Al Modern Museum di Istanbul una rassegna dal titolo «In Praise of Shadows», curata da Paolo Colombo, propone la storia dell’animazione attraverso silhouette ritagliate in carta o «puppet» di artisti. In campo, i divertissement su Mozart di Lotte Reiniger e le donne di Kara Walker.
di Arianna Di Genova
Fuori, i battelli scivolano lungo le acque tranquille del Bosforo, «inquadrati» perfettamente dai grandi finestroni del moderno museo di Istanbul. Dentro, nel grande edificio-scatola, d’improvviso la luce del giorno scompare e i visitatori vengono catapultati in un mondo di ombre, silhouettes e sagome che raccontano esili trame di favole e le traformano in pièce teatrali o brevi video capolavoro.
In Praise of Shadows (a cura di Paolo Colombo, catalogo Charta, fino al 6 maggio ancora a Istanbul, poi emigrerà verso Atene a partire dal 23 maggio dove resterà aperta fino a luglio) è una mostra-gioiello che invita a un vagabondaggio fra diverse epoche, abbracciando gli esordi del teatro delle ombre in Turchia (usanza particolarmente diffusa nell’impero Ottomano, ma già in voga nel XVI secolo e forse anche prima, secondo quanto affermano alcuni scrittori turchi) con il suo personaggio «mitico» Karagoz che dette anche il nome alla popolarissima forma di spettacolo. L’itinerario espositivo prende l’avvio dalla Storia dunque per addentrarsi verso i lidi del contemporaneo, passando per gli esperimenti arditi di cineasti di avanguardia: sono otto gli artisti proposti nel percorso (circa 90 le opere). Può accadere quindi di camminare rasentando le pareti e immergersi negli scontri razziali narrati da Kara Walker (californiana, classe 1969): le sue drammatiche figurine ritagliate in cartoncino più di una volta hanno rievocato i soprusi subìti dai lavoratori africani, soffermandosi in particolare sulle violenze sessuali. Walker ha affidato alle sue fragili donne su carta black anche il ricordo dell’«Emancipation Proclamation» con la quale, nel 1863, Lincoln aveva posto fine alla schiavitù in America. In Burning African Village, la tragedia vissuta prende una forma tridimensionale in 22 parti, come se si srotolasse, davanti agli occhi dello spettatore, un libro pop up. L’effetto è travolgente.
La tesi di Colombo, curatore della mostra di Istanbul, è che con le «shadows» dei marionettisti prima e degli artisti poi si entra in punta di piedi nel foyer del pre-cinema: l’omaggio più intenso è infatti quello tributato a Lotte Reiniger.
Nata a Berlino nel 1899, questa artista che fin da bambina si impegnava meticolosamente a ritagliare silhouettes di carta, un giorno venne notata da un produttore in cerca di novità che le propose di fare un film d’animazione utilizzando le sue eleganti figurine. Cresciuta tra gli umori dell’Espressionismo tedesco, pronta ad accogliere le creature fantastiche fra le sue mani, nel 1919 Lotte presentò al pubblico il suo primo lavoro cinematografico, L’ornamento del cuore innamorato, coronato da un immediato successo. A Istanbul si possono vedere alcuni suoi corti: Carmen (1933), una esilarante reinvenzione della storia della bella gitana (qui non muore ma se la gode col torero), Papageno (1935), un mondo di lussureggiante natura in perenne metamorfosi tratto dal «Flauto Magico» di Mozart e il lungometraggio The Adventures of Prince Ahmed. Frutto di tre anni di lavoro (tra il 1923 e il 1926), realizzato con la collaborazione del marito Carl Koch e le scenografie di Walter Ruttmann, lascia scorrere l’universo incantato delle Mille e una notte, con grandi doti affabulatrici. Fra i maestri della stop motion c’è anche Ladislas Starewitch. Polacco, nato nel 1882, è stato un artista a tutto tondo: sceneggiatore, scenografo, tecnico del suono e delle luci, aveva una piccola equipe di lavoro composta dalle sue due figlie, Irene e Nina. E nel ricreare con originalità le favole di La Fontaine influenzerà, in seguito, un genio come Tim Burton.
Ombre in teatro e ombre che prendono carne e si fanno «puppet». Così la finlandese Katariina Lillqvist gioca con l’animazione, dedicando anche omaggio in salsa grottesca a Tadeusz Kantor, mentre i pupazzi di Nathalie Djurberg (svedese, classe 1978), poco oltre, si lanciano in performance sessuali brutali e danno segni di follia che investono il corpo e la sfera affettiva.
Si può chiudere la passeggiata a côté del Bosforo con il sudafricano William Kentridge, che spazia dall’animazione all’opera reinterpretata attraverso figurine e ombre. In mostra, il video Shadow Procession, già presentato alla Biennale di Istanbul del 1999. Con un ritmo modulato dalle improvvisazioni vocali del musicista di strada Afred Makgalemele, fluiscono le ombre degli esuli, uomini mutilati, minatori: una umanità in cerca di speranza si lascia alle spalle una città distrutta e fumante. Ma il cupo dramma della prima parte del video verrà interrotto e sconfitto da una specie di farsa dove personaggi immaginari, quali la donna-caffettiera, ruberanno la scena agli sfuocati perdenti.