18 Gennaio 2013

Lingua materna ed esperienza plurilingue nei bambini

TESI DI LAUREA (ABSTRACT) DI CHIARA BECCHI

 

RELATRICE: dott.ssa CHIARA ZAMBONI
CORRELATRICE: dott.ssa ELSABETH JANKWOSKY

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VERONA, FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA, CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA – A.A. 2002/2003


Attraverso il mio lavoro ho voluto trattare della realtà del plurilinguismo, rivolgendo una particolare attenzione alla dimensione dell’infanzia. Lavorando a scuola con i bambini stranieri, ho avuto la possibilità di essere testimone della profonda destabilizzazione che comporta il doversi cimentare con una lingua prima sconosciuta. Questo perchè tra le diverse lingue non vi è sovrapposizione o simmetria ma, al contrario, ciascuna di esse è attraversata da differenti percorsi di vita, di pensiero e di affetti e designa una particolare ed incarnata relazione tra parole e cose e tra lingua e mondo.
Ho scelto di parlare di questa condizione tenendo costantemente presente che la lingua materna, ovvero la lingua attraverso cui nostra madre ci ha “iniziato” ai segreti delle parole, si colloca su un piano differente e trasversale rispetto alla madrelingua e alle altre lingue. La lingua materna, è infatti una dimensione della lingua in cui il senso delle parole si costituisce essenzialmente all’interno di una scambio e di una relazione con l’altro. In questa dimensione relazionale, la costruzione del significato diviene possibile poiché è un atto al quale anche un altro partecipa, condividendo la certezza della presenza e della sussistenza, ma altresì dell’assenza, quando questa si dà, della realtà cui le parole si riferiscono. La lingua materna rappresenta inoltre una dimensione concreta e fisica della lingua ed in questo senso “traduce” l’essenza materiale, sensuale e affettiva del mondo. Il significato va a costituirsi attorno all’elemento più materiale della parola, ovvero alla sua dimensione prosodica, ritmica e musicale, in un gioco di rimandi tra suono, cosa e sensazione. La particolare relazione che la lingua materna istituisce col mondo non può essere pensabile in termini di arbitrarietà o convenzionalità. Essa è per contro una dimensione del linguaggio in grado di restituire la natura delle cose attraverso le parole.
Riconosciuto ciò, ritengo che, quando si insegna una nuova lingua, l’esigenza di fare della seconda lingua una lingua in grado di restituire il senso del mondo al pari della prima vada di pari passo con la capacità di non chiudere la porta alla lingua materna. Ed è per ciò che la differenza tra un rapporto disagevole con la lingua e soprattutto le troppe lingue, esprimibile come sradicamento e mutilazione delle proprie possibilità comunicative, ed invece un rapporto fondato sulla fiducia nella lingua e nelle parole, stia nella capacità di costruire un ponte simbolico tra le diverse realtà linguistiche, per continuare ad attingere all’insostituibile capacità semantizzante della lingua materna e per ricucire e porre in situazione di dialogo e scambio produttivo due ordini di realtà altrimenti destinati a rimanere in conflitto o quantomeno estranei. Come insegnante, riconoscere le maglie e i vincoli che legano la competenza linguistica di ciascuno all’opera della madre, ma altresì all’opera di altri con i quali vi è stato scambio significativo, permette di ripensare e ritrovare gli spazi di iniziativa e di azione che ancora si profilano, per dar vita a una nuova iniziazione linguistica. Tener presente e nominare questo debito consente altresì all’eccedenza che scaturisce dal dono della parola materna, intesa come riserva di senso delle parole, di continuare ad alimentare e arricchire il rapporto di ciascuno con la lingua e con la lingue e di scommettere su nuove parole come possibilità di ampliamento e arricchimento delle proprie possibilità comunicative ed espressive.

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