1 Aprile 2012
Corriere della sera

Louise Bourgeois ama Freud

Gianluigi Colin

Un uomo e una donna parlano sottovoce, consapevoli che il luogo nel quale si trovano non è un museo comune. In un angolo, una ragazza sembra perduta: ha le lacrime agli occhi. Tutto è avvolto da una misteriosa atmosfera, al tempo stesso accogliente e inquietante. Le tende chiuse impediscono alla luce di filtrare; intorno, oggetti di elegante intimità domestica: antiche stampe alle pareti, tappeti, una grande libreria di volumi antichi, una scrivania ricolma di reperti dell’antico Egitto, e poi, un divano avvolto da cuscini e da un tappeto caucasico con i simboli della fertilità. Ma sopra il divano, sospesa nell’aria, quasi fosse uno sconosciuto animale preistorico, qualcosa di inaspettato e difficile
da comprendere al primo sguardo: è una scultura in bronzo, ricoperta di lamina d’oro.   La scultura di un membro maschile.
In questa piccola casa al numero 20 di Maresfield Gardens a Londra, il pensiero che ha rivoluzionato la storia del Novecento si presenta con la potenza sacrale di una immensa cattedrale laica, un monumento alla Ragione che emoziona e incute rispetto, come se una insondablle energia avvolgesse questo luogo denso di memoria e di umane tragedie. E’ la Casa londinese di Sigmund Freud. Qui il padre della psicoanalisi ha, trovato rifugio nel 1938, dopo essere fuggito da una Vienna minacciata dai nazisti. Freud aveva 82 anni e qui ha ricreato il suo studio, esattamente come quello di Bergasse 19: morì in questa casa il 23 settembre 1939, tre settimane dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Se si voleva creare un corto circuito sul valore e il senso dello sguardo Interiore non si poteva fare di meglio: Louise Bourgeois, una delle voci piu alte dell’arte americana, grande scultrice, interprete raffinata e provocatoria dei temi della sessualità e dell’identità femminile, poco prima della morte (2010) è stata invitata a preparare una mostra nella casa di Freud. È nata cosi The return of the repressed (“Il ritorno del rimosso”), emozionante esposizione curata da Philip Larratt-Smith, nata dalla scoperta nel 2004 di due scatole contenenti oltre mille fogli che
costituiscono un archivio sulle reazioni di Louise Bourgeois al trattamento psicoanalitico iniziato nel 1951 con Henry Lowenfeld, medico freudiano.
La mostra presenta questi documenti e circa una decina di sculture, sparse nelle stanze, lungo i corridoi, sulle scale, in dialogo con gli arredi dell’abitazione, ma soprattutto con la memoria della casa di Freud.
«Ogni cosa esiste attraverso il significato che gli diamo», ricorda il padre della psicoanalisi. Così, nel percorrere la mostra tra i ricordi personali di Freud e osservando le oniriche e surreali sculture di Louise Bourgeois,
si ha l’impressione che nessun altro artista avrebbe potuto creare una relazione cosi stretta tra pensiero psicoanalitico e creazione artistica Non solo: si resta come ipnotizzati in un gioco di rimandi. Ogni singolo oggetto, comprese le sculture della Bourgeois, appare impregnato dallo sguardo di Freud come se anche le opere dell’artista si trasformassero in una macchina del tempo capace di superare ogni confine.
Così, se la prima opera che accoglie il visitatore è una vecchia stampa che riproduce Mosè con le tavole della legge (Freud dichiarò:«Sono un ebreo senza dio»), la prima scultura della Bourgeois è un fulminante richiamo alla tormentata dimensione della sua arte: il corpo di una donna è disteso, una gamba amputata, una lama sospesa minacciosa e foriera di nuove ferite (Femme Couteau, 2002).
Louise Bourgeois è nata a Parigi nel 1911 e ha vissuto negli Stati Uniti dal 1938 sino alla sua morte: da sempre ha affrontato le tematiche dell’identità femminile e la complessa relazione tra vita e arte. In una grande opera (I am afraid, 2009) su un telo ricamato a mano scrive: “Ho paura del silenzio. Ho paura del buio. Ho paura di cadere. Ho paura dell’insonnia. Ho paura del vuoto. Mancare …cosa ti manca? Niente. Sono imperfettta ma non mi manca nulla, mia madre forse, forse qualcosa manca ma non lo so, per questo non ne soffro…”
Ma l’opera cardine della mostra sta proprio nel luogo simbolico della casa: c’è da chiedersi che cosa avrebbe detto Freud di fronte alla scultura così dichiaratamente esplicita (Janus Fleuri, 1968) che incombe oggi sul suo lettino. Un ‘opera all’interno di un ciclo importante (Janus, la divinità della mitologia romana bifronte) e che esplora le figure di un corpo frammentato, mettendo in luce le contraddizioni, le divisioni, le lacerazioni della psiche.
Una cosa è certa: in questo contesto tutta l’opera di Bourgeois assume un messaggio di intima rivelazione. E così con l’opera Cell XXIV, Portrait (2011) vediamo rappresentata la difficoltà nel suo essere contemporaneamente artista, madre e moglie. Tutto questo trova forma in una scultura (una gabbia di ferro) in cui una figura femminile di pezza con tre teste bifronti è sollevata al centro di quattro specchi che riflettono i diversi volti: metafora dei diversi punti di vista intorno all’identità femminile. L’opera va diretta al cuore, senza mediazioni: quante donne si trovano oggi con le stesse domande, gli stessi dubbi? ll pensiero intorno a questo tema è uno dei punti centrali del lavoro della Bourgeois che ritroviamo anche nel piccolo giardino: qui, un grande ragno nero sembra impedire lo sbocciare della primavera. Ma oggi, l’opera Spider (1994) sembra soccombere alla natura e ai fiori di un ciliegio che cadono dolcemente sull’animale di metallo, come se, ancora una volta, la forza di questo luogo, il giardino dove Freud trovava il piacere della contemplazione nei suoi ultimi giorni, avesse il potere di lenire le ferite dell’ esistenza.
Forse, la semplice sintesi di questa magica relazione tra i due protagonisti del pensiero e dell’ arte è sotto gli occhi di tutti, sul quademo dei visitatori. Qui, Samiha Abdel Djeba con una biro blu e con una grafia sicura annota: «Freud avrebbe amato Louise Bourgeois».

 

 

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