24 Luglio 2020
il manifesto

Imprevisti esercizi di riappropriazione della differenza femminile

di Mariacarla Molè


FOTOGRAFIA. «Soggetto nomade», catalogo della mostra omonima ora edito da Nero. Con gli scatti di Paola Agosti, Letizia Battaglia, Lisetta Carmi, Elisabetta Catalano e Marialba Russo


Il luogo cieco di un antico sogno di simmetria recitava il titolo della prima parte di Speculum di Luce Irigaray, un classico del pensiero femminista della differenza. Il progetto di questo testo del ’74 era quello di colmare i vuoti della mancata esperienza dell’alterità, quella dell’identità femminile, trattata dalla tradizione psicoanalitica e filosofica occidentale, come copia manchevole del maschile, priva di una sua rappresentazione e quindi di immagini.

Probabilmente, modificare la lettura della tradizione occidentale non è possibile, ma dare un volto a quella cecità si. Potrebbe essere uno dei tanti ritratti dalle fotografie di Paola Agosti, Letizia Battaglia, Lisetta Carmi, Elisabetta Catalano e Marialba Russo, scattate tra il 1965 e il 1985, e raccolte nel progetto editoriale di Nero Soggetto Nomade (pp. 160, euro 25), catalogo della mostra omonima, curata da Cristiana Perrella e Elena Magini lo scorso inverno per il Centro Pecci di Prato.

Il titolo prende in prestito un concetto chiave del pensiero di Rosi Braidotti, che porta avanti il progetto di deflagrazione dei fondamenti maschili della soggettività classica, e propone una prospettiva post-identitaria, in cui i soggetti siano sempre il risultato di un processo incessante di negoziazioni e aggiustamenti. Il corpo dei testi, affidato alla stessa Braidotti e alle due curatrici, offre una cornice concettuale molto solida, a una sequenza di immagini molto diverse tra loro, nelle intenzioni e negli esiti.
Nella selezione di fotografie, che raccontano due decenni di lotte femministe, rivendicazioni e conquiste civili, il ripensamento dell’identità femminile corre parallela alla costruzione di un punto di vista femminile, da parte di fotografe che si trovano in una posizione pioneristica nella loro professione, che contava soltanto uomini. La differenza di genere è palpabile nei loro scatti, ora incantati ed empatici, ora complici e intimi, ma sempre il risultato di un’interrogazione reciproca e di un legame di fiducia.
Negli sguardi puntati alla macchina fotografica vediamo proiettati quelli delle fotografe, che nel catturare femministe, malate psichiatriche, bambine, transessuali, dive, scrittrici, e travestiti scoprono la specificità del loro sguardo differente.

L’opera di sabotaggio di ogni ostacolo all’affermazione di sé è assolutamente collettiva nelle fotografie di Paola Agosti, che ha documentato il movimento femminista italiano, e romano nello specifico, la nascita dei consultori, la fondazione di redazioni femministe, e le alleanze di corpi stretti in girotondi e in una gestualità condivisa.
Più intima è la dimensione di sperimentazione del sistema di codici femminile nelle fotografie di Marialba Russo, nei suoi ritratti di uomini travestiti da donne durante i festeggiamenti del carnevale, in alcune cittadine campane. La parentesi del rovesciamento carnevalesco permette a un parterre eteronormato di giocare con le rappresentazioni femminili, e di sbizzarrirsi nell’eccesso goffo dei costumi, dei nei sapientemente collocati, e dei makeup scenici.

La dimensione pubblica diventa, nelle fotografie di Letizia Battaglia, spazio in cui situare soggetti di una fierezza spietata. In una Palermo lacerata dalla seconda guerra di mafia, le donne, le bambine, guardate con occhi complici, sono portatici di una vitalità selvaggia in uno scenario disperato e mortifero.
La stessa consapevolezza, di condividere con le donne ritratte un destino marginalizzato, si trova nelle fotografie dei travestiti di Lisetta Carmi, dove la logica del binarismo di genere risulta satura e impraticabile, e sfugge a ogni tentativo di normalizzazione.
Inquadrate in dinamiche di consumo e in un’ottica maschile, sono le donne fotografate da Elisabetta Russo, attrici, scrittrici e dive dello spettacolo che, nelle pose studiate e sempre riflettenti un ruolo all’interno della società, non riescono a non ammiccare a un desiderio maschile, e finiscono per restare intrappolate in rapporti di potere patriarcali.
La simmetria evocata in apertura non può quindi che essere dispari, lo sguardo ai soggetti nomadi disassato, il modello identitario sfasato. E la fotografia riesce a essere il luogo in cui il divenire di identità mobili possa trovare il modo di dare un volto a soggettività eccezionali.


(ilmanifesto.it, 24 luglio 2020)

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