avere perso i soldi che il padre gli lascia, rappresentando l’inquietudine degli uomini in crisi perche’ non piu’ in grado di raccogliere cio’ che i padri potevano lasciare in eredita’.

 

Nel secondo sogno lui segue il padre a cavallo in una valle fredda, tempestosa. Il padre ha una lanterna, va veloce e lo supera. Ma lui sa che piu’ avanti lo ritrovera’ in un luogo al caldo.
Il poliziotto si stupisce di rappresentarsi, anche da anziano, come figlio. Un figlio alla ricerca del padre. Nel sogno emerge chiaramente il desiderio del ritorno di un padre che porti luce, chiarezza, sicurezza, che sappia la strada. E’ il sogno di un anziano che va in pensione senza essere riuscito nella sua impresa, e che si sente inutile, disorientato, senza uno scopo.

 

Si tratta di un film di due registi, due fratelli americani, che ci raccontano un mondo di uomini soli. Ci raccontano le loro paure: un mondo in cui gli uomini sentono la mancanza dei padri, ma non c’e’ desiderio di divenire padri (l’arma sterile, l’anziano che si vede solo come figlio); e si chiedono se questo puo’ portare solo a disordine e sofferenza. Se il simbolico patriarcale non e’ piu’ ereditabile e gli uomini non vogliono diventare padri, se non ci sono relazioni tra uomini e donne che sappiano orientare, c’e’ il rischio di una violenza cieca incomprensibile?

 

Lia Cigarini in un articolo dal titolo “ma cos’e’ questa crisi”, pubblicato sul Via dogana scorso, commenta un altro film: “La valle di Elah” di Paul Haggins. Scrive: “Un padre, ex combattente del Vietnam con la certezza dell’onore dell’esercito, scopre che il figlio in licenza dall’Irak e’ un soldato sbandato, drogato e irresponsabile. L’interesse del film sta nel fatto che man mano che il padre scopre di non avere trasmesso niente di se’ al figlio, neppure un po’ di onore, la sua identita’ di soldato e cittadino si sgretola, insieme a quella degli Stati Uniti. Lia parla di una irrisolta questione maschile e si chiede perche’ le donne non si fanno avanti.
Io invece mi chiedo dove sono finite le relazioni fra i sessi. Certo e’ difficile anche solo pensare a relazioni di differenza, relazioni in cui sia possibile un conflitto fecondo fra i sessi, se gli uomini sono cosi’ svantaggiati, cosi’ disorientati. E mi chiedo se questi film non siano un appello disperato dato dal desiderio di ricostruire una genealogia maschile, costruire relazioni sensate fra uomini, necessarie per poter pensare a uno scambio fecondo anche con le donne.

 

Francesco ragazzi, nel secondo incontro su “Il posto del padre”, diceva che per riuscire a stare qui con noi, alla Libreria delle donne di Milano, in una relazione che definiva un po’ scomoda, aveva bisogno di un padre, di suo padre. Diceva che il padre è costruito dal desiderio. E’ il desiderio del figlio di avere un padre che lo crea, in un certo senso fonda il padre anche se questo latita. Lui raccontava che nella relazione con suo padre e di suo padre con il nonno, vedeva scorrere un desiderio che ha, pian piano, creato una realtà diversa.

 

Nel quaderno di Via Dogana “E cosi’ via in un circolo di potenza illimitata”, viene riportato un tuo intervento, Francois, che hai fatto all’incontro dedicato al numero di Via Dogana “Parla con lui”. In quell’occasione fai cenno all’importanza di aver incontrato tuo padre, in un certo momento della tua e della sua vita, e della possibilita’ di ripartire da li’.

 

Cosi’ ti chiediamo che posto tu, Francois, dài al padre?

 

Come anche Marco Deriu nel primo incontro sottolineava, la riflessione sul padre non puo’ che partire dal forte cambiamento in atto, ossia la crisi di un ordine simbolico – il patriarcato – in cui la figura del padre era molto forte. L’ordine patriarcale è stato messo in discussione dai movimenti antiautoritari degli anni sessanta e settanta ma il “colpo di grazia” è stato dato dalle donne, che hanno saputo mettere al mondo la libertà femminile. La liberta’ femminile e’ solo un elemento che puo’ mettere in crisi o puo’ essere anche leva di liberta’ per gli uomini? Questa liberta’ maschile nasce sulle ceneri del padre o si puo’ fare a meno del parricidio per fondare una nuova liberta’?

 

Marina Terragni nel Via Dogana intitolato “Lo svantaggio maschile” affermava che lo svantaggio maschile non corrisponde affatto ad un vantaggio femminile.
In un sogno di qualche tempo fa, dormivo nel letto con mio padre e ad un certo punto scoppia una bottiglia ed esce un fumo bianco irrespirabile. Io devo alzarmi dal letto e precipitarmi ad una finestra per riuscire a riprendere fiato. Mio padre continua a dormire e non si accorge di nulla. Io ai piedi del letto, sempre nel sogno, mi chiedo come puo’ acccadere tutto cio’ e mi dico che questo accade quando le donne corrono piu’ veloci degli uomini. In una situazione di svantaggio maschile, se io, l’unica che si sveglia, non so stare al passo rischio anch’io di soffocare.
Nelle danze del sud, le tammurriate e le pizziche, diversamente da molte altre danze del nord Italia e nord Europa, le donne ballano prendendo l’iniziativa, cambiando il ritmo della danza, determinando le distanze dal ballerino… pero’ devono sempre tenere d’occhio dove sta il loro compagno di ballo. Non si balla da sole, la danza acquista in bellezza quando si sa dove sta l’altro e ci si muove di conseguenza. Ma soprattutto quando si sa comunicare dove si desidera l’altro che stia.
Secondo te Francois, cosa ha a che fare il posto che diamo al padre con le relazioni di differenza fra uomini e donne?

 

Annamaria Rigoni, una formatrice che per lavoro è contatto con giovani donne e uomini, ci raccontava che i giovani senza una figura paterna, nell’immaginare il proprio futuro lavorativo, sembra facciano fatica a trovare un equilibro tra onnipotenza e impotenza, cioè passano da una posizione in cui pare possibile fare tutto alla posizione opposta. Chi invece può contare su una figura paterna equilibrata sembra possedere un senso del limite. Marco Deriu, un sociologo che ha svolto diversi lavori di ricerca con adolescenti e giovani padri, ipotizzava che le difficoltà dei giovani uomini siano dovute a una comunicazione interrotta tra generazioni diverse di uomini, al fatto che i giovani uomini non hanno un’autorevole figura paterna cui fare riferimento.
Cosa ci puoi dire tu, Francois, a partire dalla tua esperienza?
Partendo dalla tua esperienza con gli adolescenti maschi immigrati che incontri col tuo lavoro, pensi che lo svantaggio maschile degli uomini possa dipendere dalla mancanza di nuovi padri?”

 

Francois fleury: “Per me è stato importante ripensare l’incontro con mio padre quando lui è morto. In quel momento ho capito la questione della figura dell’orfano, che di solito è una figura della letteratura dei bambini. Mi sono chiesto perchè non si parla mai di questa figura. Partendo da questo rievoco l’immagine dei bambini orfani che vivono nella strada, per esempio a Instanbul, che chiedono la carità e io, come signore di potenza che viene dall’occidente, mi sento in colpa quando non do nulla. Questi bambini rimangono soli. Sparisce con i genitori la sicurezza, sicurezza molto profonda che è quella che ho vissuto come bambino rispetto mio padre. Questo sentimento legato al padre riguarda il film citato: la figura centrale è un uomo che è di una potenza tale da decidere che cos’è la vita e la morte. Mi sono chiesto come mai i Coen hanno deciso di presentare la morte nella figura del maschile. Di solito, nel mondo occidentale la morte è femminile. Quello che mi ha toccato in questo film è che la morte è completamente legata al maschile. Questo film mi ha toccato perchè mi sono chiesto se dobbiamo andare a cercare all’inizio dell’uccisione. Cos’è questa figura dell’uccisione? Che cos’è la capacità di mettere a morte, che cos’è la capacità di decostruire il destino? Nella figura maschile c’è il cacciatore e questa immagine è importante perchè se guardiamo la storia umana, i cacciatori nel ciclo del cibo sono quelli che ammazzano e credo che in questo film, questa figura centrale è quello che ammazza. Ma perchè? Dall’inizio della vita ammazziamo per mangiare, per sopravvivere e questo è il grande ciclo del cibo dove l’uomo ha l’importanza maggiore. L’uomo è quello che fa la caccia. Invece in questo film c’è uno che ammazza senza scrupolo e c’è l’altro, che è la figura più vicino all’uomo, in sè maschile, che gli dà la caccia. C’è una storia di cadaveri e di mafia, di soldi e di droga. Il centro di questo film sono i soldi sporchi. Per far mangiare una famiglia bisogna avere soldi. Siamo usciti dal ciclo naturale dei cibi che si mangiano, che si controllano, adesso siamo in un ciclo pazzo che si costruisce e si disfa, siamo sotto un controllo fatto da attività maschile.
Bisognerebbe capire il cambiamento di questi ultimi secoli partendo dalle società che cercano di controllare la realtà ideologica contro quelle società che stanno cercando di modificare la realtà come decidono. Bisogna capire la differenza tra un indios dell’Ammazzonia che controlla il numero di puma uccisi perchè altrimenti la specie di estingue e un bancario svizzero che investe soldi in case. Il padre porta in sè l’immagine della sicurezza ma come mai stiamo arrivando in una situazione di perdita di sicurezza? Nel film quello che mi ha toccato è che si vede il protagonista che decide con la moneta quello da fare nella vita. Il destino è molto più complesso e non si può controllare. Il nucleo fondamentale di questo film alla fine ci porta davanti a questi due sogni che sono quelli di un vecchio poliziotto. In questo film non è chiaro neanche se lui abbia sognato tutto questo. Mi sembra importante che i Coen abbiano preso questa figura maschile che attraversa la famosa figura eroica e forse questo ha a che fare con l’immagine del padre. L’immagine eroica è l’immagine del cacciatore contro l’immagine del vincitore, ovvero quello che si procura il cibo e fa la guerra per averne prendendolo dal territorio altrui. Dobbiamo sofferemarci sull’immagine dell’eroe. Da molti anni sto cercando il perchè parlo di me attraverso quest’immagine, questo immaginario eroico che è un immaginario che costruisce il narrativo perchè nel narrativo, quando si parla di sè, si usano delle favole che sono il racconto della mia storia. Questo racconto attraversa tutta una serie di immagini abbastanza fedeli, descritte da Cambell, filosofo francesce che sostiene che attraverso questo ciclo dell’eroe si parla di nascita speciale. L’eroe è sempre una nascita speciale. La parola padre non può essere usata senza che ci sia un figlio o una figlia. Il nome padre viene fatta dai bambini non da altri. La nascita del bambino dà il nome del padre altrimenti non esiste questa figura. Un eroe, parliamo di maschi, nasce da una circostanza, da una serie di causalità. Il ragazzo porta in sè tutto il valore eroico dell’uomo: quello che andrà a difendere la città, la madre, contro il nemico e questa posizione sarà quella di portare del cibo o difendere la città dal nemico. E’ una figura molto complessa e non si può scappare da questa costruzione.
Come mai una donna che soffre questa posizione patriarcale di potere dà a suo figlio in questo ciclo dell’eroe? Come mai attribuisce a questo bambino delle risorse per affrontare qualsiasi causalità? Il ciclo dell’eroe continua quando è nato in maniera spettacolare: il bambino porta in sè il futuro di questa vita di eroe che dovrà attraversare delle prove. Nell’immaginario c’è la figura del militare: il passaggio a un uomo che è capace di difendere la comunità in sè oppure di divenire un uomo nel senso che passa dalla natura di bambino alla natura di uomo attraverso delle prove che sono molto potenti e molto forti. La comunità costruisce dei sistemi per attraversare queste prove che sono legate alla cultura di dove è nato il bambino. Si tratta di un momento molto profondo dove il bimbo viene affiliato a suo padre. Finchè non ha fatto queste prova non è affiliato e questa affiliazione è un’affiliazione complessa perchè di solito questo ciclo di prove porta in sè gente che ripresenta la cultura. Queste persone sono altri padri che cercano di dominare il bambino, la sua capacità di essere attento alla realtà.
Una prova che riguarda gli adolescenti è l’esame di maturità: l’esercitazione alla maturità è una prova per diventare un uomo ma la maniera di svolgerla è una grande menzogna perchè di fatto se questo ragazzo è stato seguito a scuola sappiamo se può attraversare o no questa prova. Invece il gioco di portarlo davanti al consiglio di professori è una maniera di affrontare la paura del ragazzo e di portarlo a fare delle prove che sono potenti. In pratica è un addomesticamento per diventare un uomo. Questo addomesticamento porta all’interno il futuro padre. Nelle altre civiltà, per esempio in Africa, questi riti di passaggio si affrontano anche con una sofferenza costruita dove il bambino si trova in situazioni di aver paura della morte. Questo è importantissimo: per attraversare questa prova bisogna attraversare la morte simbolica costruita dagli anziani. E’ la morte della libertà di pensiero. Il pensiero non è più libero: bisogna pensare come gli antenati. Si tratta di un’acculturazione del bambino in modo di costruire una capacità di accogliere l’autorità di gente più potenti di lui, che decidono per lui e lo portano a fare delle cose che non rientrano nella sua volontà. Trovo interessante l’immaginario dell’eroe del film western. L’uomo eroico del film che può essere quello che manda la moglie con il bambino fuori dicendo che il progetto sarà un paradiso. Manda poi il figlio alle prove dato che lui sta morendo. Lui non è capace di sfuggire alla realtà. Ai maschi si chiede di affrontare la morte attraverso diversi momenti di realtà.
Da un po’ di tempo le donne stanno pensando che stiamo andando verso la fine della capacità di costruire la famiglia. Per costruire la famiglia bisogna avere un po’ di sicurezza e la capacità di sopravvivenza. Se muore la famiglia il primo che muore è il padre e oggi come oggi si può sopravvivere anche senza padre. Ma questa figura della sicurezza, è un po’ complessa. La figura della sicurezza oggi è nelle mani di un vecchio poliziotto. Oggi c’è sempre più paura, la paura è aumentata. Oggi chi dà la sicurezza? Si parla di polizia privata, militari, aiutare la guerra in Iraq con dei militari che io sono capace di pagare. Si tratta di una guerra costruita dai soldi. Ogni giorno sono si vive in questa insicurezza: si esce di casa e si pensa “forse mi salta la macchina”. Per quanto riguarda l’Iraq attraverso lo schermo della televisione vedo solo morte. In Italia del resto si discute tanto di questi poveri rumeni che generernao insicurezza. A Ginevra è stata fatta una grande discussione su cosa fare dei rumeni. Abbiamo accettato la Romania nell’Europa e dobbiamo essere precisi. Quando si accetta un paese si deveno vedere le carte. Io sono andato in Romania, a Bucarest e ho visto metà che della città è di origine rom. Ci si chiede, dove sono i politici? Sembra che siamo persi in un’insicurezza fortissima che si manipola ed è manipolazione. Si crea la paura per mantenere il potere: ho paura allora voto e non ho più un’immagine politica.
Non so più cosa io sono. Cerco di essere sottomesso e questa sottomissione mi sembra importante perchè quello che stiamo dicendo in questi ultimi tempi che siamo sottomessi a tutto quello che dicono…e molte volte dicono cose sbagliate.
Con gli immigrati lavoro da anni: abbiamo raccolto gente dai balcani abbiamo, bambini che sono arrivati in Svizzera. Ci abbiamo messo tre o quattro anni per avere dei corsi in lingua materna, dopo otto anni questi bambini devono tornare a casa loro. Per fare un programma di accoglienza bisogna essere capaci di capire quali sono le cose più importanti. Questi bambini sono arrivati trauamitizzati e di loro non se ne è occupato nessuno. Quando parlavano i genitori dicevano di averli protetti. I bambini vivono la loro vita che non è quella dei genitori. Nessuno si è messo a lavorare con questi bambini. Ora hanno sedici anni e hanno problemi grossi. Li abbiamo lasciati con il loro trauma. In questo caso è il fallimento del padre, della sicurezza, della realtà sicura. Si chiede agli esperti se il trauma che è sempre più grande, in caso non venga curato se, porta per i prossimi vent’anni a chi lo ha subito sempre più paura e incapacità di gestire la realtà. Dietro il trauma c’è la paura della morte e la mancanza di sicurezza. Questi bambini di 16-18 anni stanno vivendo la loro rabbia contro i sistemi che li hanno portati a diventare adulti perchè manca l’infanzia, manca un pezzo enorme dell’infanzia ed è chiaro che quando questi giovani hanno problematiche chiedono ancora aiuto. Non siamo stati capaci di aiutarli perchè non si tratta di un trauma diretto, ma della difficoltà di integrarsi in una civiltà che non ha mai accettato stranieri. Questi ragazzi in Svizzera hanno fatto le scuole medie, sono ragazzi che non hanno prospettive. Questo porta a un sentimento di insicurezza. A fare la guerra sono i padri, i maschi. Si tratta di una costruzione che dobbiamo decostruire.

Print Friendly, PDF & Email