28 Novembre 2015

Ripartire dall’essenziale. Intervento di Sara Gandini

28 novembre 2015 ore 18.00

Circolo della rosa


Rabbia e amore

 

Il mio intervento a Lecce aveva come titolo Il punto fermo della differenza. La mia riflessione prendeva le mosse da un’esperienza di violenza psicologica che aveva toccato da vicino Maschile Plurale, con cui siamo in relazione politica da anni, e quindi anche me, Laura e molte femministe interessate alle relazioni di differenza. Nel conflitto che ne era nato alcune amiche e amici erano intervenuti con argomentazioni come «anche le donne sono violente», «spesso sono anche complici», e «non basta essere maschi per essere automaticamente dei violenti». Queste frasi sono tentativi fatti per lo più dagli uomini di schivare o evitare la radicalità della differenza sessuale, e mostrano una sorta di timore nei confronti della sua potenza. Ma noi sappiamo che la nostra sfida è di strapparci dal neutro maschile: per questo non possiamo che mettere in campo di continuo la differenza sessuale, dobbiamo starci, porre e riporre la questione.

Nel mio intervento dicevo che riguardo quella vicenda il punto fermo della differenza si mostra nel momento in cui una donna si alza in piedi e dice di avere subito violenza. Di fronte alla sua presa di parola non si può fare altro che fermarsi ad ascoltarla e fare spazio per la sua verità. Solo con questa postura emerge la soggettività femminile e qualcosa di nuovo può accadere.

Concludevo il mio intervento portando alcuni esempi di uomini che si sono messi in gioco nelle relazioni con le donne, anche nei luoghi di potere, perché sono il segno che qualcosa sta cambiando profondamente.

La mostra “La Grande Madre” è stata un’altra importante occasione di riflessione per chi come noi ha a cuore la dimensione politica della relazione tra donne, e tra donne e uomini, sapendo che le relazioni tra donne con il femminismo hanno cambiato anche le relazioni tra donne e uomini. Uso il “noi” riferendomi a un gruppo di uomini e donne, venuti dopo la rivolta femminista, che si ritrova da un annetto per riflettere, in presenza, sulle relazioni tra i sessi. Il testo La grande mostra che ho scritto con Claudio Vedovati e che abbiamo pubblicato sul sito della Libreria viene dallo scambio in questo gruppo. Prima di tutto abbiamo trovato significativo che la mostra sia stata curata da un giovane uomo, Massimiliano Gioni, che ha scelto di misurarsi con genealogie femminili a cui riconosce autorità – la cosiddetta “altra metà dell’avanguardia”, cioè una tradizione critica femminista nell’arte.

A nostro parere, la mostra tiene fermo il punto della differenza quanto più racconta i conflitti tra uomini e donne. Penso ad esempio alle avanguardie storiche dei primi del ’900 (futuriste, dadaiste, surrealiste); nella mostra si vede come le donne avessero aperto conflitti radicali e allo stesso tempo emergesse anche la forza dei legami che tenevano insieme uomini e donne delle avanguardie: l’eros emergeva come carica potente.

Eros e amore sono spesso stati una risorsa politica importante. Da tempo io e Laura riflettiamo su questo, e non solo noi.

Aleksandra Kollontaj per esempio, rivoluzionaria russa, e prima donna nella storia che abbia avuto l’incarico di ministra e di ambasciatrice, agli inizi degli anni ’20, in una fase di aspri dibattiti nella Russia post-rivoluzionaria, ha intitolato una delle lettere alla gioventù Largo all’Eros alato. Le sue parole sono: «L’amore non è affatto un fenomeno “privato”, una semplice storia tra due “cuori” che si amano, ma racchiude in sé un “principio di coesione” prezioso per la collettività, infatti l’umanità, in tutte le tappe del suo sviluppo storico, ha dettato delle norme per determinare “come” e “quando” l’amore doveva considerarsi “legittimo” e quando invece doveva considerarsi “colpevole” (cioè in conflitto con gli obiettivi posti dalla società).» Scrisse queste parole per rispondere alle preoccupazioni di chi era turbato dal fatto che i giovani lavoratori fossero «più occupati dall’amore che dai grandi compiti con i quali la repubblica dei lavoratori doveva misurarsi». La Kollontaj mostra come l’amore entra a ordinare la società, il lavoro, l’arte in un contesto in cui i suoi compagni marxisti erano interessati prevalentemente all’ideologia, relegando nel privato le relazioni e la soggettività. Infatti suscitò polemiche e dissensi ufficiali, al punto che queste lettere non furono mai più ripubblicate e restarono praticamente sconosciute fino a pochi anni fa.

Siamo stati colpiti anche dalle parole di una donna e un uomo che hanno deciso di scrivere insieme, la psicoanalista Julia Kristeva e lo scrittore Philippe Sollers. Il libro, appena uscito, si intitola Del matrimonio considerato come un’arte. La differenza tra un uomo e una donna – dice Sollers – è irriducibile, «non è possibile nessuna fusione. Si tratta di amare una contraddizione». E Kristeva sottolinea «Noi siamo una coppia formata da due stranieri. […] Ora la coppia che accetta la libertà di due estraneità può divenire un vero e proprio campo di battaglia.» e aggiunge: «la tempesta fa parte dell’incontro», per far vivere a lungo due esseri che non si lasciano ingannare dalla guerra e dalla pace bisogna pensare con tutto il proprio corpo la guerra e la pace, «rifiutando di lasciare morire i due sessi ciascuno per conto proprio».

Ci sembra che Kristeva e Sollers nominino un punto fondamentale: perché i due sessi non muoiano ciascuno per conto proprio, è fondamentale individuare il campo di battaglia e non sottrarsi al conflitto – la tempesta fa parte dell’incontro.

E io dico che si tratta di una tempesta guidata dalla rabbia femminile che è legata principalmente alla necessità di farsi capire, di essere comprese, di trovare quelle parole che creino uno spazio vitale, agibile, e qui risalta l’importanza del simbolico.

Le parole che meglio descrivono le relazioni con gli uomini per me sono un’improvvisa rabbia e un insensato amore. L’amore capita, spesso non ha a che fare con quello che credo sia più giusto, ma mi porta a sporgermi dove la rabbia non può arrivare. La rabbia è faticosa ma è anche il motore che mi mette in discussione, che mi interroga, che mi obbliga a fermarmi a pensare.

Ma il punto è: gli uomini sanno stare di fronte e fare i conti con la rabbia delle donne?

Nell’arte contemporanea secondo me qualcosa capita di nuovo a questo livello, e torno alla mostra “La Grande Madre”. Per esempio Ragnar Kjartansson, un artista quarantenne, in Me and My Mother (2000) mette in scena la necessità di stare presso la rabbia femminile (lo sputo della madre), anche se non la si capisce. Continueranno ogni cinque anni a rifare la scena dello sputo finché la relazione d’amore terrà, dicono. O nella installazione all’Hangar Bicocca, dove cantava con gli amici una canzone, Feminine Ways, che la ex-moglie aveva composto proprio quando il loro matrimonio stava naufragando. Lui fa sue le parole di lei, le fa cantare agli amici, le attraversa e riattraversa con pazienza per giorni, per poi camminare insieme agli amici e alle amiche verso un orizzonte differente.

E ci sono anche uomini meno giovani che hanno saputo mettersi in gioco nelle relazioni con le donne per trarne un sapere che ha cambiato il senso della loro vita. Penso al racconto di Gianni Ferronato che abbiamo pubblicato da poco sul sito della libreria (Maschi e femmine: a che punto siamo?). Gianni, che insieme a Adriana Sbrogiò e al suo gruppo Identità e differenza sta continuando a ragionare sulle relazioni fra i sessi, conclude il suo testo facendo appello a quella capacità maschile che sa trasformare l’aggressività in forza «e che permette ad Eros di riprendere la sua opera creatrice negli incessanti cambiamenti della realtà.» Gianni mi ha spedito quel testo chiamandolo “restituzione” e facendo seguito allo scambio avvenuto in libreria durante l’incontro organizzato con Leiss ad aprile di quest’anno, in cui si riprendevano alcuni nodi anche della vicenda accennata all’inizio che ha coinvolto MP e che abbiamo intitolato La politica è la politica delle donne. E gli uomini? (abbiamo messo anche il video sul sito).

Gianni conclude la mail con cui mi ha inviato il testo con una considerazione che mi ha fatto pensare. Scrive: «Ho l’impressione però che bisogna andare oltre per ritrovare il piacere dello scambio, dell’imprevisto, di Eros».

La sollecitazione a lasciar perdere i conflitti espliciti con uomini con cui siamo in relazione politica è venuta anche da parte delle donne dopo l’incontro in libreria. Mi sono chiesta se questa abbia a che fare con la tentazione (sempre presente) di ritornare a un separatismo femminile. Spesso nei conflitti che ho con gli uomini mi viene in mente Carla Lonzi, con il suo «Vai pure», e mi viene da pensare che siamo sempre lì, che non si riesce ad andare avanti. D’altra parte la tentazione di ritornare a “fare pace” e andare oltre è comprensibile, perché tenere aperti i conflitti richiede molte energie. Mi riferisco al conflitto relazionale, che non fa fuori l’altro, che nasce dalla fatica a stare di fronte allo straniero, ma allo stesso tempo ne è in qualche modo attratto, lo vuole comprendere, ci obbliga a stare in un disequilibrio mai pacificato, e necessita amore.

Interrogata sul mio desiderio di fare politica, sulle urgenze che sento, su quello che interiormente disegno come il campo di battaglia del femminismo, credo che la relazione con gli uomini sia la mia risposta, e trovo nelle parole di Carla Lonzi un punto di leva. Nell’ultimo libro di Maria Luisa Boccia, Con Carla Lonzi, c’è un punto in cui si ragiona della relazione con gli uomini e Boccia riporta questo frammento di intervista a Carla Lonzi. Dice Lonzi: «Perché ci si ferma, noi donne, di fronte a questo? Perché non si capisce che questo è un nuovo inizio?» La Lonzi provocatoriamente si chiede: perché ci ferma al “fra donne” e non ci si sposta nella sfida ad andare a fare “corpo a corpo con l’altro”. Per me la relazione tra donne è il punto di partenza, è il principio, è ciò che mi dà forza e consapevolezza, però penso anch’io che la sfida della relazione con gli uomini sia la sfida dove sta la contraddizione più grande e trovo interessante che proprio da una donna che aveva una relazione sessuale e affettiva con un uomo sia arrivata la risignificazione della libertà femminile e della politica partendo proprio dalla sessualità con la sua riflessione sulla donna clitoridea e la donna vaginale.

Quindi grazie alla lente del conflitto tra i sessi io dico che si legge meglio la realtà. Per questo vi ripropongo due testi recenti, uno sul nostro sito e uno Repubblica, che mostrano cosa può far capitare il conflitto fra i sessi. Il primo è della costituzionalista Niccolai che scrive «La rivendicazione universalizzante e neutralizzatrice di un diritto “delle persone omosessuali alla genitorialità” nasconde che gli interessi degli omosessuali maschi e delle lesbiche non sono affatto uguali, ma spesso opposti». È un testo denso e molto interessante, qui non posso riassumervelo, vi suggerisco di non perderlo. Il titolo è: La costituzionalista Silvia Niccolai interviene sulla questione dell’utero in affitto. La Niccolai conclude il suo intervento dicendo che parlare di confitto tra i sessi permette di vedere il disagio femminile e lesbico a «lasciarsi trascinare nell’ennesima battaglia che altri conduce per sé sul corpo delle donne».

Stefano Rodotà, in un’intervista su Repubblica a proposito del suo nuovo libro Diritto d’amore (Laterza), mi aveva piacevolmente stupito per il suo commento «Com’è povero il diritto se non parla d’amore», quasi che le parole delle donne cominciassero a fare incursione nei linguaggi specialistici della politica maschile. Poi commenta il fatto che nel 1968 la Corte costituzionale cancellò il reato di adulterio per le donne e nel 1975 arrivò il nuovo diritto di famiglia, che mette fine al modello gerarchico, ma si dimentica di nominare l’importanza dei conflitti aperti dalle donne nelle coppie come leva che ha scatenato questa rivoluzione culturale, non capisce l’importanza scardinante della soggettività femminile. Poi, sollecitato dall’intervistatore che gli chiede di commentare le richieste delle famiglie omogenitoriali, si limita a dire: «Prima riconosciamo pari dignità a tutte le relazioni affettive e prima saremo in grado di costruire dei modelli culturali adatti a questa nuova situazione. Finché manteniamo il conflitto e l’esclusione, tutto questo diventa più difficile».

Per Rodotà il conflitto è solo un problema, e non vede cosa fanno capitare la differenza sessuale e la soggettività femminile. Si pone nella posizione del padre che rassicura che la legge farà ordine. L’unico modo in cui le donne entrano nella sua concezione del diritto è in termini di lotta contro la discriminazione e subordinazione femminile. In sostanza se ci si limita alla rivendicazione universalizzante e neutralizzatrice della logica della parità, come diceva la Niccolai, non si vedono i conflitti fecondi che insegnano a leggere la realtà.

Negli anni ’70 il diritto di famiglia si è modificato grazie alla lotta che le donne hanno svolto nelle proprie singole vite, in un momento in cui esplodevano la loro rabbia e il femminismo. Il legislatore ha dovuto quindi fermarsi rispetto all’esigenza perentoria e prevaricatrice del riportare tutto a uno, il capofamiglia, per fare i conti con il fatto che i sessi sono due.

Ritornando alla questione dell’omogenitorialità, vediamo che la Niccolai mostra come di nuovo il conflitto fra i sessi emerga dalle relazioni affettive (ora con le situazioni delle coppie omosessuali con i rispettivi interessi) e di nuovo il potenziale politico dell’amore emerge con forza.

Concludo riprendendo Kristeva a modo mio: per non lasciar morire i due sessi ciascuno per conto proprio, non si può pensare di alternare guerra e pace, ma è fondamentale tenere insieme rabbia e amore, stare ai conflitti relazionali. Sottolineo la parola relazionale, perché di conflitti ne vediamo fin troppi intorno a noi, e ritorno all’invito “ad andare oltre” a cui faceva riferimento Gianni, riformulato nei termini di non fermarsi a un conflitto che rischi di diventare lacerante e cedere a odio e distruzione, ma trovi le giuste mediazioni per far passare altro.

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