14 Febbraio 2006

Forme animali in terracotta e in versi

 

Giosetta Fioroni con Franco Marcoaldi e Mario Brunello stasera all’Officina Arte al Borghetto di Roma
Emanuele Trevi

Animalia è il titolo della nuova mostra di Giosetta Fioroni che si inaugura stasera all’Officina Arte al Borghetto di Roma. Il colpo d’occhio che attende il visitatore, anche abituato all’estro multiforme e imprevedibile dell’artista, è dei più intensi e sorprendenti. Disposti in un grande rettangolo, immobili ma partecipi del gioco di luci creato per loro da Pasquale Mari, quaranta cani in terracotta policroma mostrano il profilo, tutti intenti a qualcosa che sembra avere catturato la loro attenzione. Chi conosce i cani, sa bene che questa immobilità e capacità di attenzione sono in loro connesse non tanto alla vista, come accade negli uomini, ma all’olfatto. Prima di seguire una pista, il cane la annusa, immobile, decidendo il da farsi. Questa attitudine “riflessiva” è, per l’uomo che la osserva, di per sé arcana, perché poi le decisioni prese raramente corrispondono alle nostre gerarchie e alle nostre aspettative. Anche nel più severo cane pastore o da guardia persiste un certo gusto per le occupazioni frivole, ai limiti del gratuito. E non parliamo dei nostri oziosi, nevrotici, viziati cani d’appartamento. D’altra parte, questa costitutiva frivolezza non mette nessun cane al riparo da un vita emotiva intensa fino alla disperazione, con dolori e angosce inenarrabili. Nell’ultimo film di Jim Jarmush, Jessica Lange interpreta il ruolo di una psicoterapeuta per cani, e la cosa non è poi così assurda. Giosetta Fioroni ha dunque catturato un momento e un aspetto preciso dell’esistenza canina, replicato in tutti gli esemplari modellati. Così facendo, ha reso un omaggio non solo a questi animali, ma all’olfatto, il senso più lontano e divergente da ogni tipo di arte plastica. Ma perché, allora, quel plurale neutro così generico, Animalia, se si tratta di cani? Bisogna avvicinarsi a questa specie di grande bassorilievo per capirlo. Quella che da lontano ci sembrava solo la forma di un cane modellata di profilo, ci si rivela una specie di scrigno, o di specchio, dove trovano dimora innumerevoli altre forme animali. Nel corpo di un setter dorme una nidiata di porcellini appena nati; in quello di un bracco dal profilo mite si rincorrono tre conigli rosa… Il corpo di altri cani è letteralmente saturo di mani umane, col palmo aperto, come a rappresentare una sete inestinguibile di carezze, tanto violenta da trasformare chi ne prova il desiderio nel suo stesso oggetto. È totale l’identità di vedute con un poeta ormai da molti anni complice di tanti esperimenti con Giosetta Fioroni, Franco Marcoaldi, che ha dato in questi giorni alle stampe un suo bestiario intitolato Animali in versi (Einaudi, pp.95, euro 11,00). Anche la zoologia poetica di Marcoaldi, come quella plastica della Fioroni, ammette al suo centro un regime d’esistenza metamorfico, dove ogni singolo animale tanto è unico e irripetibile quanto vale per tutti gli altri: umani compresi che abbiano a che fare con loro. Basta dormirci assieme, dice Marcoaldi nella poesia più bella della sua raccolta, per capire che “la metamorfosi è possibile,/ che uomo e gatto e cane sono/ entità volatili e cangianti”.

 

Una strada difficile da percorrere, sia in terracotta che in versi, quella intrapresa dalla Fioroni e Marcoaldi. Perché, di fronte agli animali, non si può che tenere i piedi in due staffe, sfidando tutte le contraddizioni: e il senso della totale alterità deve trovare il modo di convivere con quello dell’identificazione, senza elidersi a vicenda. Solo così, realizzando una felice coincidenza degli opposti, l’animale prende forma.

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