25 Gennaio 2024

Il soggetto assente

di Umberto Varischio


Benissimo ha fatto Marina Terragni, in un intervento intitolato Quando l’aborto è una violenza apparso su FeministPost, a mettere ancora una volta in primo piano la responsabilità di noi uomini nella prevenzione di un concepimento e nel caso di un aborto.

La deresponsabilizzazione maschile nei confronti dei mezzi anticoncezionali e nel percorso che segue la libera scelta della donna di abortire può avere diverse cause, ma è una delle ragioni che porta la scienza a non porsi seriamente il problema di anticoncezionali maschili e a sviluppare farmaci come la pillola RU486, che rappresentano uno stimolo alla deresponsabilizzazione stessa.

La RU486 ha contribuito a rafforzare la convinzione che questo farmaco si assuma come un comune antinfiammatorio: così la gravidanza sembra magicamente svanire e noi uomini non veniamo certo responsabilizzati da questa facile scappatoia!

Non meno importante, in particolare per le giovani generazioni, è la scarsa propensione maschile all’utilizzo di profilattici che oltre a rappresentare un anticoncezionale sono anche una prevenzione per quanto riguarda la trasmissione di malattie sessuali.

Nella letteratura su anticoncezionali e interruzione di gravidanza, quella di orientamento antiabortista si inventa sindromi maschili anche per giustificare la deresponsabilizzazione degli uomini. Secondo questi indirizzi per un uomo contribuire al concepimento di un figlio rappresenterebbe il nucleo centrale della virilità, costituendo l’essenza dell’essere veramente uomini. Facendo riferimento a un disturbo chiamato Male Post-abortion Trauma (trauma post-aborto maschile), che causerebbe nell’uomo sofferenza con conseguenti reazioni a catena nella sua psiche sia nella fase di scelta di eventuali anticoncezionali sia in quella post-aborto.

Al contrario di quanto affermato, non è dimostrata alcuna correlazione tra il disagio maschile in questi casi e l’ipotetica sindrome post-aborto descritta dagli attivisti.

Quando si parla di prevenzione del concepimento e di aborto molto spesso gli uomini scompaiono dalla scena: la limitata partecipazione che osserviamo da parte del partner maschile nell’ambito del percorso che segue la libera decisione della donna di abortire (in Italia attestata al 20%, corrispondente a un uomo su cinque) si riscontra anche in altri aspetti della salute riproduttiva, come la decisione sui metodi contraccettivi o la gestione della diagnosi di infertilità.

Quello che però continuo a non trovare in quasi tutti gli interventi pubblici di uomini è un ragionamento che parta dal concepimento e porti a una elaborazione maschile sulla nostra sessualità e sul ruolo di noi maschi nella contraccezione. Se esiste una rimozione e un’assenza, secondo me è proprio questa.

Non posso che fare mio il disagio espresso da Alberto Leiss in un articolo scritto per Il manifesto del 25 ottobre 2022 nei confronti di uomini, magari di orientamento politico di sinistra, che difendono appassionatamente il diritto all’aborto senza mai menzionare la propria responsabilità in caso di gravidanza.

Chi ha la capacità, attraverso il proprio seme, di causare la gravidanza dovrebbe forse interrogarsi sulla propria responsabilità e riflettere su come comportarsi in situazioni in cui non c’è un accordo condiviso sulla prospettiva di avere un figlio o una figlia.


(www.libreriadelledonne.it, 25 gennaio 2024)

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