di Serena Fuart
“Credo che partire proprio da quelle situazioni che in noi hanno suscitato sentimenti negativi, o perlomeno contraddittori, sia un buon inizio perché essi costituiscono un sintomo, una spia che le interpretazioni dominanti, quelle del sistema patriarcale e capitalistico, non riescono a dire, qualcosa che la nostra esperienza viva ci fa sentire e che tuttavia non ha ancora parole. È un lavoro di scavo possibile ma difficile da fare tutto da sole e la costituzione di una comunità di ricerca aiuta a continui aggiustamenti per avvicinarci sempre di più a una verità che non è solo interiore ma offerta a tutte e tutti.” Così scrive Luciana Tavernini, una delle autrici del numero di DWF – La pratica della storia vivente.