Una complicità che diede vita ad alcuni lavori a quattro mani.
Ester Coen
Muse furtive, silenziose vestali, eleganti compagne: una lunga teoria di donne ingiustamente oscurate dalle trame di una storia, per tradizione costruita intorno a figure maschili autorevoli e forti. E questa in parte anche la storia di una coppia il cui nome ha impresso un segno profondo in mezzo secolo di vicende artistiche, dagli inizi rivoluzionari del dadaismo fino a “certe ” ricerche astratte e formali degli anni sessanta: Arp è il nome che unisce Jaean- o Hans- a Sophie Taeuber: Nell’interessante mostra proposta dal Museo Correr sino al 16 Luglio e organizzata dai Musei Civici Veneziani in collaborazione con le tre Fondazioni per la tutela delle opere dei due artisti – Jean & Sophie Arp Dada e oltre, per la cura di Elena de Càrdenas Malagodi e Stefano Cecchetto – si può afferrare il senso vero e la sottile complicità di due vite parallele, di un lavoro che si intreccia anche oltre la fisicità dell’esistenza: Quando Jaen incontra Sophie a Zurigo alla fine del 1915, proprio alla vigilia del leggendario febbraio che vide improvvisamente confluire nel Cabaret Voltaire
molteplici e composite energie artistiche in un’esplosiva miscela di idee e personaggi, la sua personalità è già del tutto
formata. Ha partecipato in Svizzera e Francia, alle appassionate battaglie, alla nascita e alla crescita delle storiche avanguardie del primo novecento, ha esposto insieme a Matisse , Signac, van Dongen, ha conosciuto i più grandi artisti del momento da Kandinsky a Max Ernst, a Picasso, ai Delaunay, a Modigliani. In un clima di ribellione, nell’alternanza di uno sguardo che fluttua tra figurazioni cariche, rinforzate da un solido segno plastico, e un’essenzialità rigorosa che sposta le sue linee verso luoghi di più concreta astrazione, Arp insegue tuttavia le proprie emozioni.
Così le stesse, originali tecniche dell’avanguardia provocano logiche diverse da quelle che le hanno generate. E i collage, costruiti per giustapposizione all’intero di un ordine razionale, chiudono l’idea di casualità in uno schema divenuto incoerente rispetto al sistema di origine. In questa curiosa ambivalenza si ritrova lo spirito di un artista all’inseguimento di un formale anonimato, singolare se messa a confronto con le fragorose e scomposte dichiarazioni del gruppo dadaista, ferocemente avverso ad ogni azione estetica. È questo, allora , il terreno sul quale si incontrano le personalità di Jean e Sophie. Più stravagante ed eccentrico lui, più isolata e rigorosa lei, immersa in minuziose analisi compositive sui ritmi cromatici da trasporre con inconsueta sensibilità alle arti meno nobili, ai manufatti artigianali, alle stoffe e agli arredi. “Abolimmo nel nostro lavoro” ricorderà Jaen Arp, alcuni anni dopo la morte della moglie ,”quando non era il risultato del gioco e del buon gusto. Anche la personalità ci sembrava un peso inopportuno e inutile, dal momento che si era sviluppato in un mondo che consideravamo ormai morto e pietrificato. Fu allora che nacquero costruzioni rigorose quanto impersonali, fatte di superfici e colori, fuori da qualsiasi azzardo.” Fu allora che tra i due artisti si stabilì quella complicità che, pur dando vita a opere a quattro mani, voleva prima di tutto dare vita a una collaborazione spontanea, decisa a scoprire, la nascosta, quasi segreta affinità tra l’estrema riduzione formale dell’una e la più eterogenea visione dell’altro. Le sale del Correr documentano con estrema chiarezza i passaggi essenziali di questi intrecci, grazie al sapiente allestimento di Daniela Ferretti, che con forte risalto allinea l’estrema purezza di un mondo al passo con cadenze e armonie, con euritmie e consonanze, con accordi e corrispondenze.
Ecco i primi Reliéfs di Jaean mostrati tra i severi accostamenti tonali e schematiche costruzioni elementari e le marionette di Sophie snodarsi in un fantasioso movimento meccanico, come ad accendere di colori allegri ed attentamente declinati le inflessibili strutture geometriche. Ecco ancora il progetto per l’Aubette o per la Galerie Goemans: assonometrie, piante, disegni architettonici per interni e per esterni in un unico accordo integrato di spazi e arredi, dove Sophie – come scrive Sergio Polano – appare “lucida interprete novecentesca dell’ipotesi di integrare le arti”. Tentativo che l’aveva spinta a cercare nell’appoggio di Van Doesburg quella visione ideale teorizzata dall’artista olandese nella musicale elevazione di linee e piani orientati verso il compimento di un puro equilibrio visivo. Forma rigida, elementare, sobria, severa, ferma quella di Sophie, curva, naturale, metamorfica, voluttuosa, quella complementare di Jean. Come se la dolcezza dei profili di sculture e rilievi sgorgasse dalla naturalezza e spontaneità della sua anima lirica, aggettivo che Lorenza Trucchi – nel catalogo edito da Marsilio – così giustamente attribuisce alla personalità dell’artista: E nella messa in scena silente della ricreata sala della Biennale del 1954 si dispongono misteriosamente nello spazio tutte le suggestioni e gli incanti di quelle concreazioni, di quei ritagli, di quelle forma turgide e insieme scarnificate, stelle che si trasformano in fiori, offerte alla memoria della delicata anima di Sphie.