18 Gennaio 2013

Ipazia d’Alessandria fra scienza, tecnica e filosofia

TESI DI LAUREA (ABSTRACT) DI ELISA RUBINO

 

RELATRICE: Prof. LORIS STURLESE
CORRELATRICE: Prof.ssa ALESSANDRA BECCARISI

UNIVERSITA’ DEL SALENTO, FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA, CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA – A.A. 2004-2005


La vicenda umana di Ipazia d’Alessandria ha fatto nascere una leggenda lunga oltre 1500 anni. L’interesse nasce certamente dalla straordinaria immagine di donna e di intellettuale da lei rappresentata. Ipazia, infatti, per le sue conoscenze scientifiche e più in generale filosofiche si attesta come filosofa della Seconda Scuola Neoplatonica d’Alessandria (V. sec. a.C.). Figura politica di spicco della comunità alessandrina era apprezzata da molte personalità del tempo, che da ogni parte accorrevano ad Alessandria per ascoltare le sue lezioni. La straordinarietà della donna è testimoniata anche dalla tragicità della sua morte. Un’orda di monaci invasati, influenzati da Cirillo vescovo di Alessandria, le tesero un’imboscata, la privarono delle vesti, la fecero a pezzi con gusci di conchiglie e la gettarono tra le fiamme. Ciò accadde perché la filosofa, più volte minacciata dal potere cristiano, che avanzava distruggendo un patrimonio di cultura e valori inestimabili, non si lasciò piegare, ma difese l’idea di un sapere libero e sottoposto solo al vaglio della ragione. Ma che cosa fece tremare da un lato il potere religioso, tanto da spingerlo ad ordire un assassinio così efferato, e dall’altro il potere politico, tanto da indurre un magistrato a svuotare le casse della città pur di far calare il silenzio sull’accaduto? Nella convinzione che si nascondesse proprio nel suo insegnamento e nelle sue scoperte scientifiche e tecnologiche la causa della sua grandezza e della sua morte, ho cercato nelle opere da lei scritte, al di là del mito letterario e delle testimonianze leggendarie, tracce concrete del suo pensiero.
Dei tre Commenti scritti da Ipazia: due ai noti matematici del III. sec. a. C. Diofanto e Apollonio di Perge, e un terzo all’Almagesto di Tolomeo, è in quest’ultimo – che costituisce per altro la maggiore opera di Ipazia – che si trovano le prove della pericolosità del suo insegnamento. Ipazia collaborò con suo padre Teone alla stesura del Commento all’Almagesto, si occupò certamente del Commento al III libro dell’opera tolemaica e con molta probabilità anche della revisione completa dell’opera del padre. Nel suo Commento al III libro la filosofa, utilizzando il metodo sessagesimale, elaborò nuovi sistemi di misurazione, individuando errori nei calcoli tolemaici sui movimenti dei pianeti, del Sole e delle anomalie del suo transito, e sulla durata degli equinozi. Quest’ultimo elemento acquista maggiore rilievo se si pensa che la teoria della precessione degli equinozi sorregge la più generale teoria geocentrica dell’universo. Il Commento di Ipazia all’Almagesto non sembra dunque un semplice commentario, ma una vera e propria analisi critica della più importante opera astronomica del tempo. Se si pensa poi che lo studio dell’astronomia non aveva solo un carattere prettamente scientifico, ma che – secondo l’accezione platonica – l’astronomia è ciò che consente all’uomo di contemplare il mondo intelligibile e la ragione divina di cui partecipa e di vedere persino lo spirito divino che muove gli astri, allora si capirà come le questioni indagate da Ipazia potessero intaccare la dogmaticità della verità di fede. Si potrebbe così spiegare l’ira implacabile del vescovo Cirillo, potente rappresentante del mondo cristiano, che mirava a piegare la grande tradizione filosofica, politica e religiosa dei greci alle esigenze dell’unica autorità riconosciuta: la religione cristiana. Per lui, fermo oppositore di un esercizio libero della ragione, la filosofia trovava giustificazione soltanto come strumento al servizio della verità rivelata. In questa lotta trova spiegazione anche la morte di Ipazia, che continuando ad educare le nuove generazioni in perfetta coerenza con la tradizione della cultura classica, nel solco del pensiero di Platone, minava l’autorità stessa della nuova religione. La filosofa neoplatonica doveva perciò necessariamente essere eliminata e con lei messo a tacere il potere esplosivo delle sue idee e dei suoi calcoli rivoluzionari. Le opere di Ipazia, infatti, sono giunte a noi per un caso fortuito, o perché incorporate nelle opere dei due matematici (Diofanto e Apollonio) di cui costituivano il commento, o grazie ad un’unica copia manoscritta sopravvissuta (nel caso del Commento al III libro dell’Almagesto). Ipazia non rinunciò al suo sapere e per non essersi sottomessa al potere emergente pagò con la vita, morendo tra le fiamme. La sua morte perciò è emblema di libertà di pensiero e di autonomia dell’intellettuale rispetto al potere dominante ed è questo forse il merito più grande di Ipazia e ciò che rende la sua storia sempre attuale.

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