Lea Mattarella
Una donazione come ultimo atto di una catena intrecciata al femminile: è questo il senso del lascito di Mirella Bentivoglio al Mart di Rovereto. L’artista e critica romana (ma nata a Klagenfurt nel 1922), ha infatti regalato al museo la sua collezione e il suo archivio, che oggi compongono un’emozionante mostra, aperta fino al 22 gennaio. E gran parte delle opere qui esposte le sono state a sua volta donate, dal 1972 ad oggi, da quelle che possiamo definire le sue compagne di strada, le artiste che, in ogni parte del mondo, hanno partecipato, insieme alla stessa Bentivoglio, al movimento della Poesia Visiva. Nata negli anni Sessanta, questa corrente artistica ha l’obiettivo di far emergere i legami sottili e sotterranei che intercorrono tra le immagini e il linguaggio. Ed è proprio il caso di dire che la Bentivoglio ha restituito alle donne la parola. A raccontarlo sono i numeri: nel 1969 alla grande mostra dedicata agli esponenti di “poesia ottica”, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, la presenza femminile raggiungeva a malapena il 2 per cento. Dopo le sue indagini sul campo, le mostre annuali che lei stessa chiama “censimenti internazionali”, iniziate al Centro Tool di Milano e culminate in una leggendaria esposizione in occasione della Biennale di Venezia del 1978 e poi in una serie di eventi in giro per il mondo, le cose cambiarono radicalmente: dal 2 al 20 per cento le donne invitate alle mostre, e via via un’attenzione constante verso il côté rosa del movimento.
Qui a Rovereto di artiste ce ne sono più di 100, autrici delle circa 300 opere che compongono l’esposizione. Ci sono russe e australiane, grechee giapponesi, brasiliane e americane. Con tutte la Bentivoglio è entrata in contatto personalmente. Scrivendo, naturalmente. E spesso le lettere che si scambiano queste artiste, così attente a tenere insieme testi scritti e immagini, sono piccole opere. Come quelle dell’americana Amelia Etlinger con le sue buste e i fogli su cui tesse grovigli di fili colorati che incorniciano e, nello stesso tempo, nascondono la parola.
Il ricamo è una tecnica collegata da sempre al passatempo femminile. E qui lo utilizzano in molte. Ma è il loro destino di artiste libere, e spesso anche ribelli, che hanno scelto di cucire.
Tra le “merlettaie” ecco Francesca Cataldi autrice di inquiete cancellazioni con il filo di catrame; Anna Paci che confronta le piante delle prigioni con i modellini dei lavori a tricot; Maria Lai, la grande artista sarda, classe 1919, che da sempre tesse incanti preziosi, leggende di fili dorati. Ecco in mostra i suoi libri-scalpi, intrecciati con i capelli, e le sue indimenticabili pagine cucite. Che ci rivelano due elementi costanti: il rapporto con il corpo e quello con l’oggetto-libro.A valorizzare il primo ci pensa la brasiliana cresciuta a Parigi Anesia Pacheco E Chavez che ha chiaro come O centro do corpo siano i genitali femminili, ma anche Ketty La Rocca e la stessa Bentivoglio: entrambe hanno identificato la curvatura della letteraJ con corpo e inconscio.
Tra i libri si può far centro anche con la forza dell’assenza: ci riescono quello in vetro della giapponese Izumi Oki e quello gigantee vuoto di Dora Tass, capaci di riflettere e contenere il mondo. Ci sono donne che si narrano e donne che raccontano il mondo: la Sventagliata di mitra di Anna Esposito rende un orpello femminile testimone di tragedie. E la dittatura è messa nel sacco dalle piccole scatole di carta colorate di Rimma Gerlovina che arrivavano clandestinamente alle mostre della Bentivoglio dal blocco sovietico. Contengono lettere in cirillico, un’allusione ai regimi che imprigionano proprio ciò che questa grande avventura intellettuale ha liberato: pensieri e parole.