29 Febbraio 2024

Arte e/è politica

di Giordana Masotto


In occasione della presentazione in Libreria delle donne di Milano di Brothels di Libera Mazzoleni (Boîte Editions, 2023)


Il libro è nero, com’è giusto che sia. In copertina un taglio, la ferita feritoia da cui entreremo nelle stanze dell’orrore: stanze invisibili nei campi di concentramento, segrete e nascoste vicino ai reparti di esperimenti con cavie umane; stanze disciplinate e controllate nelle case di tolleranza fasciste; professionali nella vasta gamma di casini e bordelli parigini; fino alle vaste pratiche degli eserciti stupratori e dei campi militari di prostituzione forzata e alle schiave in gabbia dei quartieri a luci rosse di Tokyo.

No alla Cancellazione

Libera Mazzoleni fa un lavoro di svelamento che si rivela anche nei fogli semitrasparenti che trovi dentro al libro e che non sono rilegati come le altre pagine, sono mobili: li puoi togliere se vuoi!

C’è svelamento nel silenzio di quelle immagini deformate: il silenzio è sentire il mondo. E quel flusso deformato ci chiama in causa. Architetture e persone ci fanno vedere città che non vediamo.

Denuncia la cancellazione, dà visione/immagini e parola/testi, a queste donne cancellate: è proprio questo che non le blocca, non le oggettiva nella condizione di vittime. È il “fuori campo” (come ci ha ben spiegato Daniela Brogi, Lo spazio delle donne) che spezza la visione consolidata.

E, insieme alle immagini, ci sono testi che rivelano tutto il lavoro di ricerca che ci sta dietro, ma anche poesie dell’artista, testimonianze, lettere alla senatrice Merlin. Giustamente varie e plurali sono le voci di queste donne: pro e contro la Merlin, le tenutarie, le imprenditrici creative, le schiave.

Ma attenzione, questa non è documentazione storica: la memoria è viva quando la metti in gioco con il presente, ti metti in gioco con il tuo sguardo, con il tuo corpo di oggi. È generativa: dar voce è rigenerare.

Incrinare lo storytelling

Svelare l’indicibile. Il corpo della donna può essere usato dal potere come incentivo/premio di produzione con una graduatoria: SS, militari, internati. Il corpo della donna è contenitore per il “bisogno/sfogo” maschile, relax, divertimento, arma di guerra.

Non c’è bisogno di spettacolarizzare (come “la stanza dello stupro” nella mostra su Artemisia Gentileschi a Genova).

Questi uomini li vediamo nelle immagini e nelle storie: non sono mostri, sono uomini normali. Possiamo usare l’aggettivo “normale” nel senso svelato da Hannah Arendt in La banalità del male. Voglio ricordare queste parole preziose di H.A.:

«Oggi, in effetti, sono dell’avviso che il male sia sempre e solo estremo, ma mai radicale: non ha profondità e non ha niente di demoniaco. Può devastare il mondo intero perché prolifera in superficie, come un fungo. Profondo e radicale, invece, è sempre e solo il bene».

Oggi possiamo chiederci: che cosa c’è di disumano che consideriamo normale?

Il grande rimosso: il contratto sessuale

Dal bordello al matrimonio il passo è breve, come ci ha spiegato un testo che rimane fondamentale: Carole Pateman, Il contratto sessuale. I fondamenti nascosti della società moderna. Il contratto sociale istituisce il potere che regola l’umana convivenza. La convivenza umana, infatti, deve essere pensata, non può essere lasciata alla natura: per questo gli uomini liberi acconsentono liberamente a subordinarsi al potere. Invece – come ha ben svelato C.P. – il diritto degli uomini sulle donne viene considerato naturale. Poi c’è l’avvento della libertà delle donne: ma il contratto sociale non viene ripensato in maniera radicale, viene semplicemente rimosso il contratto sessuale che gli sta dietro. È questa rimozione che fa sì che emergano oggi ipotesi di contrattualizzare la prostituzione e la maternità, come argomenta nel capitolo finale del libro. Ma, più in generale, tutte sappiamo la fatica che ci vuole per portare il nostro “stare intere” nei diversi contesti sociali in cui viviamo, mettendo in discussione la logica paritaria dell’inclusione nel contratto sociale esistente. O per resistere alla logica invasiva dell’individuo neutro competitivo che cancella la vita di donne e uomini.

Dal bisogno al desiderio

Per spezzare l’invasiva e devastante banalità del male dobbiamo “rimettere in relazione”. La natura della relazione amorosa non può andare distinta dai rapporti sociali e questa interazione va portata alla luce, svelata, in ogni ambito: amore, lavoro, politica. È questa rottura di barriere che può cambiare donne e uomini, generare insieme nuovo mondo.

Esempio: nella modalità bordello, ma anche in altri rapporti sessuali, oggi anche in rete, il sesso si trasferisce dalla modalità desiderio alla modalità bisogno (Sarantis Thanopulos, La Città e le sue emozioni, Edizioni ETS 2019). Libera Mazzoleni lo dice benissimo nella poesia “L’uomo idraulico” in cui ladonna è contenitore per il bisogno impellente di “svuotare”. Ma non è diversa anche la logica del sesso premio di produzione.

Questo discorso – rianimare il desiderio – è più che mai attuale e impellente in tutti i campi. Detto in altre parole, si tratta di vivere nella logica non di trovare, ma di cercare. Riscoprire il desiderio per rigenerare la convivenza nello spazio comune, le relazioni come incontro tra differenze.

Essere artista o Lavoro Artistico

E proseguendo in questo cammino aperto dal desiderio, arrivo lì: essere artista. C’è qualcosa di radicale nell’arte, qualcosa che si genera radicalmente da te, dall’essere insieme corpo-pensiero-desiderio. È il bello che si può trovare anche nel lavoro artigianale, nel canto, nel recitare. Le opere d’arte sono strutturalmente relazionali, si fanno in due, chi opera e chi guarda: dobbiamo metterci in gioco, farci coinvolgere attivamente nella relazione.

Ma l’arte è anche politica per nascita, perché genera novità rispetto all’esistente. Come ho letto da qualche parte: «Si fotografa, si dipinge e si scrive per rendere meno chiare le cose che all’apparenza sembrerebbero inconfutabili ed evidenti». L’arte è necessaria alla politica e tutte e tutti dobbiamo riaccendere l’immaginario.

Anna Longo, citata da Judith Butler (Perdita e rigenerazione. Ambiente, arte, politica)dice: «Nei tempi in cui viviamo l’arte sembra non solo impossibile ma anche frivola impotente. È proprio in momenti simili che abbiamo più bisogno dell’arte, o piuttosto di diventare artisti [corsivo mio]: non creatori di nuove maschere che indurranno le masse a desiderare la propria schiavitù, ma agenti vivi, capaci di affermare la vita contro ciò che, col pretesto di renderla possibile, la mutila».

Ragionando e confrontandomi sul tema del lavoro ho visto che sempre di più chi lavora cerca/vuole esprimersi. Vuole coltivare integrità, in sé e intorno a sé. Cercare insieme impegno e piacere. Competenza e passione. Espressione e riconoscimento. Potremmo dire che c’è un desiderio di “mettersi in opera”, non diversamente dal lavoro dell’artista, che vuole vivere ed esporsi nel proprio lavoro.

Contemporaneamente questo desiderio si scontra con contesti spesso sempre più mortiferi che aprono contraddizioni radicali, fino all’andarsene e mollare tutto. Oppure a vivere come puro privilegio la possibilità di “esserci”: se ti esprimi, se fai qualcosa in cui ti identifichi profondamente non sei pagata!

Chiamo questo aspetto del problema “lavoro artistico”: lo chiamo volutamente così per mettere in connessione questi due poli, che per certi aspetti si intendono in genere pertinenti a due ambiti contrapposti: necessità e libertà, bisogno e desiderio. E che anche nell’ambito propriamente artistico possono generare non poche contraddizioni. Problemi più che mai aperti.

Finale

E poiché tutte le opere d’arte sono strutturalmente relazionali, si fanno in due, chi opera e chi guarda, ed è giusto farsi coinvolgere attivamente nella relazione, adesso voglio fare la mia parte. Ho guardato le immagini di Libera Mazzoleni e ho immaginato che quegli uomini banalmente malvagi si riscuotessero e vedessero tutto quello che avevano fatto. E quelle donne silenziose dietro le sbarre e le finestre potessero uscire con i loro corpi e i loro desideri. E quegli uomini e quelle donne finalmente si vedessero, si incontrassero e – incontrandosi davvero – potessero vivere. Perché «profondo e radicale, invece, è sempre e solo il bene».


(www.libreriadelledonne.it, 29 febbraio 2024)

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