2 Marzo 2015
giuntiscuola.it

Le donne insegnano- Intervista

di Redazione

 

Studiosa di pensiero delle donne, attiva nel movimento di autoriforma della scuola e scrittrice, Vita Cosentino ha insegnato a lungo e fa parte del collettivo della Libreria delle donne di Milano. Abbiamo incontrato Vita per parlare di insegnamento, condizione femminile e del suo ultimo libro, Tam tam, edito da Nottetempo.

 

Partiamo da un convegno, Le maestre e il professore, che lei ha organizzato insieme con Guido Armellini. Il suo contributo aveva un bel titolo forse ironico, Maestre in cattedra, e ha invitato a parlare, a raccontarsi, soprattutto le insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria. Perché?

Nelle mie intenzioni non era un titolo ironico. Era piuttosto una freccia scagliata a un bersaglio nascosto al fondo della nostra cultura: quello che è femminile, come occuparsi di creature piccole, non ha valore. Ne conseguiva una precisa gerarchia tra gradi “alti” e “bassi” della scuola e una concezione del sapere impersonata dal “professore”, che ha valore perché più vicino all’accademia. Abbiamo scommesso sul rovesciamento di quel criterio, mettendo “in cattedra” le maestre e il sapere che portano, legato alle relazioni e agli affetti, che è il vero sapere che ci occorre.
Dopo quel convegno io mi sono molto dedicata alla valorizzazione simbolica delle maestre, per esempio con un film, L’amore che non scordo. Oggi sono contenta di constatare che è davvero cambiato nella società l’immaginario sulla maestra.

 

Non da ora sostiene che la lingua può essere una strada di libertà. In che modo questo tema riguarda da vicino le e gli insegnanti?

Riguarda molto da vicino, perché è a scuola che, dopo l’opera materna, si insegna a parlare e a scrivere. L’insegnamento della lingua molto spesso è impartito a forza di regole ed esercizi stereotipati, spingendo così al conformismo linguistico. Invece si può guardare alla soggettività, favorendo l’esserci nella lingua con le proprie esperienze. E quest’ultima è una vera strada di libertà.

 

Ha qualche consiglio per coltivare questa strada di libertà al meglio, in sezione e in classe, nella vita di scuola di tutti i giorni?

La cosa più importante è stabilire un’interlocuzione con l’alunno/a sul suo voler dire, piuttosto che sulle singole frasi, più o meno corrette. Poi la “pubblica lettura”, di cui ho parlato in Lingua bene comune (Città Aperta 2006). È importante anche usare, nello scambio quotidiano, un “linguaggio riformato”, come stiamo facendo noi in questa intervista, con il doppio plurale e il femminile delle professioni. Per le creature piccole consiglio di parlarci molto insieme e di tornare a essere narratrici di fiabe.

 

L’8 marzo, come ogni anno, le donne saranno “festeggiate” e chiamate a festeggiare. Le chiediamo due consigli per le insegnanti: come affrontare questa giornata a scuola (come rispondere ad eventuali doni e domande dei bambini e delle bambine), e come affrontare in maniera realmente costruttiva e continuativa il tema della differenze di genere in classe e in sezione.

Non solo l’8 marzo è la festa delle donne. Può essere festa tutti i giorni se ci si prende la libertà di esserci con la propria differenza. Questa è la mia esperienza. Questo trasforma la routine scolastica in una cosa viva. Il vero consiglio è: prendersi libertà. Torniamo per esempio al “linguaggio riformato”, se non si usa a scuola “ministra” o “architetta” è solo per un difetto di libertà. Direi alle maestre: «Pensate di fare secondo il vostro desiderio tutto ciò che non è espressamente vietato e vedrete quante strade e quante possibilità di collaborazione si aprono. Soprattutto non pensate di aver bisogno di ‘esperti’. La differenza siete voi, donne in carne ed ossa che vivono il proprio tempo».
Allora ha senso anche festeggiare l’8 marzo e alle classi più grandi raccontare come è nata questa festa.

 

Nel suo libro Tam tam ha raccontato una vicenda autobiografica dolorosa, vissuta con coraggio. Ancora una volta il racconto per cercare parole proprie, per non arrendersi… Vuole selezionarne un passaggio per tutte le insegnanti che ci leggono?

Sì, Tam tam è stato scritto come un ringraziamento per tutte le persone amiche che tuttora mi aiutano a vivere con una grave invalidità che mi ha colpito all’improvviso mentre stavo andando a un convegno a Verona. Lascio questo passo che mi è molto caro: «Dal convegno la notizia si diffonde in molte città e le torna indietro un’ondata di affetto traboccante. Telefonate in continuazione, in continuazione visite. Per lei è la miglior medicina, quella che le dà la forza di affrontare la situazione. Paradossi del destino. Mentre vivi, non riesci quasi mai a sapere quanto gli altri e le altre ti vogliono bene. Ai funerali esplode sì la commozione della mancanza, ma tu non ci sei a vederla».


(www.giuntiscuola.it, 2 marzo 2015)

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