di Stefania Ragusa
Dura 14 minuti ed è un concentrato di sorprese, scossoni, poesia. Parliamo di Enraged by a picture il cortometraggio in cui Zanele Muholi, fotografa sudafricana emergente, racconta le reazioni della gente davanti agli scatti che componevano la sua prima personale. Era il 2004, e alla Johannesburg Art Gallery Zanele portava Visual Sexsuality: only half the picture, una mostra che raccontava senza filtri e pruderie la quotidianità delle lesbiche sudafricane, una relatà fatta di tenerezza, ma anche (come è naturale) di sesso, corpo, dolore, piacere. In Sudafrica non si era mai visto niente di simile.
La Costituzione sudafricana è una delle più avanzate e progressiste del mondo (stabilisce l’assoluta uguaglianza tra i cittadini a prescindere dall’orientamento sessuale, il colore della pelle, o l’appartenenza religiosa: il Sudafrica è il primo e unico stato africano ad aver autorizzato i matrimoni gay) ma la mentalità dominante ha un passo completamente diverso. Molti, tra il pubblico, reagirono con un’irritazione e disagio. Alcuni liquidarono le immagini come provocatorie espressioni d’arte, decidendo di ignorare la natura reportagista e di denuncia. Colpita da queste risposte Zanele decise di raccontarle in un documentario. Enraged by a picture (infuriati da un’immagine) ha girato dal 2005 a ora, diversi festival. Tra il 19 e il 22 giungo di quest’anno tornerà ad essere visibile a Cincinnati, alla conferenza annuale della National Women’s Studioes Association, appuntamento importante per il femminismo made in Usa.
Zanele è un’artista e un’attivista lesbica. Ha incominciato a fotografare professionalmente nel 2000, concentrandosi sulla sua comunità. “Era arrivata l’ora di autorappresentarci. Eravamo tante ma quasi invisibili. Non volevo che a parlare di noi fossero gli altri. Bisognava fare qualcosa prima che fosse tardi”. Recentemente alcune sue immagini (selezionate, va detto, fra le più soft) sono state esposte al Palazzo delle Papesse di Siena, in occasione della collettiva .Za, giovane arte del Sudafrica. A “raccomandarla” (la selazione dei giovani artisti era stata affidata a cinque curatori-artisti sudafricani) è stata Sue Williamson che ha apprezzato il contributo di Zanele “alla stesura di una storia dell’omessessualità in Africa più democratica e rappresentativa”, la sua volontà ” di rendere pubblica l’immagine della comunità lesbica di colore, che è non solo avversata dal pregiudizio ma anche minacciata fisicamente da uomini che nelle lesbiche vedono un ostacolo alla loro mascolinità”. Minacciata fisicamente, nel caso specifico, vuol dire esposta ai “correptive rape” gli strupri rieducativi, che a volte culminano con l’uccisione della vittitma. Non esiste un conteggio ufficiale per sapere quanti siano. In Sudafrica, però, secondo le statistiche, ci sono in media due stupri al minuto, oltre 180 all’ora. Almeno uno su dieci dovrebbe rientrare nella categoria “correptive rape”. Un recente rapporto della Commissione Sudafricana per i Diritti Umani ha evidenziato che la violenza contro le lesbiche è estremamente diffusa anche nelle scuole, tra adolescenti. “la stigmatizzazione delle lesbiche di colore, nella maggior parte dei casi, nasce dal fatto che l’omosessualità viene percepita come un fenomeno non Africano”, spiega Zanele.
“Che una donna abbia tanti bambini e procrei accanto a un uomo cui spetta il ruolo di capofamiglia è considerato parte della nostra tradizione. Dal momento che non ci con formiamo a questo modello, veniamo percepite come identità deviate, che necessitano di un abuso sessuale di tipo curativo per tornare sulla buona strada e convertirci in donne vere: femmini, madri, mogli”.
Il paradosso è che la maggior parte degli stupratori ritiene di star agendo per il bene delle donne deviate e della società. Come dimostra, per esempio, la vicenda recente della 18enne Linda Masondo, che vive in una townschip (Nispruit) nella provincia di Mpumalamga. I fatti risalgono allo scroso 23 febbraio. Erano all’incirca le tre di notte e Linda, 18 anni, stava dormendo nella sua casa. Viene svegliata da alcune voci dall’esterno, voci maschili che gridano il suo nome. Linda intuisce che cosa sta accadendo, ma non fa in tempo a chiedere aiuto. La porta si apre e nella stanza irrompono due uomini: uno si allontana quasi subito, l’altro, armato di coltello, le ordina di vestirsi e seguirlo. La trascina sino ad un corso d’acqua poco distante e le spiega che è venuto a farle capire che lei non è il maschio che crede di essere, quindi la violenta, la violenta e la violenta ancora. Lei grida ma nessuno sente o vuole sentire. A stupro concluso, l’uomo la invita a seguirlo a casa sua: per darle degli abiti femminili (più adatti al suo nuovo stato). Linda non accetta la generosa profferta. Torna alla townschip. Chiama una zia, le spiega cosa è accaduto e si fa accompagnare in un ospedale, dove riceve assistenza fisica e psicologica e le viene data la pillola del giorno dopo. Quindi si rivolge a un’associazione di sostegno alle donne vittime di violenza e denuncia l’accaduto.
La polizia avrebbe già individuato il maggior responsabile dello stupro e del suo complice. La vicenda di Linda è esemplare, ma, al tempo stesso, eccezionale. Perchè è stata seguita da una denuncia e da un’indagine che dovrebbe portare al processo (mentre scriviamo c’è già stata la prima udienza). Altre donne, nelle sue condizioni, avrebbero taciuto: per vergogna, solitudine, sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine. Se questo non è accaduto, il merito va in parte alle associazioni che si stanno battendo per supportare le vittime e cambiare la mentalità.
Zanele fa parte del Forum for the Empowerment of Women, un’organizzazione che negli ultimi anni ha lanciato diverse campagne. La principale è, probabilmente, Rosa Has Thorns (le rose hanno spine) del 2003 e si rivolge espressamente alle donne della township. “Essere lesbiche in Sudafrica è sempre pericoloso, ma ovviamente lo è molto di più se sei povera, poco istruita e non hai una famiglia o una rete amicale su cui contare. I principali nemici di molte lesbiche sono spesso le donne delle loro stesse famiglie.
Zanele Muholi è impiegata in un master in Documentary Media Studies alla Ryerson University di Toronto. Finirà nel 2009 e conta di rientrare nel Sudafrica e continuare la sua mappatura di vite queer. Lesbiche ma non solo. Tra i suoi lavori più recenti e più apprezzati c’è la serie di immagini dedicata alla camaleontica drag queen Miss D’vine.