14 Gennaio 2007
la Repubblica

Carla Accardi, una splendida superficie senza profondità

 


Un omaggio del ‘MARTa’, museo tedesco di arte contemporanea firmato da O.Gehry, alle opere astratte dell’ artista italiana e al suo ‘incontro’ con Lucio Fontana – Una cifra stilistica che si pone dentro il solco della tradizione moderna ma include Balla, Kandinskij, Klee Arp, Miro, Matisse – L’ assenza di prospettiva porta i segni in primo piano, non esiste il vicino e il lontano ed è qui che la pittrice rimanda a Fontana.
Achille Bonito Oliva

Si chiama “MARTa” l’ ultimo museo di arte contemporanea firmato da Frank O.Gehry a Herford, in Germania. Dal 27 gennaio all’ 11 marzo sarà allestita una mostra dal titolo “Carla Accardi incontra Lucio Fontana”. Dal catalogo edito dal museo anticipiamo parte del saggio di Achille Bonito Oliva. L’ astrattismo italiano, sviluppatosi nel secondo dopoguerra, non ha i caratteri di una geometria rigida e chiusa, ma assume prevalentemente quelli di una pittura aperta verso cadenze e cifre stilistiche bilanciate tra l’ esibizione di una struttura visiva, regolata da norme oggettive, e il rimando a flussi emotivi, regolati da una mano sensibile e nello stesso tempo sapiente. Nella coscienza di partecipare a ristabilire un legamento con la cultura figurativa internazionale interrotto tragicamente dall’ avvento di una cultura autarchica. La ripresa dell’ astrattismo dunque segna la riproposta anche di una mentalità che punta giustamente sull’ autonomia dell’ arte, minacciata anche da ipoteche politiche tendenti proprio in quegli anni a ribaltare tale naturale condizione in una eteronomia dell’ arte, tramite la nozione di impegno politico. La giovane arte italiana astratta ribadisce invece un’ esigenza espressa e praticata già dalle avanguardie storiche, quella di fare del linguaggio l’ unico soggetto dell’ opera e anche l’ unico oggetto di una possibile rappresentazione. Carla Accardi opera dunque in un clima culturale teso a restituirsi una libertà espressiva e un affrancamento da condizionamenti espliciti e striscianti. La sua cifra stilistica si pone immediatamente dentro il solco della tradizione moderna che però non restringe i suoi antenati ai padri dell’ astrattismo in senso stretto, ma tende a allargare le proprie matrici e includere Balla, Kandinskij, Klee, Arp, Mirò, Matisse. Tali precedenti segnano la ricerca artistica verso un ventaglio di rimandi, quali sintomi di uno sguardo estremamente ampio a livello culturale. Il dato fondamentale e costante della pittura di Accardi è la conformazione bidimensionale dello spazio, lo sbarramento di ogni profondità prospettica e nello stesso tempo una mancanza di spessore materico, che invece accompagna lo sviluppo, simultaneo all’ astrattismo, dell’ informale. Lo spazio bidimensionale porta la pittura in uno stato di pura visibilità, in una condizione lampante e specifica, regolata da norme tutte poggianti sul dato ottico percettivo, senza sprofondamenti illusivi o anche rimandi esterni all’ immagine. Accardi regola lo spazio pittorico in maniera da esibire la struttura stessa della pittura, fatta di un supporto, di una superficie e di un reticolo di segni. L’ assenza di profondità porta i segni in primo piano, sulla stessa linea di orizzonte su cui è disposta la dimensione spaziale, la bidimensionalità appunto. Ma lo spazio non è una dimensione quantitativamente inerte, una misura statica o un puro contenitore. Piuttosto in questo caso si configura come campo, un sistema mobile di relazioni giocate sulla istantaneità dei segni. La nozione di campo, nella sua attendibilità scientifica, permette una fluttuazione dello spazio, un respiro della superficie che si distribuisce con una mobilità interna a seconda della dinamica, dell’ accostamento e della disseminazione dei segni. Essi vibrano in una dimensione che oscilla senza che sia possibile indicare un centro e una periferia, che avrebbero bisogno di una staticità definitoria. La bidimensionalità permette al campo di scorrere continuamente nella potenzialità dei nessi, nella loro flessibilità formale. Accardi asseconda dunque la mobile nozione di campo, azzerando la profondità spaziale e portando il linguaggio adoperato nella condizione proliferante di uno stato organico, dove il segno si attorciglia, si snoda, si sposta fuori da ogni paralizzante geometria. Ora non esiste il vicino e il lontano, il fondo e il primo piano ma una compenetrazione simultanea dell’ insieme. L’ azzeramento avviene attraverso l’ introduzione di un colore, il nero, che permette allo spazio di presentarsi secondo i caratteri dell’ uniformità. Il nero è una connotazione di uno spazio che non vuole diventare protagonista della rappresentazione, semmai spingerla verso un’ integrazione ottico-percettiva con il sistema dei segni che l’ attraversano. Essi portano il colore bianco, non come contrasto, ma come tessitura d’ integrazione. L’ intreccio del bianco dei segni con il nero della superficie di fondo regola l’ immagine, che acquista l’ ambiguità di un ritmo dove non è possibile stabilire se il nero è la risultante dei contorni del bianco oppure se il bianco dipende dal percorso discontinuo del nero. L’ ambiguità della visione è data dal ritmo organico dei segni che seguono un movimento imprevedibile e nello stesso tempo costante. La polarità del movimento è regolata da una doppia tensione: la ripetizione e la differenza. Attraverso la prima l’ artista stabilisce una sorta di matrice generante il segno che possiede una struttura di fondo che lo ripete. Attraverso la seconda il segno prolifera se stesso e si modifica secondo una dinamica organica che rimanda al ritmo di crescita biologica della natura. Un movimento a togliere regola la mano dell’ artista e anche il movimento della contemplazione dell’ opera che si presenta nell’ ambiguità di un intreccio cromatico, da cui non è dato cogliere se non la continua intersecazione e anche il sospetto che i segni siano una risultante di un ritaglio dello spazio e lo spazio la conseguenza di un percorso irregolare dei segni. Dunque la stessa contemplazione è regolata da questo movimento a togliere, dalla sensazione instabile di un continuo attraversamento dei due elementi che toglie loro unità ed interezza. Ma il togliere non spaventa Accardi, perché significa anche un movimento di sottrazione che produce una maggiore intensità alla parte occultata e sottratta anche allo sguardo. Togliere significa anche memorizzare e accumulare l’ idea di uno spessore sottratto alla superficie. Perché la pittura ha necessariamente il carattere di uno splendente superficialismo, che non significa superficialità, bensì accettare il carattere specifico e strutturale della pittura che, per definizione storica e spirito laico, tende a superare l’ illusionismo prospettico. Allora diventa lampante il rimando a Matisse e all’ art nouveau, alla loro attitudine di operare sempre attraverso superfici felici e arrendevoli, mediante un disegno che si aggroviglia ma senza creare spessori o gonfiori, sempre sotto l’ impulso di restituire il senso di un flusso aperto ed inarrestabile. Il togliere non presuppone una perdita definitiva, bensì una momentanea sottrazione, una discontinuità della presenza segnica, che ribadisce la qualità specifica della nozione di campo, presa nell’ accezione di un suo continuo funzionamento dinamico. Il segno appare e scompare, così come lo spazio si forma e si sfalda, si condensa e si slabbra, sempre nella sua consistenza bidimensionale. Il colore nero produce un’ uniformità e anche un assorbimento del ritmo bianco, che è il risultato di una sorta di assedio del segno verso se stesso. E qui Carla Accardi incontra Lucio Fontana.

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