24 Dicembre 2014
http://laboratoriodonnae.wordpress.com

Scoprire Meret

di Pina Nuzzo

Presentazione biografia Meret Libreria delle donne Milano foto di Pinuccia BarbieriLa presentazione a Milano, il 20 dicembre scorso, della biografia “Meret Oppenheim, afferrare la vita per la coda” di Martina Corgnati era un’occasione da cogliere al volo. Il libro era stato presentato una settimana prima al Maxxi di Roma, ma ho preferito fare un viaggio fino a Milano perché l’evento che si è tenuto presso la Libreria delle Donne era organizzato dall’Associazione  “Apriti cielo” con cui sono entrata in contatto via Facebook. Circostanze che mi facevano immaginare un incontro ravvicinato con un’autrice che apprezzo, in un luogo politico significativo.

Partendo dalla mia esperienza di pittrice avevo avuto modo di riflettere sulla donna come spettatrice dell’arte. Visitando mostre e musei mi ero fatta diverse domande su quello che guardavo e sul suo significato, ma per uscire dal mutismo in cui regolarmente sprofondavo ho dovuto superare tutte le informazioni e le nozioni di cui siamo tradizionalmente in possesso e che condizionano il nostro sguardo. Ho sempre trovato insopportabile la pretesa di assegnare alle opere un linguaggio asessuato che parlerebbe indifferentemente agli uomini e alle donne. Solo quando ho accettato di ascoltarmi davvero di fronte all’opera d’arte ho cominciato a pormi come una spettatrice sessuata. L’ho potuto fare grazie alla pratica politica del partire da sé. Così ho potuto leggere la grandezza di un artista, ma nel contempo capire di quali privilegi abbiano goduto gli uomini nella costruzione della storia dell’arte, primo fra tutti quello di porsi come soggetto nel mondo e di usare il mondo come oggetto di rappresentazione, di farlo legittimati da una genealogia.
Il saggio di Martina Corgnati “Artiste. Dall’impressionismo al nuovo millennio” (Mondadori 2004) ha rappresentato una conferma autorevole per il mio punto di vista. Non posso non citare un passaggio cruciale: “Le stesse “arti belle”, con i nudi e altre iconografie ricorrenti, da sempre saldamente in mano a uomini, hanno contribuito non poco ad alimentare l’ideologia e l’immagine della donna-oggetto, sessualmente disponibile, debole, nutritiva, vicina alla natura e passiva. Un’ideologia tanto forte, fino a pochi decenni fa, da condizionare non solo gli artisti, ma anche le loro rarissime colleghe e il loro pubblico, “misto” di fatto ma esclusivamente maschile nel giudizio. Alla fruitrice infatti, come all’artista, si offrivano due sole possibilità: identificarsi con lo sguardo maschile, rinunciando al proprio punto di vista, oppure con l’oggetto del desiderio, la modella, la musa, assumendo quindi una posizione in qualche misura masochista, svuotata di qualsiasi potere di formulare un’immagine autonoma.”
Dovevo andare a Milano.
“E’ circolata tanta energia oggi in Libreria e una gradevole impressione di vero ascolto e scambio di saperi” ha commentato “Apriti Cielo” su Facebook ad incontro concluso. Confermo, è stato uno di quei rari incontri in cui ci si parla per davvero. A cominciare dalle relatrici che si sono spese con generosità.
Ha aperto i lavori Zina Borgini di “Apriti Cielo” che ha voluto fortemente l’iniziativa per l’ammirazione nei confronti di Meret Oppenheim, icona di donna vissuta fuori dagli schemi, libera da ogni etichetta artistica, ideologica e di genere; per stima nei confronti di Martina Corgnati che aveva già lavorato sulla figura dell’artista e curato dopo la morte la prima retrospettiva italiana al Palazzo delle Stelline a Milano (1998/99). E ha voluto che la presentazione avvenisse presso la Libreria delle Donne, luogo con cui ha una relazione di lunga data.
Cristina Giudice, storica dell’arte e docente – come Martina Corgnati – dell’Accademia Albertina di Torino, introducendo ha ricordato che le artiste sono state spesso penalizzate dalla critica dell’arte del novecento; chi è riuscita a ritagliarsi uno spazio, ad essere riconosciuta, ha fatto scelte di cui poco sappiamo. Raccontate raramente. La ponderosa biografia di Martina Corgnati permette, invece, di conoscere meglio una figura complessa come Meret Oppenheim che, giovanissima, sapeva di volersi dedicare all’arte ed era già consapevole della ricaduta che l’essere donna avrebbe avuto sulla sua ricerca artistica. Decide di non avere figli. E quasi a suggellare un patto con sé stessa dipinge un quadro: l’angelo sterminatore.
E’ una donna che tiene alla propria libertà anche contro i suoi stessi sentimenti e non teme di andare controcorrente, contro le convenzioni sociali del suo tempo. Di questo e di tanto altro parla la biografia, un volume di cinquecento pagine che si legge con grande piacere e che si torna a consultare, come ha detto Cristina Giudice che si è anche soffermata sulla qualità della scrittura di Martina Corgnati. Perché non si tratta solo di scrittura bella, ma di aver saputo restituire la propria competenza, lo sguardo sull’artista e la relazione con la nipote, Lisa Wenger, depositaria delle carte di Meret – lettere, appunti, documenti – che sono materia viva e inedita della biografia.

Foto di Pinuccia Barbieri

da http://laboratoriodonnae.wordpress.com

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