15 Giugno 2015
http://www.softrevolutionzine.org/2014/kiki-smith-arte-mito-corpo/

Kiki Smith: tra arte, mito e corpo

Kiki Smith è figlia d’arte, suo padre era Tony Smith, noto scultore minimalista. Lei usa materiali tradizionali e malleabili (scultura e disegno su carta in particolare) per affrontare tematiche comuni e quotidiane come l’identità, gli stereotipi sessuali e il corpo, affiancandosi in ciò all’impegno di altre artiste degli anni ’80-’90 come Rosemarie Trockel e, come lei, schierandosi all’interno del movimento femminista.

Il suo lavoro è forte e correlato con il tema della materialità del corpo, della sua deperibilità e vulnerabilità. In particolare è il corpo femminile ad essere preso in esame, specie come oggetto erotico visto attraverso la lente degli artisti di sesso maschile. Altro tema affrontato da Kiki Smith in tempi più recenti è quello del rapporto tra l’uomo e la natura, tra il corpo e il mondo.

A volte le opere dell’artista americana sono ispirate al mito, alla favola (Cappuccetto Rosso), alla letteratura (Alice nel paese delle meraviglie), sempre nello sforzo di reinterpretarne il significato in chiave attuale. Al giorno d’oggi è tra gli artisti più quotati al mondo, con la sua opera “Untitled (Butterfly)” aggiudicata da Christie’s lo scorso anno per più di 200 mila euro.

http://www.artsblog.it/post/1141/kiki-smith-femminismo-e-fragilita-umana


Alcuni lavori di Kiki Smith

Dove si narra di una passeggiata tra alcune opere, di un’artista un po’ strega e delle Arpie traghettatrici d’anime.

[Disse Senzanome, l’Arpia sull’albero] “Ascoltami bene. Migliaia di anni fa, quando arrivarono qui i primi spiriti, l’autorità ci conferì il potere di vedere in ciascuno di loro le cose peggiori, e da allora ci siamo nutrite del peggio, fino a irrancidirci il sangue e avvelenarci i cuori. Ma era la sola cosa di cui potessimo nutrirci.”

[…]

“Dunque ecco il vostro nuovo compito, un compito che soltanto voi [Arpie] potete espletare, voi che siete le custodi e le intendenti di questo luogo. Il vostro compito sarà quello di guidare gli spiriti dal punto di approdo sul lago e attraverso la terra della morte fino alla nuova finestra sul mondo esterno. In cambio, gli spiriti dovranno raccontarvi le loro storie come equo e dovuto pagamento per la vostra guida. Questo vi sembra giusto?” Senzanome guardò le sue sorelle e tutte annuirono. Poi disse: “E noi abbiamo il diritto di rifiutare di guidare chi mente, o chi non dice tutto, o chi non ha niente da dirci. Se vivono nel mondo, devono vedere e toccare e ascoltare e amare e imparare. Faremo un’eccezione per quegli infanti che non hanno avuto il tempo di imparare, ma in ogni altro caso ci rifiuteremo di guidare chi arriverà a mani vuote.”

Philip Pullman, Queste oscure materie: Il cannocchiale d’ambra

Camminare. Percorrere. Una sala dietro l’altra ad aprire squarci di senso. Basta varcare la soglia per entrare in altre geografie. Le mostre a volte portano altrove – soprattutto quelle di arte contemporanea, penso io. Sono salti nello spazio-tempo.
A Verona, nel 2004, mi sono ritrovata in uno stormo di Arpie. L’esposizione si intitolava La creazione ansiosa e si perdeva nel labirintico percorso di Palazzo Forti. Come non andare? Lì conobbi le donne-uccello di Kiki Smith. “Sirens” era il titolo, perché nel mito le piume si confondono con le squame. Avrebbero potuto alzarsi in volo e gridare di rabbia antica, avrebbero potuto soffiare via tutto, loro creature demoniache di bronzo e tempesta. Certe opere hanno un’intensità magnetica, sono come richiami dell’altrove, come voci dal pozzo dell’inconscio. È così che ho conosciuto Kiki Smith, l’artista un po’ strega.

Sono attratta dalla varietà, curiosa di sperimentare il più possibile. Faccio disegni, stampe, sculture, video, foto e arazzi.

K. Smith

Materia. Nelle sue opere la materia si solidifica in golem e animali totemici, in cataloghi di organi umani disegnati o incisi molte volte e molte ancora, su enormi fogli di carta di riso; sono mutevoli ossessioni su fragili supporti, dei mantra dell’anatomia, dei racconti delle viscere.
Lana, stoffa, arazzi, gomitoli di filo spinato. Carta e piume. Vetro, malleabile cera, domestiche presenze di ceramica, bronzo, pietra. Solide presenze mitologiche ti afferrano alla gola. Perché, penso io, come un’arpia a volte l’arte sa artigliarti e trasportarti altrove.

Di bronzo è “Lilith”, sta sulla parete e ti blocca il passo. Accucciata sul muro ti inchioda con lo sguardo. Un’oscura presenza con chiari occhi ipnotici. Sfida la forza di gravità e vince. Prima moglie di Adamo, lo lasciò perché non voleva essere sottomessa. Lei voleva uguaglianza, venne ripudiata, e la tradizione la trasformò in demone. Grida. Ferisce. Esulta di libertà. Lilith potente si muove sulle pareti, con la lingua lambisce sogni e desideri e a volte li azzanna. Come raccontare un’artista? Le sue creature parlano al suo posto, penso io, le sue creature e quello che ti fanno.

In una precedente intervista lei parlava a proposito del corpo femminile e rimandava a un senso di vergogna sempre presente. Perché?

– È qualcosa di radicato nella mitologia giudaico-cristiana, risale a Eva e in particolare è molto interna al cattolicesimo. La vergogna di Eva è la prima storia femminile che viene raccontata e si intreccia con molti aspetti del proprio sistema di credenze, quello che siamo chiamati a rettificare nella nostra quotidianità. Il corpo è una costruzione sociale ma è anche un’entità fisiologica che oltretutto muta nel tempo. Non so cos’era in origine; il corpo è molte cose insieme e i suoi elementi, proprio come in una persona, si battono per il controllo fino a arrivare all’affermazione di sé, alla propria presenza. [*]

Sfibrato, inginocchiato, aperto, esplorato. Kiki Smith gira intorno al corpo, ai suoi fluidi, ai suoi tabù e alle sue fragilità, raccontandole, mescolandole con la fiaba, con il mito, evocando l’invisibile.

Ancora bronzo, c’è una donna che nasce da un cerva (“Born”), nasce intera e adulta. Ne incarna forse tutta l’energia vitale, come una dea Diana dei nostri giorni, partorita dalla forza del bosco. Lo stesso bosco dove si avventura Cappuccetto rosso che cammina con il lupo in una lunga serie di incisioni, lunga quanto dura il mondo. Alcune opere ti attraversano come le nenie, le cantilene. Attraversano il corpo per arrivare nei luoghi della memoria. Piano piano le sale si animano di fantasmi. Nei lavori si scorgono affinità nelle metamorfosi, assonanze nelle ambigue relazioni fra l’uomo e la natura. Nascono evocazioni ad altre artiste alcune dimenticate come Leonor Fini, Meret Oppenheim o Leonora Carrington, altre più frequentate come Frida Kahlo o perché no, Louise Bourgeois… e altre, altre ancora.

Che tipo di artista è?

-Non ho bisogno di ritrovarmi in qualche ideologia. La creatività è una pura questione di consapevolezza. Un modo per sintetizzare. È un buon linguaggio per incarnare la coscienza in maniera visibile a tutti. È come una prova. Io non sono la persona più introspettiva al mondo, sono solo più vorace. [*]

Divorare. Annusare. Afferrare. Sfiorare. Partorire. Incidere. Disegnare. Defecare. L’arte si incarna nel mondo fisico. Diventa spessore, peso, ferita, lama, trama. Plasma delle porte che permettono di far scorrere il pensiero, che dan respiro alle emozioni. Là ognuno può trovare qualcosa, o niente, o troppo.

Io credo nell’arte come una nostra possibilità di auto-rappresentarci, di rappresentare le nostre esperienze umane. A volte creo immagini dure, ma per me sono tentativi di sopravvivenza.

K. Smith

A volte l’arte ti cambia il ritmo del respiro, perché leggera passa un’intuizione, un lampo, una risata. Ed è già molto.

Il lavoro di un artista prende tante direzioni diverse quanti sono i capelli che uno ha in testa. Va dove vuole.

K. Smith

http://www.softrevolutionzine.org/2014/kiki-smith-arte-mito-corpo/

Print Friendly, PDF & Email