16 Febbraio 2016

Elisabetta Di Maggio – Geografie Personali

 

La quarta vetrina

Artiste contemporanee raccontano la loro relazione con l’arte, i libri, le donne, i pensieri.

A cura di Francesca Pasini.

In vetrina, dal 27 febbraio al 28 marzo Geografie Personali di Elisabetta Di Maggio.

 

Dopo la visita della vetrina dall’esterno e dall’interno, il 27 febbraio ci sarà l’incontro con l’artista e la curatrice, e alla fine, la cena della cucina di Estia (la conferma è gradita).

 

Sarà in vendita un’opera dell’artista, in 10 esemplari, realizzata per La Quarta Vetrina.

 

Le Geografie Personali di Elisabetta Di Maggio si concentrano sui movimenti lenti, invisibili ma presenti, che avvolgono la vita fisica, mentale, immaginativa. Individua il punto di sutura col quale traccia l’immagine, intagliando la carta velina, la porcellana, le foglie, ricamando su carta, come in questo caso.

 

All’esterno la vetrina è ricoperta da fogli A4 su cui sono ricamate in rosso varie tipologie di spine di rosa. Sembrano gocce di sangue, o micro architetture sospese.

Tutto parte da un articolo letto anni fa, su Focus, sulla drammatica esistenza delle donne che lavorano in Africa alla coltivazione delle rose. Meno di un dollaro al giorno per 12 ore a contatto con diserbanti chimici, sotto l’occhio di vigilanti armati che proteggono l’acqua forzatamente convogliata e sottratta agli abitanti.

Elisabetta Di Maggio sposta lo sguardo. Decide di studiare le specie selvatiche delle rose e scopre che la spina è il segno che guida la differenziazione.

Le ricama su un foglio A4, spina dopo spina, e crea una “mappa genetica” del fiore simbolo dell’affettività. Come lei dice “ogni opera è un evento”, nasce lentamente, col tempo trova fisionomia. Nel procedere del ricamo la figura si moltiplica: da una spina all’altra fa emergere una composizione paragonabile alle sinapsi neuronali.

 

Dall’interno la visione cambia. Il rovescio del ricamo assume la figura di un tracciato astratto. Accanto altre due opere esemplificano il campo d’azione di Elisabetta Di Maggio. Su leggere basi – disegnate da lei – protette da una copertura in plexiglass, si trova una foglia d’edera intagliata col bisturi seguendo le linee delle nervature, e la riproduzione della metropolitana di Tokio, realizzata infiggendo migliaia di spilli sulle linee della mappa.

L’azione di una formica che si muove lungo le nervature di una foglia, non è diversa dalla vita di una megalopoli. La complessità della metropolitana, ridisegnata dagli spilli, assume la figura di un microchip di un computer, ma non sono meno complesse le venature di una foglia. In una scala dell’universo ogni oggetto e ogni soggetto si muove dentro griglie e mappature che determinano direzioni e scelte.

La forma dipende da un gesto ripetuto nel silenzio, nella solitudine, e da lì cresce fino a diventare se stessa. Questo è l’evento dell’opera che Di Maggio cattura.

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